L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

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Fire cup

domenica 1 novembre 2020

Il giorno che gli Amish presero il fucile

Se qualcuno si ricorda di questo vecchio post del 2012 mi è capitato di essere stato paragonato a Stephen King.

Giorni fa un'amica me l'ha fatto ricordare e ha chiesto di leggere quel racconto per cui avevo meritato un encomio simile.

Beh, avrei voluto pubblicarlo sulla pagina FB di "7 Storie", che è sempre stato il riferimento diretto per le mie cose da scrittore, per me; ma a quanto pare FB ha deciso di ignorare i contenuti testuali in favore di quelli visivi, per cui... eccolo qui.


Il giorno che gli Amish presero il fucile 

 

“Guarda!” 

Il giovane Ben indicò il cielo, là dove un piccione sosteneva un volo sbilenco, come stravolto di fatica. Sua madre Sarah, la moglie di Saoul Parrish, levò lo sguardo dal portico verso il volatile, che cadde al suolo provando penosamente a librarsi di nuovo. Ben scattò rapidamente e non fece fatica a catturarlo. 

“È lordo di sangue, madre!” – gridò, mostrandoglielo. 

Suo fratello Isaiah posò l’aratro e si fece strada verso il bambino, tergendosi il sudore dalla fronte con un fazzoletto. 

“Ha una capsula di metallo legata alla zampa!” – esclamò Ben, porgendogli l’uccello. 

“È un piccione viaggiatore…” – spiegò Isaiah mentre armeggiava per liberare del suo fardello la povera bestia. 

“…sembra uno di quelli di Karl-Heinz Lipstein, di Amityville.” – mormorò Hermann Kluge, che s’era avvicinato dal bordo del suo campo. Isaiah intanto aveva staccato la capsula, ed armeggiava per aprirla. Il piccolo Ben cullava l’animale esausto, muovendosi a piccoli passi verso casa, mentre sua madre Sarah scrutava preoccupata verso il piccolo assembramento che si andava formando: la decina di uomini che stava lavorando poc’anzi in quella parte di campi all’estremità sud del paese di Charity sembrava aver deciso di fare una pausa, per scoprire quale fosse l’inattesa novità. 

Isaiah riuscì ad aprire la minuscola scatolina e a estrarre il messaggio, che prese a leggere con avidità. Col sorriso largo sul volto, il cugino Peter domandò 

“Allora, che dice?” 

“Non è ferito!” – trillò Ben alle loro spalle – “È sporco di sangue, ma non è ferito!” 

Isaiah irrigidì tutti i muscoli del viso e sollevò lo sguardo, preoccupato. 

“Chiamate il patriarca” – sibilò – “Chiamate Ezechiele.” 

 

Ezechiele Weissman, alto e secco come una scudisciata, si fece largo tra la folla. 

La comunità in corteo, come un fiume che s’ingrossa a ogni affluente, s’era radunata man mano che la voce si spargeva, ed il patriarca l’intercettò all’altezza dell’edificio della scuola. Il mormorio costante, come il rombo del vento tra i rami degli alberi, cessò all’istante quando apparve. Fissò Isaiah con sguardo severo e questi, pallido e muto, gli porse il messaggio. Ezechiele lo lesse, e negli arti e sul viso comparve veloce un dolore. 

Mormorò qualcosa tra sé e sé, poi sollevò il capo e lo ripeté, più distinto. 

Weltgericht.” – disse. 

 

“Avanti! Avanti!” – gridavano i gemelli Dorfin, arrampicati sulla travatura del fienile a osservare la gente di Charity ammassata sotto di loro. 

Il fienile dei Dorfin era la più antica struttura del paese, non la prima, ma l’unica ancora in piedi della sua epoca. Ora la paglia era stata spazzata via, e molte delle assi del pavimento erano state divelte per rivelare il segreto contenuto che si era ammassato lì nel corso dei secoli. La gente andava e veniva: si affacciava sul bordo scuro della cantina e riceveva il suo fardello dalle mani del massiccio Augustus Dorfin, sotto le incitazioni dei suoi due figli deformi, diversi metri più in alto. 

Quando ciascuno ebbe il suo, il sole andava scemando oltre le colline. 

Si riunirono tutti nel vasto spiazzo davanti al fienile, tutta la comunità di Charity. E mentre qualcuno già accendeva le torce, un piccolo palco venne montato per far sì che la voce di Ezechiele Weissman giungesse chiara a tutti. 

 

“Fratelli. Sorelle.” – parlò – “Charity è chiamata alla sua prova. Così come ora Amityville combatte la sua. Tra poco toccherà a noi, e si vedrà la salvezza, o la perdizione.” 

Un mormorio preoccupato e confuso serpeggiò tra la folla. 

“I diavoli sono scesi sulla Terra, ed ora vengono a distruggere il genere umano. È il Weltgericht, fratelli miei, il Giorno del Giudizio.” 

Alcune urla, pianti disperati, si levarono dalla comunità, ma il buon Ezechiele continuò, con voce ferma come radice d’un albero. 

“Dio è sempre stato con noi lungo tutto il cammino, e lo sarà anche in questo frangente. Uniamo la preghiera alla lotta e trionferemo; e non dubitate mai: se molti di voi trovano strano e impuro il peso che hanno tra le mani, ricordate che ciò che annienta il maligno – così comesso è, e non in corpo umano – non è atto di violenza, che ripudiamo, ma di fede. Sarà Dio a darci forza, Dio a ribattere i demoni donde provengono. Dio ha benedetto tutto questo. Ma per dare una mano a Dio e non chiedergli costantemente miracoli, c’è solo una cosa da sapere.” – sollevò quel che stringeva in pugno, di modo che lo vedessero tutti – “Quanti colpi avete.” 

 

“Ciascuno deve averne una, che sia donna o bambino.” 

Hans Rottmeier passava in rassegna le file dei suoi concittadini, per sincerarsi che tutti stringessero in pugno un’arma: pistola, fucile, spada o pugnale che fosse. 

“Ma fratello, io non ho mai sparato!” – protestava uno. 

“Devi solo mirare, premere il grilletto e ricaricare; Dio ti guiderà.” – rispondeva. 

“Ma fratello, è un atto di violenza!” – ribatteva un’altra. 

“Non hai sentito Ezechiele? Quando li vedrai arrivare il tuo problema sarà la paura, non la violenza. L’istante in cui vedrai quegli abominii, saprai che non è violenza, ma lotta di Dio.” 

Fratello, e quando finiremo i proiettili?” 

“Dio provvederà.” 

“E se ci uccideranno?” 

“Avrai combattuto per salvare la tua anima.” 

“Fratello.” – Sarah Parrish gli si parò davanti, tenendo per le spalle il piccolo Ben – “Non importa quel che sarà, ma non voglio che lui tenga un’arma.” 

Hans guardò il pugnale che il ragazzino stringeva osservava con curiosità. 

 

Heidi Klein guardava il cielo, dalla sua postazione in cima alla mansarda. 

“Vengono con la tempesta” – osservò, vedendo il cielo farsi buio all’orizzonte. 

Suo fratello Werner la raggiunse, lo sguardo malinconico e spaventato, guardando anche lui nella stessa direzione. Poi trasalì. 

“Non vengono con la tempesta!” – il sangue si raggelò nelle sue vene – “Loro sono quelle nuvole!” 

 

Si scatenarono dal cielo come uno stormo di corvi, gigantesche arpie dalle ali grandi come cavalli, le labbra stese sui denti affilati e i seni laidi al vento. 

I grandi artigli afferravano dilaniando le carni, strappando arti e macellando a morsi le prede, su cui poi si chiudevano in un macabro pasto. Ma più che la morte portarono il terrore: la fede vacillò con la mente, e più d’uno preferì puntarsi contro l’arma e far fuoco piuttosto che affrontare quelle orride creature. Emily Maxfield spalancò gli occhi davanti a quell’orrore e si raccolse in preghiera su se stessa, prima d’essere afferrata e coperta da un paio di nere ali, senza offrire resistenza. Le sue urla soffocate giunsero come un’eco all’orecchio di Sarah Parrish, mentre la bestia le scavava la schiena. Sarah inorridì, puntò il fucile e premette il grilletto. 

L’enorme creatura fece uno scatto laterale, ondeggiò brutalmente e cadde al suolo, cercando un’ultima volta di battere le ali prima di cessare d’esistere. Emily aveva la spina dorsale che le fuoriusciva da un enorme foro sulla schiena, e la testa incastrata fra le gambe. 

Sarah non resse alla vista e corse via. 

 

Le preghiere riempivano la bocca come i caricatori, mentre la gente di Charity – dopo l’iniziale sbandamento – faceva fuoco serrato sullo stormo mostruoso che li sovrastava. 

Le case al limitare del paese erano state abbandonate, per ripiegare sugli edifici più vecchi e centrali. La piccola Mary Kay rimase indietro quando la sua famiglia decise di ripiegare verso la scuola, dov’erano asserragliati in tanti. Quando suo padre si girò a tenderle la mano ce l’aveva quasi fatta: poi un paio d’ali enormi piombò da dietro al tetto dell’edificio, e quando in un istante si rialzò nel cielo nero, la piccola tendeva le mani verso il vuoto. Solo dopo pochi secondi il fucile di suo padre colpì il terreno con un rumore secco, dietro di lei. 

 

Quella fu l’ultima arpia. 

Werner Klein aveva suonato la campana quasi mezz’ora prima, e Charity ora contava la metà degli abitanti. La frase che riecheggiava più spesso, tra le pareti vuote e i silenzi, era 

“Signore, pietà.” 

Ma il Signore non sembrava intenzionato ad averne, per il momento. 

 

Atterrò squassando il suolo col suo peso; la carne rossa come la vernice duna macchina nuova fiammante, le grandi ali nere dispiegate nella prima notte, due lunghissime corna arcuate ritte sulla fronte. 

In una delle due mani dai lunghi artigli ricurvi e neri, stringeva una pesante clava fatta col tronco d’un albero; e fece subito capire come l’avrebbe usata menando un gran colpo contro il fianco di casa Stuart, svellendo parete e trave d’angolo come fosse burro. Dopo, lo scricchiolio costante e il rapido susseguirsi di schianti d’assi che si spezzavano riempì l’aria come un sinistro lamento d’agonia, finché parte del tetto crollò al suolo dando pace alla struttura. 

Il mostro sorrise, mostrando le lucenti zanne, e si mosse in avanti, annusando l’aria. Dietro di lui, nei campi, si riusciva a intravedere altre ali come le sue atterrare, ma non s’udivano i tonfi sul terreno. 

Il demone faceva oscillare la sua clava, e ad ogni passo colpiva le case, bucando le pareti, facendo schizzar via pezzi di legno come proiettili, abbattendo porticati. Era enorme: la punta delle sue corna oltrepassava i tetti di un paio di spanne. 

Lo zelo ed il fervore della famiglia Kluge gli fece aprire il fuoco su quella bestia, che accusò la gragnola di proiettili, ma non cadde. Quando sospesero la sparatoria, restò loro un attimo di paura prima che il pesante tronco s’abbattesse sulle loro teste. 

Dalla scuola, il colossale Augustus Dorfin non stette a guardare oltre. Sguainò una possente spada e si diresse all’esterno, dritto verso di lui. 

 

Casa Parrish era ai bordi meridionali del paese. Loro videro bene cosa stesse atterrando nei campi. 

La decisione di ritirarsi verso il centro, dov’era la scuola dalle pareti in pietra, fu presa in un attimo; più difficile metterla subito in atto. 

Tre snelle creature dal viso di lucertola e la lingua di serpente, corte corna su di una pelle rossa che sembrava di plastica fecero irruzione attraverso le finestre sbarrate, in uno spruzzare di vetri come coriandoli nell’aria. Timothy Parrish, fratello del defunto padre di Isaiah, fece in tempo a sparare un solo colpo, prima che un morso di quelle creature gli aprisse la gola. Suo figlio Peter, stravolto dal dolore, aprì il fuoco a ripetizione su una delle creature, mentre Sarah portava Ben al riparo, Isaiah lottò con le altre due. La prima stramazzò subito, presa in pieno petto, la seconda gli fu addosso in un lampo: Isaiah sentì quelle unghie penetrargli nelle carni, e venne scaraventato dall’altro lato della sala. Quando Peter si voltò se lo trovò addosso. La creatura sibilò e sferrò una micidiale botta verso il suo cranio. Alzò istintivamente il fucile, e il colpo del demone lo spezzò di netto; un istante dopo Isaiah scaricò la sua arma dritta in faccia al mostro. 

Mentre la creatura ormai priva di viso stramazzava all’esterno della casa, il cugino spalancò la porta del garage. Isaiah lo seguì mentre armeggiava con gli attrezzi dei campi. 

“Che fai?!” 

“Ho perso l’arma!” – rispose. 

Peter staccò di netto la lama dell’aratro. 

“Non sarà stata benedetta direttamente da Dio, ma lo è stata dal mio lavoro!” – disse, e uscì. 

Corsero, attraverso i campi, bordeggiando la strada che costeggiava il lato ovest di Charity, il piccolo Ben in braccio a sua madre, Isaiah e Peter davanti. Sulla collina, a breve distanza dal paese, si stagliava il fienile dei Dorfin. Sarah rallentò. Guardò il nugolo di ali che si scorgeva sul cielo a oriente, si voltò a contare quanto poche fossero quelle che minacciavano invece quel lato del paese. E decise. 

Posò a terra il piccolo Ben e lo guardò dritto negli occhi. 

“Amore mio, ascoltami bene…” 

 

Augustus Dorfin guardò il demone arrivare verso di lui, come una montagna in carica. 

Roteava terribilmente il tronco che stringeva nella mano, e vorticando spezzava di netto muri, tranciava pali, riempiva l’aria di schegge. Augustus non si mosse; strinse gli occhi e piantò i piedi. E quando vide che l’essere vibrava il colpo, scattò in avanti. Il tronco colpì il terreno con forza sovrumana, facendolo vibrare, ma Dorfin non era più lì. Con un urlo belluino e tutta la sua potenza menò un fendente alla caviglia della creatura, tagliando i muscoli e spezzando l’osso, fino a recidere la gamba da parte a parte. 

Il demone urlò e cadde al suolo, inarcando la schiena e inondando la strada e le pareti degli edifici vicini del suo verde sangue. Ma era tutt’altro che vinto, e la sua furia lo spinse in ginocchio, roteando l’arma dietro di sé per colpire il suo minuscolo avversario. Augustus Dorfin non attese il colpo: era già in corsa verso la gola dell’avversario. Piantò la lama con tutta la sua forza, a fondo nella spessa pelle dell’essere, che gridò di dolore quando la lama gli trafisse il costato. Moriva, sentiva di morire, e nella furia si gettò su se stesso per artigliare, svellere, divorare a morsi il piccolo umano che sanciva la sua fine. Le urla del vecchio Dorfin durarono poco. 

Poi il mostro cadde riverso sulla schiena. 

 

Ezechiele guardò i superstiti della sua comunità, asserragliati con lui nella scuola. 

“Charity!” – gridò – “Non devi temere il maligno! Dio è con noi, e ne avete la prova!” 

Tremanti di fatica e di paura, tutti volsero lo sguardo verso di lui, per avere conforto. 

“Samuel.” – disse all’ultimo dei Dorfin rimasto – “Quanti colpi hai sparato?” 

Il piccolo nano esitò, confuso. 

“Non so…” 

“Hai mai ricaricato?” 

Un silenzio pieno d’apprensione e di fede avvolse tutti per un momento. 

“Io… sì… all’inizio… poi, credo… non ci ho fatto più caso…” 

Il piccolo Samuel guardò la sua arma come se fosse un oggetto strano, divino. Ne ebbe un timore reverenziale. 

Le vostre armi sono benedette!” – continuò Ezechiele – “Non sono proiettili, quelli che sparate! È la vostra fede! Quello è lo strumento che Dio vi ha dato per ricacciare il Malign- 

Non finì la frase. Qualcosa trafisse il vetro dietro di lui e il suo corpo, uncinandolo e traendolo a sé attraverso la finestra divelta, in strada. Tra le urla generali, tutti si mossero a riversare piombo e fede all’esterno. 

 

Quando l’enorme serpente chiodato smise di contorcersi per la strada, sembrò per qualche istante tornare la pace. I rantoli di Arthur Weissman, figlio di Ezechiele, investito dall’acido sputo di quella creatura andavano scemando. 

Qualcuno s’illuse che fosse finita. 

Poi udirono fischiettare. 

 

Lungo la strada principale avanzava un individuo vestito con gusto, serpeggiando sinuosamente fra i corpi divelti che costellavano l’asfalto, umani o non umani che fossero. 

“Charity, Charity, Charity…” – disse quasi cantando, avanzando elegantemente in quello sfacelo – “Che nome ameno, e allo stesso tempo un po’ pretenzioso.” 

Si soffermò a guardare il cadavere di Augustus Dorfinun ammasso di carne avvinta al demone che aveva ucciso. Poi lo scavalcò e si portò davanti alla scuola. 

“Non trovate?” – disse con un sorriso cordiale, spalancando le braccia. 

Tutta la comunità rimasta era stretta fra quelle quattro pareti. Spossata, ferita, guardinga. 

Sapevano tutti cos’era quello che avevano davanti. 

Quello era il Nemico. 

 

Il demone giunse in fondo al fienile con l’immonda gioia di chi pregusta un’atroce violenza dipinta sul volto. Sentiva odore di umano, un piccolo umano nascosto. Si voltò a scrutare nelle tenebre e ne vide il viso, per nulla impaurito. Inarcò un sopracciglio; forse aveva bisogno del fuoco, per vedere le sue orribili fattezze. 

Mentre le fiamme iniziavano a levarsi sull’altra parete, il ragazzo sollevò lo sguardo a scrutarlo, ma ancora sembrava non avere paura, tutt’al più curiosità. 

Il demone ghignò, pregustando le urla, le lacrime, l’odore del sangue; ma proprio un istante prima che la sua mano artigliasse il corpicino, qualcosa lo spiazzò. 

“Tu sei un angelo?” 

Rimase con la mano aperta a mezz’aria, tesa verso il piccolo corpo; poi una risata gorgogliante gli si affacciò alla bocca. 

“Sì.” – rispose – “Caduto, ma sì.” 

 

“Ora, non mi sembra il caso di continuare.” 

Il Nemico avanzò, e Gerd Steiner sparò senza esitare, centrandolo in pieno petto. L’uomo elegante vacillò, poi riprese l’equilibrio e si spazzolò il vestito col dorso della mano, come per toglier della polvere. 

“Dicevo – se è possibile smettere con simili interruzioni  che siamo tutta gente adulta e civile e che ormai è chiara la situazione. È il Giorno del Giudizio, gente: siete tutti destinati a morire. Certo, si può morire in grazia di… beh, Sua; o si può morire in peccato mortale. Ora” – e tornò a voltarsi un attimo verso il cadavere alle sue spalle – “non mi pare esattamente che l’Ordnung Amish stabilisca questo.” – e indicò eloquentemente la massa di corpi squartati alle sue spalle. 

“Tu sei il Male!” – gridò Esther Volke, al limite dell’isterismo. 

“Grazie!” – sorrise lui, quasi arrossendo – “Cerco di fare il possibile…” 

“Che cosa vuoi?” – domandò Isaiah, dimostrando uno spiccato senso pratico. 

Il Nemico sorrise compiaciuto. 

“Il mondo è grande; e come capirete ho un sacco di lavoro da compiere.” – salì i primi gradini del portico, per portarsi più vicino alla finestra da cui Isaiah lo minacciava col fucile – “E, detto tra noi, non posso perder tempo. Ve lo immaginate che casino sarà, per dirne una, Los Angeles? Dico, è enorme! E si chiama pure Città degli Angeli! Dai…” 

Nessuno rise, così il Nemico si portò proprio davanti a Isaiah, a cinque spanne dalla canna del suo fucile. 

“…vi sembra che ho tempo da perdere per… quante? Diciamo quindici anime?” 

 

“Come ti chiami?” 

Ben osservava la strana creatura che aveva di fronte. 

Caduto o in piedi, angelo o non angelo, era la prima volta che ne aveva uno di fronte. 

La creatura stirò le labbra mostrando le bianchissime zanne, come quelle di uno dei cani-lupo che allevavano i Dorfin. 

Bazaalbub” – rispose. 

 

“E allora?” – chiese Isaiah – “Che vuoi?” 

Il Nemico sorrise, scuotendo la testa. 

“Allora, io so che se insisto vi avrò tutti e quindici. Quindi su un piatto della bilancia c’è solo il tempo che perdo. Il Giorno del Giudizio è il giorno del Giudizio: non importa che ci si arrivi vivi o morti. Voglio dire” – e indicò alle sue spalle – “all’alba anche loro ci saranno.” 

La recente vedova Rottmeier emise un sospiro come un singulto. 

“Quindi per voi, su quello stesso piatto cosa c’è? Non tanto il dolore che vi risparmiate – è una morte orribile, comunque venga declinata, ve l’assicuro – quanto il tempo. Il tempo che avreste tutti voi per pregare per le vostre anime fino all’alba.l tempo.  quanto , comunque venga declinata, ve l'n importa che ci si arrivi vivi o morti. o  fucile.ile - "ulla impaurito. 

 

I due demoni rincularono via dall’ingresso del fienile. 

“Ma cosa…?!” – proruppe uno. 

Bazaalbub?” – chiese l’altro facendosi schermo dalla luce. 

 

I cittadini di Charity rimasti si guardarono in faccia, uno ad uno. 

“Ora: cosa può equilibrare il peso di questa bilancia? Non si fa niente per niente: cosa può valere per me il peso di quindici anime contro il tempo che risparmierei?” – aveva detto. 

Isaiah fece correre lo sguardo su sua madre, Peterla vedova Rottmeier, sulla bella Emily Weissman abbracciata ai resti del padre, sui fratelli Klein. 

“Un’anima.” – aveva concluso il Nemico – “Una singola anima che accetti la dannazione volontaria e noi ce ne andiamo. Ce n’è forse una là dentro?” 

Nessuno mosse un dito, o fece una voce. Isaiah li guardò e li vide spossati, affranti, intaccati da tutto quell’orrore. Eppure, nemmeno lui si mosse. Fu Emily a parlare. 

“Vado io.” – disse in un soffio. 

“No!” – sbottò Isaiah senza rendersene conto. 

“Andrò io.” – sancì sua madre Sarah, mentre il figlio capiva confusamente quello che lei aveva colto all’istante. Balbettò per protestare, ma fu Heidi Klein a imporre la sua voce. 

“Siamo una comunità. Ezechiele avrebbe voluto che decidessimo assieme una cosa come questa. 

Scrutò la sala. 

Ci sono altri candidati?” 

 

“Come possiamo fidarci?” – gridò Isaiah dalla finestra – “Tu sei il Nemico!” 

“Un patto è un patto.” – disse lui alzando le spalle – “Perché non dovrei rispettarlo? Ma se può esservi di conforto, giuro sul nome di… di… di Colui che non posso nominare, che lo rispetterò: quattordici anime in cambio di una. Va bene?” 

Isaiah era sull’orlo delle lacrime. Dentro, solo tre donne erano in piedi, e due su tre erano parte della sua vita: sua madre, e la donna che aveva scoperto d’amare. 

La comunità si accinse a votare. 

 

I due demoni guardarono Bazaalbub uscire dal fienile, la mano lievemente posata dietro la spalla del piccolo Ben. Il suo corpo riluceva d’una patina solare, bianca, e lo sguardo era sereno. 

“Non lo toccate.” – disse il demone – “Poiché egli è un Giusto.” 

 

L’elegante essere attese che la porta si aprisse e che la giovane donna giungesse fino a lui. 

“Sei pronta a dannarti per l’eternità per loro, ragazza?” 

“Sì” – rispose Edith, in un soffio. 

“Hai fatto un patto!” – gridò Isaiah dalla finestra, soffrendo in uno spasmo di colpa. 

Il Nemico prese la vedova Rottmeier sottobraccio, e s’incamminò a passi lenti fino al corpo del vecchio patriarca. Da dentro la scuola, tutta la comunità di Charity lo seguì, spostandosi alle finestre. 

Ezekiel Weissman, un grande insegnante, devo dire. Peccato.” 

Sospirò. 

“Peccato. Ci sono molti insegnanti, ma pochi maestri. Lui non lo era.” 

Sollevò lo sguardo sui volti improvvisamente atterriti che lo guardavano. Un sorriso demoniaco gli si disegnò sul viso. 

Non v’ha insegnato che non si fanno patti col diavolo? 

Mentre Edith Rottmeier urlava, con quanto fiato aveva in gola, le fondamenta della scuola cedettero di schianto, e la comunità superstite precipitò dritta tra le fiamme dell’Inferno nella voragine che si spalancò sotto di loro. 

“Quattordici anime in cambio di una.” – ghignò il Nemico. 

“Il patto l’ho rispettato.”