L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

martedì 24 agosto 2010

Descrittura

E' uscito l'elenco dei racconti per SFIDA 2010. I miei ci sono tutti, ora stiamo a vedere.
Toccherà aspettare un bel po' per sapere qualcosa, ma tigna e pazienza sono preziose alleate.

Digia mi ha fatto come al solito da prezioso assistente, in qualità di monogruppo di lettura. ^^
E' importante, ed è un po' che me ne sono reso conto, che qualcuno legga quel che scrivi: perché da una parte ti conforta sulla bontà delle tue idee e ti conferma nell'entusiasmo della scrittura, dall'altra ti critica con occhio esterno e ti spinge ad asciugare, stringere, tagliare, risistemare, correggere, stravolgere, rivedere...
Tutte attività fondamentali per non finire con lo sprecare una buona idea. Il confronto - che non vuol dire adesione acritica all'opinione altrui, è necessario non solo nella fase ultima, quella della pubblicazione, dove gli aggiustamenti si concordano coi "correttori di bozze" (ormai specie aliena) o coi curatori del volume (leggasi "quelli di RiLL" visto che ho pubblicato solo con loro, finora). Il confronto è un bene durante la stessa stesura.
Certo, si tratta di cose diverse e con diverse modalità.
Posso confrontarmi su un'idea, o su un tema e ottenerne un'idea, come ho fatto con Gab che mi ha fornito un assist da schiacciata per uno dei racconti. Ma posso anche confrontarmi su di uno sviluppo di massima, su una prima stesura - come faccio con Digia - per poi rimettere mano quasi violentemente su tutto, com'è capitato a un altro racconto in cui, come ci siamo trovati a concordare, dicevo "troppo e troppo presto".
Comunque, il lavoro di trasformazione da uno spunto, un'intuizione, a un racconto, un testo compiuto, è - appunto - un lavorone. Un lavoraccio. Una sudata.
Combattere per restare nei 21.600 caratteri imposti dal concorso non è tanto una limatura o uno stralcio corposo di lettere e spazi vuoti: è una riorganizzazione compatta dell'intero lavoro, è un passare al setaccio di un criterio estetico e sostanziale che, nelle prime stesure, cede sempre giocoforza il passo alla necessità espressiva, il voler dire tutto senza tralasciare niente. L'afflato compositivo.
Poi, il 90% delle volte, quando ci rimetti mano tagli. Tagli tutto. La maggior parte delle volte perché dire tutto è dire troppo. Perché invadi il sacrosanto spazio del lettore nel quale è lui a costruire, a farsi un'idea, a immagin-are. Perché certe sospensioni, certi non detti che portano a suspances, o a fuori campo, rimandano ad altro, creano giochi nel testo. Lo rendono più interessante e a volte più ricco.
Altre volte perché magari quando rileggi ti chiedi se hai mai preso la licenza media. ^_^
E poi, io ho questi due vizi, uno brutto brutto, l'altro scaramantico-estetizzante.
Il primo, è la malaugurata tendenza - che esplode soprattutto tramite stanchezza - a chiudere frasi (o anche all'interno della stessa) a esagerare la cadenza. In pratica, costruisco una messe di rime e assonanze interne che rendono le frasi digeribili come due piatti della mia famosa (o famigerata) pasta alla pesca. Che è dolce, buona, ma un quarto di piatto corrisponde a un vasetto di malta versato nello stomaco e ne imita la medesima leggerezza.
Leggere due periodi scritti in questo modo farebbe calare la palpebra a un caffeinomane insonne, e sottoporrebbe a ben dura prova l'intenzione di continuare.
Per cui, quando rileggo, è una lotta alla ricerca di sinonimi, di costruzioni alternative di frase, di giochi di anticipi e posticipi.
Il secondo, è che scrivo in Word.
E detesto quando l'accapo automatico fa sì che una riga si slarghi con chilometri di spazi vuoti mentre quella sotto è tutta compatta.
Lo so che poi il testo verrà formattato in altra maniera, reimpostato, reimpaginato. Ma quando lo leggo io, provo piacere a trovarlo omogeneo, compatto. Gradevole alla lettura, insomma. E allora anche lì lavoro di lima, cerco giri di parole, vedo se posso spostare una parola lunga prima. E...
...e ritengo, in maniera del tutto irrazionale, che questo mi porti anche fortuna.
Nel senso che il testo poi mi viene meglio. Più piacevole.
^_^

Quindi, così.
Scrivo per il piacere di scrivere, e di farmi leggere. E di vedere che sono apprezzabili le cose che faccio leggere. In mostruosa competizione, devo ammetterlo, con gli altri che partecipano a questi concorsi: non posso celare un pelo di veleno che mi rende acido lo stomaco ogni qual volta leggo nelle loro "righe di presentazione" la messe di premi che hanno già ottenuto! ^^
Ok, ok, perché non partecipo pure io ad altri concorsi dite voi... vero.
Resta il fatto che però è solo per quelle righe: quando leggo un racconto, uno scritto bene, non c'è mica competizione o invidia. C'è sincera ammirazione: "cazzo quanto scrive bene questo/a".
A volte smetto proprio di leggere oltre, e continuo a fare facce stupefatte mentre ripenso a quanto è trascorsa bene la lettura e vago per casa rimuginando su quanto testé letto e... pasturando in giro. Poi, dopo un po', riprendo.
Non ho il libro sottomano per dirvi chi mi ha così colpito. =)P

Nel frattempo, titillo l'idea di pubblicare una raccolta...
Buona vita!


GrimFang

domenica 15 agosto 2010

La donna ideale.

Si chiama Claudia, fa la barista in un bar vicino Santa Croce di Cittareale, sulla Salaria, ma studia biotecnologie a Milano. E' nata a Cittareale.
E questo è tutto quello che so.

Fa strano incontrare una donna che corrisponde quasi in tutto alla tua donna ideale.
Diciamocelo: quanta gente nell'arco della vita ha una simile opportunità?
Chiariamo, non sto parlando di amore.
Ovvio - voi lo sapete - m'innamoro di tutte, quindi figuriamoci di questa. Ma io sto parlando di un'altra cosa, della visualizzazione che, immagino, ogni maschietto almeno una volta ha fatto di come dovrebbe essere per lui la donna perfetta.
Per me, la questione è maledettamente difficile, perché non ho mai avuto gusti precisi. Definiti. Perciò, è chiaro che si possa creare una sovrapposizione, o una contrapposizione. Un contrasto.
Però, su tutte le figurazioni che mi sono fatto, va detto che una certa preferenza andava alle ragazze castane, slanciate, coi capelli lunghi raccolti in una coda.
Basta fare due più due, per capire che questa Claudia è così.
Ed ha anche un naso - a me piacciono molto i nasi - non proprio aquilino, ma dritto, che le stava graziosamente sulla faccia. Decisamente, un gran bel naso. E del buon gusto, perché le scarpe che indossava erano belle, senza essere appariscenti, ma assolutamente... con stile.
Poi dicono che gli uomini non osservano i particolari.

O ancora, quando le ho detto che aveva quasi tutte le caratteratteristiche della mia donna ideale...
...sì, gliel'ho detto.
Perché?
Che c'è di male a dirlo? Ah, capisco, voi pensate che forse, anche solo per cinque minuti, s'è riaffacciato il GrimFang di una volta, quello che pensava che un complimento sincero può mettere in imbarazzo sulle prime, ma poi resta.
Quel GrimFang che non si faceva prendere i crampi allo stomaco ogni volta che faceva il filo a una donna; il GrimFang che non associava direttamente l'assoluto ignoto futuro all'aprir bocca di un momento...
Chissà.
Magari per cinque minuti cinque s'è riaffacciato.
Comunque, visto che s'era scordata di riempire le zuccheriere e noi stavamo quasi facendo un pasticcio (io e Giuseppe, il chitarrista) per mettere lo zucchero nel caffé, lei m'ha chiesto se una delle caratteristiche era proprio quella. L'essersi scordata di riemprle.
Non credo di essere riuscito a farle capire quanto fosse vero quel che aveva detto.
Per me, quello era un tratto in più. Un punto importante.
La mia donna ideale, è una mezza casinista.
Non riesco a fare a meno di trovare questa caratteristica semplicemente adorabile, in una donna.
La donna con la testa un po' da un'altra parte.
Irresistibile.
Sarà che son cresciuto con film in cui questo corrispondeva a donne dolcissime, come Shirley MacLaine o Meg Ryan nel remake di "Nata ieri"... e di conseguenza a grandi amori romantici.
Mah.

Comunque, l'effetto è strano.
Stai lì, a guardarla, e ti diverti a osservare i tratti che non hai mai enumerato, e che finora erano state solo singole asserzioni generiche: mi piace la donna così, così...
E vedertela davanti. Capire che è reale.
Guardate che questo è il punto.
Poi magari non la desideri come altre donne, che prenderesti alla Clark Gable per un bacio incendiario dietro al banco. ...o altro. Magari non c'è passione esplosiva, trasporto, solo una grande, intensa soddisfazione.
La guardi, e capisci che da qualche parte, in questo mondo, quello che uno sogna esiste; o perlomeno qualcosa che ci va tantissimo vicino. Puoi tirare le somme e scoprire che magari non è quella la donna che hai sempre voluto - o meglio - che hai sempre detto di volere... Oppure confermerti nella tua opinione: sì, è più o meno così.

Sapete?
Ringrazio di non aver avuto più tempo per conoscerla.
Non perché, come molti di voi penserebbero, conoscerla avrebbe potuto creare insanabili distanze con le mie aspettative e quindi disilludermi. No.
Per l'esatto contrario.
Perché sarebbe stato ancora peggio scoprirla migliore di quel che appare, e passare il resto del tempo a pensare che la mia donna perfetta è davvero così, e vive a Milano.


GrimFang

Briganti!








giovedì 5 agosto 2010

Bianco, verde e rosso

Bianco, non è difficile capire perché.
Siamo ad agosto, e il sole l'ho visto più sotto forma di botte di caldo e insolazione che di abbronzatura. E dire che, come al solito, quest'anno m'ero riproposto di fare un po' di mare, come non mi capita da anni... Solo che ho un debole per le bruciature.
Beh, quel poco di colorito che avevo preso montando la piazza di Ludika sotto al sole (cercate su Youtube, ci sono dei bei video) ormai s'è perso, e al massimo ho dei vaghi riflessi rossi proprio a farci caso.

Verde, beh, sono al verde.
Ho fatto la fila, stamane presto, alle poste per prendere la carta PostePay. Mi serviva per comprare online il biglietto, per andare a Londra da Sara. Senza stare ad appoggiarmi alle carte degli altri. Tanto poi, mi sono detto, la userò anche per qualche acquisto su Ebay, no?
"Costa 5 euro, e almeno 5 euro li devi mettere nella carta" - mi avevano detto - "ci vogliono cinque minuti".
Avevano ragione sulla prima parte, non sulla seconda.
Arrivo alle poste e vedo la fila unica, erogatori eliminacode fuori uso. Visto che è la seconda posta in tre giorni che vedo in quella situazione spero in un miracolo, ma stavolta mi tocca fare la fila. Che non è nemmeno impossibile: diventa molto peggio cinque minuti dopo, ma io sono già in fila.
Fremo, perché devo andare in ufficio. Ho già avvisato del ritardo, ma mi sono anche accorto che mi sta morendo la batteria, e se mi dovessero chiamare...
Arriva finalmente il mio momento, mi presento al signore al banco, dico cosa voglio e...
Mi porge un modulo.
"Devi riempire questo" - mi fa - "ma c'è la fila, non posso fartelo fare qua..."
Vabbé, dico io, mi scosto lo riempio e torno.
"Ti tocca rifare la fila, però."
Sbianco.
"Non posso farli aspettare..." - dice, come in tono di scusa.
"M-ma io devo andare a lavoro..." - balbetto, gemendo.
Contrattiamo quasi gestualmente, la concessione è "...se ti fanno passare loro..." espressa con alzata di spalle, indicazione del mento e gesto vago della mano. Quella fila ora è una minaccia. Quella gente, il mio nemico, o un insperato alleato.
Indietreggio di poco, mi appoggio a una sedia e riempio furioso il modulo, il più veloce possibile.
Solo uno mi ha passato. Mi rialzo, mi rimetto a capo della fila. Nessuno protesta, questo è già un bene.
La signora accanto si rivela un amico nemico con posizione neutrale: visto che il tizio della mia postazione è sparito, io aspetto lui e loro vanno dagli altri. Affare fatto.
"Anche perché la penna è sua" - trillo, con malcelato trionfalismo, agitando la bic nera che mi ha prestato.
Torna, e avrei voluto essere andato da un altro.
E' lento, esasperante, e sparisce. Prende i miei documenti, li fotocopia (e sparisce), poi torna... e non li ha. Li ha scordati. Sparisce un'altra volta.
E così via, un lento calvario, mentre io vorrei schizzar via da lì e prendere il 409.
Primo, perché c'è un'aria condizionata incapacitante: la signora accanto a lui, alla postazione vicina, parla con una collega di come il maglione che indossa sia di lana, invernale, talmente caldo che lei di solito NON lo mette quando va sui campi da sci...
Nel frattempo un altro tipo inquietante fa avanti e indietro fra il retro dell'ufficio e la saletta privata (quella dove fanno tipo le consulenze) recando seco oggetti ameni quali uno scopettone privo di tessuto (solo l'anima in ferro) e un lungo bastone di metallo che termina in un gancio col quale, una volta che è sparito nella saletta - che ha un separé alto due metri, ma non arriva al soffitto - cerca di armeggiare con uno dei condotti dell'aria condizionata. E noi che siamo in sala vediamo tutti i patetici tentativi di usare quelle aste per un arcano e imprecisato motivo...
E poi, perché una delle impiegate ha detto ad alta voce che se qualcuno ha il Bancoposta può andare al suo sportello.
E una signora dalla fila ha detto che ha il Bancomat.
E l'impiegata col maglione ha detto "che c'entra?" e da lì è partita la battaglia dialettica fra una che cerca di spiegare a quella che ritiene una mentecatta che posta e banca sono due cose differenti, e l'altra che magari a metà filippica l'ha pure capita, ma non vuole passare per tonta e non la finisce.
Alla fine ci siamo. Devo decidere con quanto caricarla: chiedo se posso trasferire i fondi dalla carta Bancoposta e ricevo risposta affermativa. E' fatta. Fra poco non sarò più lì. Il biglietto costerà sui 250, ci metto 300 e passa la paura.
"Non si può."
"Scusi?"
"Credito insufficiente per portare a termine l'operazione." - legge.
Scusi? - mi ripeto mentalmente.
Scusi?

Non sottovalutate mai l'importanza di un regolare controllo dell'estratto conto.
Il mio, semestrale, l'ho preso quando sono andato a cena dai miei, lunedì.
L'ho aperto martedì, e l'ho letto.
"Porca paletta" - mi sono detto - "cazzo quanto ho speso".
Il saldo iniziale era quasi duemila euro. Il finale settecento.
Ho guardato le cifre, ho cercato di ricordare le date. Qualcosa era evidente, le spese fisse mensili. Altri, riconoscevo i prelievi, e mi preoccupavo per quelli più ravvicinati: cose tipo "Come cazzo li ho spesi cento euro in tre giorni?!?", ma purtroppo ormai privi di risposta. Ah, ecco, mi sono ricordato quando ho preso i dvd. Brutta botta.
Altre ancora sono motivate proprio dall'uso della carta, tipo Cisalfa. C'è scritto, te lo ricordi.
Ma sentirti dire così, di punto in bianco, che non hai trecento euro sul conto, è una pessima, pessima cosa. Sì, ti ricordi che lo stipendio te lo accreditano l'otto - e oggi ci fai una figura con la collega della ragioneria (quella più carina di tutte le colleghe) quando impacciatissimo le chiedi se i pagamenti sono partiti o per qualche motivo ritardati fino alla riapertura... perché hai un problema di liquidità... - dicevo, te lo ricordi, ma non conta.

Sei in rosso.
E' questo che ti dici, è così che ti senti.
Ti senti che hai sul conto una manciata di spicciolame. Trenta euro, pensi.
Ottimista: sono undici.
E nemmeno questa è la verità, perché tu, sulla carta PostePay, i trecento ce li hai messi. Hai solo dovuto tirare fuori di tasca i cento che avevi prelevato ieri, e spostare i duecento che c'erano dal conto. Ma ora hai trecento euro su una carta che non usi e undici miseri euro sul conto da cui scali le tue spese fisse: mezzo stipendio.
E pensi, pensi, mannaggia quanto pensi.
Mio zio mi ha dato cinquecento euro, dritti sul conto, che io non ho speso, pensi.
Beh, li hai spesi.
Non come hai detto che li avresti spesi a tuo zio, e i trampoli perdiana li vuoi ancora comprare. E ne avanzavano parecchi di soldi, oltre ai trampoli.
La macchina ha bisogno di cure: cambio dell'olio, cambio dei pneumatici, controllo, ricarica o sostituzione delle sospensioni, e quel maledetto rumore che fa la ventola da quando hai tamponato la studentessa di teologia che soffre di attacchi di panico. [Che culo, eh?]
E quelle non sono spese che puoi rimandare, che se la macchina ti muore... tu sei fottuto.
E dire che proprio martedì i tuoi si sono offerti di pagare loro le gomme.
Grazie al cielo, dici adesso, con la coda fra le gambe.

E' dura, è terribile, avere la consapevolezza in pochi istanti di quanto male abbia gestito i miei soldi.
M'ha fatto male. M'ha rovinato la giornata.
Mi sforzavo di non pensarci e sorridere, di metterla in burletta, ma senza successo. Mi sono sentito morire dentro.
Non per l'indipendenza, la vita da solo, cioè anche per questo, ma per il fallimento epocale, l'Epic Fail. Undici dadi da venti, tutti uno.
La tragica necessità, la consapevolezza che questo stipendio non basta.
Non mi garantisce una vita, non mi garantisce una vita dignitosa. Se ereditassi una casa dai miei, non riuscirei a mantenerla.
E penso a quel collega che, quando stacca, va a lavorare al ristorante come cameriere. Certo, non sempre, ma arrotonda. E lui è fisso. Indeterminato.
Poi dici che non ti prende l'ansia di esistere.
Che non ti viene in mente un mondo dove se compri un dvd, salti una cena.

Questo mondo è per i ricchi, o per gli asceti.


GrimFang