L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

mercoledì 31 dicembre 2008

Buon anno!

Sono le 18, e come ogni anno di 31 dicembre si sta per festeggiare il Capodanno.

Come ogni anno, ho deciso ieri dove andare.
Come ogni anno, non sono molto convinto della scelta che ho fatto.
Come ogni anno, è maledettamente troppo tardi per mettersi a scrivere un post serio, specialmente per un logorroico come me.
Come ogni anno, non ci ho pensato prima, a scrivere un post decente.
Come ogni anno, sono pieno di bozze di post iniziati mesi fa, che ancora non ho finito.
Come ogni anno, quelli non più attuali verranno cestinati.
Come ogni anno, si butta una cosa vecchia e si compra una cosa nuova.
Come ogni anno, s'indossa una cosa vecchia e una cosa nuova.
Come ogni anno, non butto un cazzo e metto su qualcosa di decente, però in genere l'indosso una cosa vecchia e una nuova.
Come ogni anno, sono le 18.18 e mi devo ancora vestire.
Come ogni anno, ci si veste con almeno un indumento rosso.
Come ogni anno a parte il 2000, dubito che qualcuno vedrà le mie carminie mutande.
Come ogni anno, porta fortuna economica mangiare lenticchie.
Come ogni anno, le mangi e non cambia un cazzo.
Come ogni anno, ci sarà zampone da mangiare.
Come ogni anno da un po' di tempo a questa parte, cercherò di mangiarne poco o non mangiarlo, perché è grasso da far schifo. Ma si sa, se non lo mangi poi non sembra quasi nemmeno Capodanno...
Come ogni anno, ci si scambiano auguri più o meno sentiti per un qualcosa che, prosaicamente, potrebbe essere definito "i prossimi 365 giorni". Fa meno effetto così, eh?
Come ogni anno ogni tre, vale il 365 e non il 366. E va bene così.
Solo quest'anno, negli auguri agli amici per qualcuno va specificato: "ovunque tu sia".
Come ogni anno, si fanno buoni propositi per l'anno a venire.
Come ogni anno, ancora devo finire quelli vecchi...
Come ogni anno, faremo tanti botti, tante cerimonie, andremo a letto tardi e probabilmente domani avremo un giorno pigro e col mal di testa.
Solo quest'anno, ho anticipato 50 euro in superalcolici e succhi di frutta.
Come ogni anno, in un modo o nell'altro, bene o male, avremo passato un altro anno.

Come ogni anno, faremo festa e auguri, e cercheremo di farci forza per tutta questa massa lunga di giorni a venire, con la befana, le feste, i compleanni, le messe in scena, gli scritti, i concorsi, le storie di vita, le relazioni sentimentali, la pasqua, il primo maggio, la festa della Repubblica, Berlusconi al governo (qualche anno sì, qualche anno no), il ferragosto, il Festival di Venezia, Ludika, Romics, Lucca, la primavera, l'estate, l'autunno e ancora l'inverno, il Natale, Santo Stefano... Per finire, come ogni anno, con un nuovo Capodanno.
Come ogni anno, vi auguro un anno nuovo, un 2009 in questo caso, in cui il vostro cervello funzioni a pieno regime, il vostro senso critico sia affilato come la lama di un rasoio, la salute non vi abbandoni e non vi manchino gli affetti, e soprattutto, non vi venga mai meno, neppure per un istante, la consapevolezza che la vita vale la pena d'essere vissuta, che il gioco vale la candela a prescindere, e la serenità per farlo. Con gioia.
Auguri


GrimFang

mercoledì 24 dicembre 2008

Buon Natale!

Buon Natale e auguri a tutti!!!

^___^


GrimFang

martedì 23 dicembre 2008

Letame

Volevo rendervi partecipi di qualcosa in cui mi sono imbattuto: una meditazione; precisamente la numero 354 del libro "Il Tao per un Anno" di Deng Ming-Dao:

Letame

ideogrammaLetame.gif

Il letame è un ottimo fertilizzante.
La vita ha le sue scorie.


A volte è necessario nutrire le nostre piante oltre ad annaffiarle, e il letame è un ottimo fertilizzante.
Non è buffo? Una cosa che troviamo così repellente quando ci si attacca alle scarpe, è invece così importante per alimentare la vita.
Nei campi, nulla va sprecato. Il concime è utilissimo per la crescita: coltiviamo piante, ci nutriamo di piante ed espelliamo piante, e restituiamo le scorie alla terra in modo che le piante possano ricrescere. In verità, tutto ciò che abbiamo ci viene solo concesso in prestito.
Lo stesso vale per la sfortuna, gli insuccessi e le delusioni della vita. Se riusciamo a comprendere l’importanza del letame, scopriamo che in realtà nulla va mai sprecato: qualunque cosa può rivelarsi preziosa, se adeguatamente utilizzata. E anche le scorie della vita possono diventare un fertilizzante che ci aiuta a crescere e a fortificarci.


GrimFang

venerdì 19 dicembre 2008

Film sbagliato nel momento pessimo

Ho visto Changeling.
Bello.
In alcuni tratti un po' lento, con un finale che fatica ad arrivare, per cui ogni volta ti chiedi "ma non poteva finire qua?".
No, sono ingiusto... Racconta una vicenda vera, e finché la realtà non finisce è giusto che la storia continui. Purtroppo, perde gran parte della forza. Quando sullo schermo per voi si risolve il nodo centrale della faccenda, c'è ancora un quarto d'ora di film.
Brava la Jolie, che fa capire che si sente mamma sul serio, e non ha adottato o avuto i suoi bambini così 'tanto per', come buona parte delle stelle di Hollywood. In alcuni punti capisci che quella donna lì sta recitando chiedendosi "e se accadesse a mio figlio?"... Certo, magari le trema un po' troppo spesso il labbro inferiore, ottenendo l'effetto leprotto spaurito tanto caro al buon vecchio Walt, però...
John Malkovich è bravo come sempre, anche se da "Le relazioni pericolose" in poi gli è rimasta appiccicata addosso un po' quest'aria da stronzo pure se fa il buono come il pane.
Gli altri... bravissimi Michael Kelly e il ragazzotto Eddie Alderson: loro due tengono banco quando sono in scena, e del secondo è la scena più bella e inquietante del film, quando osserva un ragazzino ciccione che batte ritmicamente un righello di legno sulla gamba. (eh eh eh...)
Anche Jason Butler Harner è bravo, e sa rendere l'inquietudine del suo personaggio. Anche se ho il vago sospetto che il buon vecchio Clint l'abbia cazziato per farlo restare dentro le righe... ostenta una sorta di gigioneria repressa.
Quindi, in fondo, un film da vedere.

Magari, non dieci minuti dopo aver attaccato al telefono con Chiara.
Magari, non proprio nel periodo in cui dopo due mesi stiamo ancora cercando il Deso.
Magari (fosse stato così) in un momento di relax, senza pensieri, in cui è difficile che ti s'incupisca l'animo.

Vi avviso che in questo paragrafo sputtano la trama del film.
Il film parla di una madre cui scompare il bambino. E del mazzo che si fa per cercarlo. E per trovarlo alza un polverone tale che, a un certo punto, la sbattono in manicomio per togliersela dalle scatole, dicendo ch'è pazza.

L'analogia con la scomparsa del Deso ovviamente non c'è, o regge fino a un certo punto.
Lì erano gli anni Trenta, in cui una donna fa quello che può, cioè niente tranne non darsi per vinta. Però ammetterete che può comunque andare a scavare, in certe situazioni che possono generare certi paralleli, in emozioni scomode.
Ma io ero preoccupato per altro.
I film che parlano di follia, di manicomi, di disagio mentale, mi fanno salire su un certo rigurgito di ansia e paranoia che con gli anni sono riuscito a sedare, abbastanza bene.
Sono il retaggio della non-storia (per fortuna?) con Chiara, di cui vi ho accennato, ma forse mai veramente parlato.
Se lo avessi fatto, a beneficio di coloro che si sono sintonizzati su questi canali da troppo poco tempo per saperlo, proverommi a fare un breve riassunto.

Dopo essermi lasciato con Fabiola, nel maggio 2000, ho avuto un periodo più o meno lungo di mezzi tentativi, mezze tresche, mezzi flirt dal, direi, misero successo.
Con Stefania ci siamo saltati addosso in un letto in cui dormivano altre due persone (amici), ed è suonata la sveglia dopo nemmeno tre minuti. In un nanosecondo eravamo lì a fare i vaghi mentre tutti si alzavano. Dopo, il fatto che io ci tenessi a non avere una storia e a sentirmi più libero ha fatto sì che si stabilisse una distanza siderale.
Con Tiziana, è stata forse l'unica vera volta in cui io abbia rimorchiato una donna facendole perdere la testa in cinque minuti. Vista in fiera, abbordata avendo cura di sedermi accanto a lei alla cena, e - UNICO contatto della serata - le ho rivolto la parola UNA VOLTA SOLA, per fare un commento sul suo modo di essere.
Lei mi ha risposto stizzita, del tipo "ma questo che cazzo pretende di sapere di me?!" ed io ho colto la palla al balzo per descriverle in cinque minuti precisamente com'era fatta, neanche stessi leggendo un libro ad alta voce, comprese cose che lei stessa ignorava di sapere. Dopodiché NON ME LA SONO PIU' FILATA.
...ha fatto carte false, per rivedermi.
Poi, una sera, siamo finiti a letto insieme, ma mentre si stava per, lei mi è sembrata un po' frenata, e quando gliel'ho chiesto lei mi ha risposto, con tono d'accusa "lo vuoi capire che sono vergine?!?".
E alè. La mia necessità primaria è stata quella del "non farla sentire respinta", ma, avendo anche a lei chiarito che non volevo una storia, mi è sembrato orribile approfittarne comunque.
Con Anna è stato diverso, perché c'era tutto lo spazio e l'intenzione non per una storia, ma per una tresca, almeno. Ma anche con lei, nonostante tutto sembrasse cospirare a nostro favore - eventi, situazioni... - al momento del 'concludere', che brutto termine ma non mi viene in mente un altro giro di parole, il mio spirito cavalleresco ha notato la solita maledetta distanza, e ne ha chiesto spiegazione. Alla seconda richiesta di spiegazioni l'ho preso per un no. E da lì tutto è andato a perdersi.
Infine, Kiara con la K per distinguerla dalle altre, conosciuta all'ufficio di collocamento, frequentata, invitata a casa un giorno miracoloso in cui era vuota, mi salta addosso e 'si conclude' (salvo pausa arrivo amico - scusa Vale', non l'hai mai saputo, ma m'hai beccato con la mano nelle sue mutande), finalmente. Ma...
Ma Kiara mi usa, di brutto. Mi svuota. Non mi dà nulla e prende tutto. Me ne accorgo e mi sento male, sto di schifo, e lei che fa? Se ne va nell'altra stanza a guardare la televisione.
Cristo...
Da allora la considero l'esperienza più negativa della mia vita, e non la auguro nemmeno al mio peggior nemico.

Questa era la premessa.
Ora parliamo di Chiara.
Io e lei eravamo compagni all'università. Frequentavamo l'auletta occupata, canne, serate nei centri sociali... lei più di me, comunque. Non avevamo gli stessi giri di amici, a parte negli spazi universitari, ma qualche rara volta c'è anche capitato di uscire insieme.
Ma col senno di poi, io ho ricordato che era in auletta quando io, contento di musica e testo e desideroso di far ascoltare a qualcuno la canzone che m'ero inventato, ho scelto lei.
"Dimmi che m'ami / amore come sei piccola stringimi / le mani.
Dimmi ch'è vero / amore come sei dolce sembri di / zucchero."
Ed è lì che mi piace pensare d'essermi davvero innamorato di lei.
Abbiamo cominciato a frequentarci di più quando lei ha cominciato a giocare di ruolo nel mio gruppo. Ed è stato lì, dopo almeno due, tre anni che giocavamo insieme, che ho cominciato a notare quanto era carina. E quanto si vestisse bene, tutta acchittata, per venire a passare, in fondo, una serata in casa con gli amici.
Ed ho sperato che lo facesse per me. L'ho desiderato con tutta l'anima.
Ho chiesto conferme a Chicca - altra mia giocatrice - per non prendere una colossale cantonata, ma anche lei mi ha confortato in una simile impressione.
Ma era troppo tardi.

Nessuno lo sapeva, ma Chiara era già in esaurimento nervoso.
Una sera, durante una pausa della partita, Chiara va al bagno; Chicca viene da me allarmata e mi dice che sembra che pianga. Vado, aspetto fuori della porta, preoccupato. Quando esce e mi vede indurisce il viso e mi chiede
"Tu che ci fai qui?"
Provo a dirle che ero preoccupato per lei, ma l'intuizione di quanto stia male, e come sia profondo il suo malessere m'arriva come un cazzotto allo stomaco.
Vomito.
Non ho mangiato niente, ma vomito.
Lei si preoccupa, si allarma: l'ho spiazzata. Era convinta che nessuno potesse capire come stava, e invece c'è. Prova a starmi vicina, forse sensi di colpa, ma mi arriva di nuovo l'esatta cognizione del suo soffrire.
Vomito una seconda volta.
Poi mi sdraiano sul letto, stanco e sudato, tremante.
Sento che si preoccupa, che si sente in colpa, che ci tiene a non lasciarmi ora che... boh, ora che c'è qualcuno che l'ha capita.
Ci tiene.
Mi faccio riportare a casa da lei che non ha la patente, invece che da Andrea che ce l'ha.

Così è cominciata.
Ed è proseguita con il mio stupido istinto di crocerossino, il "io ti salverò" ch'è una delle cose più false che abbiano mai coniato, come il concetto di normalità...
"Tu ti salverai" sarebbe corretto.
Ho cercato di starle vicino, anche se starle vicino destrutturava ogni mia sicurezza e metteva in crisi il mio io, generando in me la più acuta paura di tutto ciò che genera la perdita delle facoltà mentali. Le sono stato vicino per confortarla, rassicurarla e non lasciarla sola.
Sono stato l'ultimo ad essere accusato da lei di qualcosa, distruggendo relazioni a manetta come faceva, e l'unico col quale la rottura non sia stata che parziale, mirata: "io e te abbiamo chiuso! ...per quanto riguarda questo.". ^_^
Le sono stato vicino senza dirle che l'amavo, sempre di più, perché era un uccellino ferito che aveva bisogno di me: sull'amore vero si metteva anche l'amore un po' meno sano, quello che ti fa sentire indispensabile per qualcuno quando non dovresti mai esserlo...
Le sono stato vicino fino a quando anche il mio sistema nervoso non ha cominciato a patirne, fino a quando la spirale in discesa non mi ha fatto capire che non aveva senso precipitare in due.
Le sono stato vicino fino a quando non mi sono dato alla fuga; ma anche quando mi sono dato a gambe levate non l'ho abbandonata, e continuavo a mandarle messaggi, a rassicurarla, a spiegarle la situazione. A dirle che anche se scappavo era per istinto di sopravvivenza, ma non smettevo di volerle bene. E credo anche che l'abbia capito.
Alla fine, grazie al Deso con cui ci siamo fatti concorrenza spietata per Chiara (ma lui non sapeva che stava male - vinse lui e scappò terrorizzato nel giro di mezz'ora), riuscii anche a dirle che ero inamorato. Mi respinse, forse perché non voleva privarsi di me.
Come picco negativo ricordo la telefonata in cui, in un momento in cui mi stavo divertendo, una giornata di sole, mi chiese aiuto perché vedeva il sangue sgorgare dal pavimento... ed io ero comunque troppo distante per non fare altro che soffrire e basta, senza poter essere di conforto altrimenti.
Poi...
Poi tanto fa la distanza, il non sentirsi, e la terapia.
Vado dallo psicologo da allora, per smettere di avere paura a buffo, così, la notte. Smettere di vedere nera l'esistenza, di non avere più riferimenti, di sentire che a tratti il mondo cede... di cercare la pace con sofferenza.
Smettere di dover andare a dormire a letto con papà, a 27 anni, per riuscire a prender sonno e smettere di tremare. O di vomitare.

Talmente tanto fa la distanza, fisica, temporale, o la terapia, che raccontandole - un giorno a casa sua - i benefici che ne traevo, la spinsi ad andare dallo psichiatra.
Che le diagnosticò la schizofrenia, e le prescrisse i farmaci.
Per un po' li ha presi, ma non abbandonando lo stile di vita canne e centri sociali che aveva, li mollò in seguito; pian piano come doveva, ma troppo presto.
Io non stavo meglio quando la vedevo, e pian piano sono sparito.

La vita continua a metterci davanti, ed il tempo che passa rende più gradevole anche l'abisso in cui hai guardato.
L'amore non fu consumato, e ad oggi potrei dire che niente è riuscito a prenderne il posto, finora: dopo di lei c'è stato il nulla.
A guardarla da qui, potrei descriverla come la scena che si vede quando è passato lo tsunami, o il tornado. Attorno a me, il cumulo di macerie delle mie certezze, delle mie presunzioni. I resti sparsi della mia spensieratezza, del mio vivere senza problemi, dei miei ideali. Arido, vuoto; da ricostruire.
Per stare con lei sarei stato disposto a condividerla con un esercito di uomini. Disposto a ingoiare rospi mai pensati prima, e devo dire che per questo m'ha insegnato molto sull'amore. Sull'imbecillità di concetti come tradimento e gelosia, sulla potenza devastante di quest'emozione.

Questa, a grandi ed imprecise linee, la nostra non-storia.

Forse ora riuscite a capire perché, avendola reincontrata per caso all'università, da una parte mi facessi qualche problema e dall'altra mi stupissi dell'assenza di reazioni da parte mia.
Beh, le reazioni sono arrivate quando ho visto il suo nome sul display della chiamata. In un nanosecondo mi sono piombate tutte addosso: le ansie, le paure che avevo stupidamente pensato di aver risolto. L'oscura onda dell'ignoto.
Le domande più insulse si sono affacciate alla mia mente: perché, cosa vorrà, in quale stato mi chiama, sta per ripiombare su di me un periodo altrettanto oscuro della mia vita?
Quando guardi nell'abisso l'abisso guarda in te.
E pensare che grazie a quell'assenza di reazioni m'ero stupidamente convinto d'averla superata!
Mi ha chiesto di uscire sabato, per parlare, bere un bicchiere di vino.
Ma io ero l'animale in paranoia, il cerbiatto che parla col lupo.
Ho tergiversato, ma non le ho detto un no pieno. Avevo bisogno di tempo.

E andavo a vedere Changeling.

La nausea mi avrebbe fatto rimanere in casa, protetto, al caldo.
Sbagliato.
La terapia almeno in qualcosa dà i suoi frutti, e mi sono forzato a uscire. Anche se avevo voglia di vomitare.
C'era il vantaggio che avrei incontrato Erika, che veniva al cinema con me, e che avrei trovato un supporto valido per appoggiarmi. C'era la necessità di non rientrare nel guscio, di combattere, di lasciarmi alle spalle le ansie e le preoccupazioni: non è possibile che sia una semplice telefonata a decidere della tua vita, di quello che fai o non fai.
Ho combattuto, sono arrivato che Erika ancora non c'era, faceva un freddo becco.
Stavo per cedere, quando ho chiamato Erika per avvisarla che forse non restavo; ma lei era dietro l'angolo, ed il riscaldamento della sua macchina, quando son salito, ha giocato a mio favore.
Erika mi è stata di conforto non tanto per preziosi consigli quanto per calore umano, e alla fine mi sono anche accorto che un po' del mio malessere era aumentato psicologicamente: caricato per poter affermare qualcosa come "guardami come sto male, mi ha chiamato Chiara"...
Compatiscimi. Rendimi il centro dell'attenzione.
Molto, molto teatrale.
Molto, molto stupido.
Anche perché il disagio è reale. Dovessi vomitare ogni volta che voglio attirar l'attenzione...
Quindi, piano piano, mi sono calmato, ed Erika mi ha convinto ad entrare. Ho provato a vedere se c'era altro al posto di Changeling, ma erano tutte cagate pazzesche. In più, Erika aveva un biglietto gratis anche per me...

E' stata una sofferenza.
Durissima.
Spesse volte, nelle scene ambientate nel manicomio, dovevo guardare i copri lampada della sala e mettermi a contare i buchini che c'erano sopra per non consentire al mio cervello di pensare.
Ogni tanto, avevo il bisogno fisico di fare un commento anche stupido a bassa voce ad Erika, per confermare a me stesso che mi trovavo in una sala cinematografica con un'amica, e non da solo con me.
Alla fine del primo tempo, un singulto di terrore si accompagnava alla certezza che di film ce n'era altrettanto. Presa a male, disturbo, di nuovo voglia di scappare a casa. Erika mi convince con la scusa più imbecille di questo mondo:
"Ma no, non ne manca tanto, il cartello di fine primo tempo ormai lo mettono dove vogliono..."
Ma basta a convincermi, perchém si spengono subito le luci.
E giù ancora a veder scene atroci, a cercare di valutare la scelta dell'inquadratura o la competenza del fonico per non sentirsi coinvolto.
Una via crucis.

Una via crucis che ha dato i suoi risultati.
All'uscita, sigaretta e due chiacchiere in macchina su cose normali: il lavoro, i ragazzi (suoi)... Il mondo non è un assoluto: nel bene e nel male. C'è spazio per la nostra imperfezione.
E forse mi ha consentito oggi di chiamarla con uno spirito quasi del tutto sereno.
"Ciao! Per stasera mi sarei liberato, ma sono un po' a pezzi..."
"Eh, guarda anch'io, sono stata in giro tutto il pomeriggio a fare regali..."
Rido di gusto, felice.
"Esattamente lo stesso!!! Che dici, ci vediamo domani?"
Mi chiamerà tra una decina di ore...


GrimFang

sabato 13 dicembre 2008

Di gnocca, di tango e tsunami! - II parte

Tango.

Ho sempre voluto ballare il tango, ma mai abbastanza da segnarmi a una scuola di danza.
Anche perché, ex-aequo, c'è anche il tip-tap e il flamenco: come fare torto a due per privilegiarne uno?
Così, quando ho scoperto che quest'anno si ballava il tango, ho goduto come un riccio.
Saremo la pantomima del tango, e lo spettacolo somiglierà di più alla Corrida di Corrado che all'Inferno di Dante, ma...

Il tango mi piace perché è passione.
Codificata, ma germogliata nell'improvvisazione.
Il tango è la mia parte che manca, ed è la mancanza di una parte che ti fa ballare il tango.
Il tango è Lisbona, città malinconica la cui assenza l'avverti mentre ci sei, con quell'oceano sconfinato davanti. Il tango è l'amore, anzi, le storie d'amore, col loro inevitabile copione di passi già calpestati.
Il tango sono le tavole di Hugo Pratt sul tango: dettagli.
Il tango è la scarpa col tacco alto della donna che si solleva alla fine di un passo solo accennato, che ruota assieme alla gonna vorticosa in un rapido cambio di lato.
Il tango è l'armonium, il bandoneon, l'organetto e la fisarmonica di Astor Piazzolla; è l'armonia della libertà ricavata nel tradire le regole, tradire le donne, gli uomini, i passi, le relazioni.
Il tango è il battito cardiaco che ti fa scordare del mondo, è la sua illusione. La malinconia di qualcosa di già perso è invece la milonga. Il tango è lo sbruffone che esce dal bar con il coltello in tasca, come si usciva dalle osterie nella Roma dell'ottocento. Il tango non è il delitto d'onore né quello passionale: è la possibilità che questo possa compiersi.
Il tango è tutto questo e molto di più, per me che sono un neofita e non conosco il tango. Ma lo amo.

Rientrati dalla pausa, si devono formare le coppie per il tango.
Ancora succube nella memoria della coppa Inox, cerco, guardo e spero in Sara, che cambia cavaliere. Mi tocca Ester, e nel cambio - chiedo perdono, ma trattasi di puro criterio estetico/ingrifatorio - è proprio una doccia fredda.
Però, siamo buoni amici e almeno questo consente di apprendere con gioia quel primo, forse anche un secondo, passo di tango.
Perché il tango è difficile, penso.
Lo è.
Ma Vania è pazzo, quindi si tratta di un'intera figura di tango.
Non due, tre movimenti da mandare a memoria ed esercitarci per farli almeno alla perfezione, e niente musica: forse perché il tutto è assai più veloce, sicuramente perché - a detta sua - il tango comincia sulle ultime tre strofe di canzone, che son quelle in cui noi, a tempo di tango, dovremmo andare a formare le coppie.
Immagino che la scena, vista da fuori, sarà assai simile a quella che può osservare un biologo al microscopio molecolare nello studio dell'attività cellulare; oppure uno che osserva gli intoppi che si formano a Termini davanti all'ingresso della metro A.
"Scusi, permesso - Passi prima lei - Dove va? - Eh, due secondi fa vedevo la schiena della mia amica, ora non la vedo più - Andreaaaa, dove sei? - Mi scusi, signora, che questo bimbo è suo?"
Si parte frontali, l'uomo ha la mano destra delicatissima a toccare la donna sul fianco, la donna ha la mano sinistra lievissimamente appoggiata sulla spalla destra dell'uomo; le altre mani sono intrecciate e tenute molto in alto, sopra l'altezza della testa.
Primo movimento.
In tre tempi, il cavaliere solleva il ginocchio e manda indietro la gamba destra; la donna fa scivolare avanti la gamba sinistra e aggancia il tallone dietro al tallone sinistro dell'uomo, ben piantati entrambi a terra.
Secondo movimento.
L'uomo gira la testa da destra a sinistra (o era il contrario) in tre tempi; la donna fa scivolare indietro la gamba destra.
Terzo movimento.
Primo tempo: l'uomo guarda la donna. Secondo tempo: l'uomo si sporge sollevandosi verso di lei ed alza il tallone della gamba destra, tipo un calcetto, poi lo riappoggia al suolo. Terzo tempo: la donna fa la stessa cosa.
Quarto movimento.
Primo tempo: tenendosi sempre per mano ci si allarga e si porge il busto verso il lato (l'uomo dal lato destro, la donna dal sinistro). Secondo tempo: le gambe che si toccano si sollevano e ruotano per colpirsi a vicenda sul lato esterno del piede, poi riatterrano davanti al busto mettendo dritta l'anca. Terzo tempo: l'uomo tira la donna per la mano, lei fa una piroetta su se stessa ed atterra in caschè con le spalle sul braccio libero dell'uomo ed il culo sulla sua gamba sinistra, che come detto era protesa in avanti (questo ovviamente se uno lo fa bene...).
Quinto movimento.
L'uomo solleva la donna a fianco a sé, anca contro anca ed orientati in versi opposti, ma quasi contemporaneamente con un piccolo calcetto del piede destro ed una spinta di anca ruota anche lui, finendo col trovarsi dietro di lei. Molto stretto. La posizione, si potrebbe definire dello "sclap sclap all'impiedi", con area genitale lievemente a pressare (brrr...) sulle di lei natiche, e braccio sinistro - col quale la tieni per mano - che la cinge all'altezza del seno (ghhh...). L'uomo la stringe leggermente a sé, poi solleva il braccio sinistro in alto e le dà una simbolica spinta con la mano destra sulla spalla destra; la donna piroetta via su se stessa, finalmente libera di andare a cercarsi un altro compagno di ballo o di andarsi a togliere le scarpe se le fnno male i piedi (ma quest'opzione non è prevista a teatro).
^__^
Et voilà, questa è l'intera figura (non dico di cosa) che ci vuol far fare Vania.
M'intratterrò su valori simbolici e metaforici di questa figura di tango quando avrò bisogno di darmi un tono e sembrare più serio.

Con mia gradita sorpresa, appena si formano le coppie scopro che Ester il tango l'ha studiato, per cui ho una compagna di ballo d'eccezione. E quando si tratta di ripetere la figura per memorizzarla, scopro che il lancio della compagna alla fine della figura serve per cambiar coppia: tutte le donne si cercano un nuovo compagno e, considerato che ci sono più donne che maschi, si scatena una divertentissima "caccia all'uomo", con gradevoli risultati per tutta la popolazione maschile presente che probabilmente non si è mai sentita così desiderata.
[Considerate che quasi si facevano gli sgambetti per accaparrarsene uno!]

Così, mi ritrovo tra le braccia tante fanciulle diverse e, se nel bacio simbolico della quadriglia m'era capitata non proprio una Venere, qui mi passa tra le mani ogni ben di Dio e anche l'allegra signora over 60 che fa parte di qualche laboratorio... ma la bellezza del tango, ed il divertimento vince su tutto. Stranamente, dovrei aggiungere, perché non mi capita spesso di spassarmela punto e basta. Comunque, non mi capita né Sara né la sua amica, che alla fine probabilmente è una delle tre con le quali non ho ballato in tutto l'arco della serata.
La finiamo lì, per festeggiare poi l'avvenuta - in giornata - laurea di uno di un altro laboratorio, con tanto di ottimo spumante, pandoro e pasticcini.
Chi deve cambiare si cambia, così mi ritrovo Sara in reggiseno davanti, e poi si chiacchiera, si va a fumare fuori. Ha cominciato a piovere, così, nella mia fumata pressocché solitaria si è andata ammassando gente, fra cui Sara e un'altra amica - che proprio al tango aveva rinunciato all'inizio, non so perché, e capisco così finalmente che sono di Yogurt e che prendono un passaggio da Domenico. Si parla di furti di autoradio, di garage insicuri, di ladri romeni... e in fondo mi accorgo che questa Sara, frizzantezza a parte, non è poi così interessante.

Si fa l'ora di riportare al motorino Valentina, salutare tutti ed andar via.
Né Georgia né Betta sono venute ed Alessio l'ho convinto a scroccare un altro passaggio. Quindi la dovrei mollare e filare a casa.
Ma quando siamo in macchina comincia a venir giù più insistente. Mando il solito messaggio a Radio Rock con la richiesta di una canzone, e si parte.

Ora, altro inciso. Valentina e le mie richieste a Radio Rock quando si torna dal laboratorio.
Tutte le volte che torno da teatro, ascolto il programma di Loredana, in onda dalla mezzanotte alle tre e mezza. Ovviamente, io spengo molto prima. Visto che la ascolto da anni, si può dire che ci sia una conoscenza costruita via sms; mi manda le macumbe quando vado al festival di Venezia e lei non ci può andare, quando c'è Lucca Comics, oppure mi prende in giro perché parlo ogni volta di donne diverse, saluta ogni volta il Bussolotto, cioè mio nipote... Ed io sempre, appena uscito dalle prove, le scrivo un messaggio con un commento, a volte una richiesta musicale.
Quando Vale scrocca un passaggio da me, deve attendere pazientemente (figuriamoci se lo fa) che io compili il messaggio, e soprattutto che decida quale brano mi va di sentire, e magari farle sentire. Regolarmente, tutte le volte il brano passa subito dopo che lei è scesa ed ha chiuso la portiera.
Alla terza volta di fila, ho sospettato ci fosse una sorta di maledizione.
Considerando tra l'altro che quando richiedo brani io Loredana non legge in diretta la richiesta perché prova a farmi passare avanti - sennò s'incazzerebbero quelli che han mandato richieste prima di me - ogni volta che arriva è puntualmente a sorpresa.
Valentina è riuscita persino a mancare una richiesta perché eravamo scesi dalla macchina ed eravamo al bar a prenderci un caffè.
Niente.
Stavolta, visto il motorino, se la sarebbe persa di sicuro.

Ma quando siamo arrivati a destinazione, la pioggia non accennava a smettere.
S'è fatta due conti, un po' a lungo a dire il vero, e poi l'ho portata a casa.
Nel tragitto, però, visto che il Diluvio si stava scatenando a rate sulla capitale, ho fatto sosta al belvedere del Gianicolo.
Tra l'altro, mi disagiava psicologicamente un fatto: che ci fosse Valentina seduta accanto a me, e non un'altra.
Chiariamoci: Valentina è una bella femmina, ma ha un carattere di m... Di materia di scarto.
Ora, che ci fosse proprio lei, che sa anche essere simpatica ma generalmente è prugna e limone, non era un male in sé. E' che, stramaledettissima maledizione, quella è la mia fottutissima fantasia romantica numero uno, porca paletta!
Io e una donna in macchina al Gianicolo sotto la pioggia a scaldarci l'un l'altra e guardare fuori! Ad ascoltare il rumore della pioggia cadere!
E per una cazzo di volta una, che mi capita di avere una donna al mio fianco in quel set cinematografico perfetto, dev'essere proprio una che come massimo complimento nei miei confronti m'ha detto "in quella foto di dieci anni fa sei QUASI affascinante"?!???
0___0'
Direi che è frustrante, no?

Beh. A una certa ho smesso di rodermi il fegato e mi son detto godiamoci quello che abbiamo.
Siamo arrivati in cima, io ho accostato, proprio davanti alla statua, al centro del panorama. A fianco c'era una smart con due che probabilmente trombavano, ma sotto quel diluvio non si sarebbe capito niente nemmeno a finestrini aperti.
Pioveva, ma niente gatti o cani, come dicono gli inglesi.
Era continua, ma non robusta. Né vasche, né secchiate.
Vedere i lampi stagliarsi nel cielo plumbeo sopra tutta quella massa sterminata di tetti di Roma... che meraviglia.
M'è presa così, ero allegro e l'ho fatto.
Mi sono girato verso Vale e ho detto: "Sì o no?"
Lei ha cincischiato, indovinando tra l'altro cosa mi accingevo a fare (rosicatio). Ho dovuto insistere un due, tre volte per ottenere il sì... Avete mai notato che di fronte a simili domande a bruciapelo le donne hanno bisogno che gliela si ripeta minimo tre volte?
Dev'essere perché la prima sono colte alla sprovvista, la seconda hanno paura che le riguardi sessualmente, e alla terza valutano che risposta dare. Della serie "Che ha detto?", "Cosa vuole da me?" e "Ok, è tranquillo, puoi rispondere".
Ha detto sì, ovviamente, ed io sono uscito sotto la pioggia.
Esibizionismo, la memoria di una corsa sotto la pioggia col Deso, d'altre corse precedenti, di una salita eroica in bici mentre venivano giù torrenti d'acqua... mettetela come vi pare. Mi piace, ogni tanto, lasciar stare l'ombrello e sentire le gocce sulla pelle, sui capelli (pochi)... Lasciare che quella sensazione di fresco tocchi l'anima, e lavi via un po' del grigiore che ci sedimenta dentro. Fare come fanno i bambini, quando saltano nelle pozzanghere.
Mettersi a girare, volteggiando su se stessi, illuminati dai fari accesi della propria auto, beh, quello è molto più esibizionista, narcisista e cinematografico. Ma in fondo il cinema prende tutto dalla vita, anche l'incredibile, ormai l'ho capito.
Così, senza inzupparmi fino al midollo, senza infradiciarmi del tutto, sono stato anche abbastanza a lungo, passeggiando fino al muretto per vedere Roma davanti a me. Poi dritto in macchina.

In fondo, era pur sempre uno show ad uso di Valentina. O meglio, a beneficio mio grazie alla presenza del pubblico-Valentina. Dico questo per due motivi. Perché è sempre più raro che io faccia qualcosa di matto, che dà tanto più sapore alla vita, e perché se a quella domanda Valentina avesse risposto di no probabilmente non l'avrei fatto. Mi sarei depresso e non sarei uscito nonostante avessi una gran voglia di farlo.
Ma per fortuna la complice che cercavo c'è stata.
Fosse stata la donna che volevo sarebbe scesa e mi avrebbe raggiunto.

Non faccio quasi in tempo a salire che la radio annuncia l'arrivo di Frank Zappa.
Incredibile. Per la prima volta Valentina sarebbe riuscita a sentire una mia richiesta.
Conosco bene quel brano: me lo fece ascoltare la prima volta Marco Valerio, il mio compagno di banco al liceo, l'unica persona con la quale abbia mai veramente rotto un'amicizia.
L'ho incontrato sulle scale della Metro A a Termini, dopo aver fatto il pattugliamento del binario dove forse era stato visto uno che assomigliava al Deso. Quand'era, due settimane fa?
Io parlavo al telefono e lui saliva le scale, s'è girato, m'ha visto (forse mi guardava già da prima) io l'ho guardato e lui deve avermi letto in faccia che l'avevo subito riconosciuto. Ha voltato lo sguardo davanti a sé, duro, ed ha tirato dritto. E in fondo è stato assai meglio così.
Il brano in questione è "You are what you is" più o meno traducibile come "Tu sei quello che tu è". Ed ha un testo nonsense clamorosamente schizzato, che vi invito a leggere. E la musica... beh, io non riesco a star fermo quando la sento: mi mette una tale allegria e voglia di ballare... Una volta stavo chattando con una tipa in Spagna, conosciuta su un programma peer to peer, credo Soulseek, e gliel'ho fatta scaricare. Poi al mio tre abbiamo spinto play insieme ed abbiamo fatto la prima discoteca internazionalmente dislocata della storia, suppongo.
Comunque, avviso Valentina che ci sarà un po' di movimento, e che quello è il brano che ho chiesto.

Ho fatto di tutto per far vacillare la macchina, sudando come una bestia.
Sono arrivato spompato alla fine che non mi reggevano i polmoni e mi facevano male i muscoli, cercando di mettere a dura prova le sospensioni. Ma vuoi mettere la soddisfazione?
Col fiatone e le vampate di calore, praticamente mi sono asciugato come fossi io il termosifone, mi accascio sul sedile. Nel frattempo Vale spediva messaggi alla radio per spiegare quanto fossi uscito di cotenna.
Poi, con calma, mentre Giove Pluvio intensificava la sua attenzione sulla zona del Gianicolo, ho ripreso la marcia e l'ho riportata a casa, ch'è là dietro. Cominciava a venire giù davvero di tutto, e cominciavano a vedersi i primi famosi cani e gatti inglesi intenti a farsi qualche vasca a nuoto nostrana.
Mi sono divertito, è stata proprio una bella serata, e tra un sms di commento alla radio e l'altro, contavo di essere a letto di lì a poco.

Contavo.
Arrivato davanti alla rampa del garage mi sono fermato come al solito a fumare l'ultima sigaretta della giornata. Loredana alla radio sosteneva che la zona in cui era lei, visto come veniva giù il cielo sulla terra, doveva essere l'epicentro della tempesta. Ma visto che anche al Gianicolo non scherzava mi sentivo in vena di darle torto.
L'occasione me l'ha fornita il rumore di roba che si scheggia nell'impatto al suolo, ed il sordo rombo di tamburi di latta proveniente dal tettuccio della mia macchina. Una grandinata di dio che si scatenava sopra di me e il mio finestrino aperto (un minuscolo spiraglio per fare uscire il fumo), il quale ogni tanto mi regalava schegge di ghiaccio addosso, visto quant'era fitta.
Scrivo un sms felice in radio. Una cosa tipo "Qui piovono chicchi di grandine così grossi che una volta caduti si rialzano e ti chiedono da accendere".
Poi basta, saluti di rito e giù a mettere la mia bimba nella cuccia e a dormire.

Me ne sono reso conto davanti all'ascensore, dopo aver chiuso le mandate triple della serranda del box.
Non avevo più le chiavi.

Eppure ero sicuro di averle; o meglio, prima di uscire m'ero fatto preciso scrupolo di prenderle perché, come vi avevo detto, avevo fretta ed avevo spostato tutto dai pantaloni nello zaino, prima di mettermi la tuta.
E allora?
I casi erano due: o mi erano scivolate di tasca in teatro, quando avevo sfilato il portafogli per pagare la quota del mese, cosa assai plausibile, oppure mi erano cadute al Gianicolo mentre ballavo.
Il teatro ormai era chiuso e piombato, ma il Gianicolo... Chiunque avrebbe potuto trovarle. La cosa mi dava fastidio, perché in fondo le chiavi sono qualcosa di personale, un accesso al tuo mondo.
Certo, se non sai di chi sono col ca... che riesci ad approfittarne; ed anche se c'è scritto su una targhetta il mio cognome e "Ovindoli", non sarebbe comunque facile risalire alla casa - assai di più risalire eventualmente al proprietario per la restituzione. Però...
Il rodimento di dover svegliare i miei oppure dormire in macchina, quello (grande) per la propria sbadataggine, lo stranimento del non essermi accorto di nulla... O la rogna nel caso in cui i miei di conseguenza avessero deciso di cambiare le serrature... Niente, non potevo mica starmene lì, ed anche se fuori scendevano le cascate del Niagara dovevo tornare al Gianicolo, almeno a dare un'occhiata!

E vai.
Di nuovo apri tre serrature e la serranda, tira fuori la macchina, chiudi tre serrature e la serranda, risali in macchina e apri due cancelli col telecomando e di nuovo in strada.
Ovviamente, sms a Loredana. Niente, giocoforza mi tocca farvi ulteriore compagnia.
Riprendo la stessa strada fatta poc'anzi, tipo una decina di minuti prima: l'Aurelia Antica.
Stavolta l'acqua viene giù talmente tanta che nonostante i tergicristalli non vedo un cazzo. E così, tra l'altro, scopro che i miei tergicristalli di velocità ne hanno tre, non solo due come avevo sempre pensato: oltre alla lenta ed alla veloce, c'è anche la spasmodica. Ma serve a poco uguale.
Nel tentativo di tenere sotto controllo strada, tergicristalli anteriori e posteriori, luci e veicoli in avvicinamento, ci metto pure quello di mandare un altro sms a Loredana - ma impiego pochi secondi a capire che glielo manderò da molto fermo.
Passo sotto al cavalcavia dell'Olimpica, proseguo dritto. La strada è una superficie nera puntellata dalla pioggia, e più avanti c'è la salita. Procederò sui 50-60 km/h.
Ma la strada non è piana come la vedevo. No.
Non è proprio strada.
La strada vera in quel punto è in discesa, e dopo prende e risale. Quella piana che vedo, è acqua.

Ci entro dentro sparato come un missile, e all'improvviso vedo tutto attorno a me, davanti, di lato, una parete verticale, un'onda anomala di acqua spruzzata verso l'aria, accompagnata da un rumore come quello che devi sentire quando la tua barca, ormai in balia delle rapide, è sull'orlo della cascata.
Non vedo niente: dai finestrini, dal parabrezza, l'unica cosa che si può osservare è questo tsunami due volte la mia macchina in altezza che mi circonda, tutto fatto di spuma bianca, nata dal nulla all'improvviso.
Le gocce ricadono nebulizzate sul parabrezza, ma è solo un pulviscolo etereo: persino le grosse gocce della pioggia normale sono state in qualche modo neutralizzate da quest'onda d'urto.
Quasi sembra che lei in parte mi protegga: la mia macchina non si schianta, infatti, ma rallenta clamorosamente, neanche fosse finita nella tela di Spider-Man.
Il mio primo pensiero è evitare che la macchina si spenga.
Già m'è capitato una volta. L'acqua sollevata va a sciaquarti il motore, o raffredda, lo spegne. E tu ti ritrovi con la macchina che non riparte perché ti si sono bagnate le candele, in mezzo a un vero e proprio lago dove devi nuotare se vuoi scendere (e se apri la portiera ti giochi tutto ciò che hai sui tappetini), con la macchina in traiettoria perfetta per il primo che arriva.
Le macchine in traiettoria sono state il secondo pensiero.
Ma visto che chi eventualmente fosse stato dietro doveva essere abbastanza distante per frenare, e che davanti la mia memoria mi restituiva l'immagine del deserto dei tartari, questo è stato decisamente un pensiero passeggero: anche se continuavo a non vedere una beneamata ceppa, ero sicuro che non avrei tamponato altri veicoli. Ma altri oggetti forse sì.
Terzo pensiero: c'erano macchine ai bordi della strada, parcheggiate? Ma soprattutto:

Quanto cazzo può essere fonda questa pozza?

L'idea può essere meno idiota di quel che sembra.
Quella sera veniva giù il Diluvio Universale a Rate, come vi dicevo.
L'Aurelia Antica è un continuo saliscendi, e in più di un'occasione i tombini di scarico si sono otturati: foglie autunnali, buste da pic-nic, cazzi vari.
Ricordavo che non doveva essere un dislivello poi così grosso, ma le esigenze rimaste a questo punto erano due: mettersi al centro della strada, dove si suppone che l'asfalto sia più in alto che rispetto ai bordi, ed impedire ad ogni costo che il motore si spegnesse. Proprio un punto di merda per bloccarsi, quello.

Alla fine, l'onda sollevata dall'urto perde potenza, con la perdita di velocità della mia auto; e la parete bianca, non più sospinta dalla forza dell'impatto, cede nuovamente alla gravità, rovesciandosi come un ceffone sulla mia auto.
Il motore sembra perdere colpi, forse si ferma, ma col gioco di frizione ed acceleratore riesco a farlo riprendere e a non farlo morire.
Quando l'onda si dirada torno persino a vedere davanti a me, e non c'era nessuna macchina, come ricordavo.
M'è andata liscia, sono già sulla salita.
A questo punto cerco di mandare a mente un importante promemoria: guai a te se ti scordi di NON passare di là al ritorno. Dovrò mandare un sms a Loredana, appena riesco a fermarmi.

Arrivo al Gianicolo e parcheggio più o meno dov'ero: la Smart coi due pomiciano o trombano è ancora ferma lì, coi vetri appannati, e mi funge da utile punto di riferimento.
Mando l'sms che dovevo in radio: "Non fate l'Aurelia Antica se non avete un mezzo anfibio o una 4x4".
Stavolta piove di più, pur essendosi calmato rispetto a prima, e l'idea di trasformarmi in spugna bagnata non mi aggrada parecchio, per cui prendo l'ombrello scassato che ho in macchina.
Quest'ombrello ha il vantaggio di essere piuttosto grande e di aprirsi a scatto; ma è anche per metà staccato dai raggi, e col vento spesso si accartoccia su se stesso, diventando un mezzo ombrello. Generalmente, però, il peso della pioggia lo tiene lì dov'è, e deve proprio esserci una raffica forte per sollevarlo quand'è bagnato.
Esco, tolgo le chiavi ma lascio accesi i fari per vedere brillare le chiavi, che son pur sempre di metallo. Ma a prima vista niente. Devo spingermi più in là, e fare dei larghi giri: non posso farlo alla carlona dopo tutto 'sto casino. Se sono lì, devo trovarle.
Una raffica di vento mi mette in difficoltà con l'ombrello. Ma è solo una, lo rimetto a posto e tiro avanti.
La pioggia si fa più insistente, ma penso che dovrò semplicemente fare più in fretta prima che peggiori.
Una seconda raffica mi rigira l'ombrello al contrario, ma grazie al cielo, spostando l'oggetto opportunamente, me lo rimette anche a posto. mi bagno un po', ma ormai ho raggiunto la balaustra - proprio nello stesso punto perché è dove c'è il pannello con le indicazioni per i turisti. Comincio a girare lì attorno - il punto più distante dalla macchina - anche se non ci spero tanto di trovarle, perché son quasi sicuro che son cadute a teatro. Le raffiche cominciano ad essere più frequenti, e la pioggia più insistente. Cerco di sbrigarmi più che posso, anche perché indosso le scarpe da ginnastica per il laboratorio di teatro, cioè un paio di All Star in pelle grezza, ma che con gli anni si sono già un pochino aperte... e l'acqua entra.
Salto il piccolo fiumiciattolo che si è generato contro il bordo del marciapiede, ritorno con gli occhi fissi a terra verso la macchina. Questo m'impedisce di evitare che il mio ombrello si scappelli nuovamente. Affretto il passo, la pioggia adesso scende giù proprio bene. Ecco, sono davanti alla mia macchina e...

...e porca puttana, il cofano fuma!
Me lo fa spesso quando piove, per il fatto che per via di un'urto la superficie metallica s'è avvicinata di più al motore, e si surriscalda. Ma qui manda nebbia in Val Padana, e la cosa preoccupa, così mi chino ad osservarlo. C'è un po' odore come di gomma bruciata, ma può essere normale, però verificare è meglio.
Mi riaffaccio nella macchina per aprire il cofano, e colgo l'occasione per buttare nello zaino tutto quello che ho in tasca e che si sta via via fracicando. Pensarci prima, no.
Apro 'sto benedetto cofano ed esce fuori la fumata della nomina papale. Intorno, piove che dio la manda, e di sacro, a bocca chiusa, sto ordinatamente elencando tutto.
Non sembra esserci problema, forse solo la guarnizione del cofano stesso sembra un po' bollita, ma il resto sembra stia bene. Se non è così, mi dico, saranno cazzi, ma almeno mettiamoci al riparo, prima. Chiudo il cofano e la vedo.
La targa.
Metà attaccata, l'altra metà piegata in avanti.
Sgrano gli occhi. Mi torna in mente la furia improvvisa dello tsunami bianco. Immagino la violenza con cui è passato nelle fessure dietro la targa e l'ha strappata, lasciandola ad oscillare nella furia dell'acqua spumosa.
Minchia.
Per fortuna ce l'ho ancora attaccata da un lato. Mi accovaccio, provo ad armeggiare per vedere se riesco a rimetterla un po' più in sesto, ma non c'è niente da fare, sfugge. Nel frattempo, il manico dell'ombrello tocca terra, e la calotta mi copre la schiena mentre sudo, mi bagno e bestemmio, per cui da fuori immagino di apparire come un grosso fungo davanti ai miei fari.
I fari...

L'ultimo grosso acquazzone mi ero giocato sia gli abbaglianti che gli anabbaglianti.
Ora, per la revisione, li ho sotituiti entrambi: 10 euro a lampadina, dei ladri.
Con terrore mi accorgo che ho nuovamente perso uno degli anabbaglianti.

Mio zio all'epoca mi disse: "Fai fare un foro sotto il faro, così se entra acqua esce da sotto e non ti fa condensa nei fanali".
Ai meccanici dove sono andato gli ho chiesto di farmelo, si sono rifiutati.
Scemo io a non insistere.

A questo punto il rodimento di culo era furioso, stile Orlando, e vado per rimontare in macchina e mandare un po' chiunque a cagare, però mi viene in mente che forse non ho parcheggiato proprio preciso preciso a dov'ero. E se le chiavi mi fossero cadute mentre scendevo...
Guardo sotto la macchina.
Le chiavi non ci sono, ma c'è una sorta di serpente nero sotto tutta la macchina.
Che cazzo ho agganciato?
Entro, metto in moto, retro, non vedo un cazzo, vado piano, mi sposto, poi ancora un po', poi penso che va bene, freno a mano e riesco. Vado davanti e vedo.
Niente serpente.
Non ho agganciato niente.
Semmai ho sganciato: quello è la parte in gomma inferiore del mio paraurti, il paraschizzi di fango. S'è tolto quasi tutto, va rimesso con la plastica infilata nelle fessure del paraurti.
In condizioni normali è una cavolata, pure divertente, ma lì, sotto il delirio di pioggia, con una mano sola perché ho l'ombrello nell'altra, le dita congelate dal freddo, ne pianto un po' a cazzotti affinché regga fino al garage.
Adesso più che nero sono rassegnato.
Rientro in macchina coi brividi, ma non accendo il riscaldamento sennò non ci vedo più un cazzo. Apro l'aria e dò corrente agli spannavetri. Nel frattempo Loredana dalla radio mi fa sapere di qualcuno che risponde alla mia 'richiesta d'aiuto', che ha un 4x4 e si trova in zona Aurelia. Mando un messaggio per spiegare meglio e far sapere che non serve, grazie. Almeno, non ancora.

Rifaccio il viaggio verso casa, sto per imboccare l'Aurelia Antica ma il promemoria mentale funziona e svolto a razzo su Via delle Fornaci.
Non so se avete presente Via delle Fornaci imboccata dall'Aurelia Antica.
Mi ritrovo ad imboccare una via stretta in discesa che, essendo tale, è una sorta di fiume di scarico. Ho il terrore di perdere il controllo della macchina, e nonostante i tergicristalli a manetta non vedo un cazzo uguale.
Me la faccio in tensione fino alla Gregorio VII, con la paura che qualche imbecille decida di attraversare di punto in bianco comparendo dal nulla. Ricorderebbe un po' troppo l'episodio di quel film horror in cui una mette sotto un autostoppista in impermeabile giallo, quello le resta attaccato sotto la macchina e da morto si vendica.

Una volta sulla Gregorio VII mi accorgo con sollievo che il lago è sulla carreggiata a fianco e la via è libera; faccio la salita e poi le mura vaticane - stavolta l'acqua scende e risalgo come i salmoni - e il passante che attraversa non è cretino e mi fa passare prima.
Finalmente raggiungo il garage. Apri i cancelli, smonta, apri le tre mandate...
Nel frattempo si sono fatte le due e mezza, quasi le tre.
Sono come il minestrone: cotto e zuppo. E soprattutto cosciente che mi toccherà buttar giù dal letto qualcuno, il quale non gradirà la cosa.
Davanti alla porta di casa busso, ma è solo un'ultima remora prima di suonare il campanello: fuori tuona, lampa e piove, chi cavolo volete che senta una bussata leggera? Senza contare che i miei quando dormono, manco le cannonate! ^_^
Mi attacco al campanello, ma con lo scrupolo di svegliare anche i vicini. Faccio un paio di suonate brevi, ma vicine l'una all'altra, e aspetto. Niente. Ripeto. Niente. Ripeto. Niente. Attacco l'orecchio alla porta, ripeto. Niente.
Lo spettro di farmi una dormita scomoda sul sedile della bimba, per di più bagnato, non mi entusiasma. Ancora meno l'idea di riscendere e riaprire per l'ennesima volta quelle cazzo di tre serrature: tiro fuori il cellulare e chiamo casa.

Quando ti arriva una telefonata alle tre di notte, la prima cosa che pensi è che siano pessime notizie. Se poi mentre ti alzi scopri che tuo figlio ancora non è in casa, allora è allarme puro.
Lo immagini riverso tra le lamiere contorte o, visti gli allarmi pioggia, annegato dentro la macchina in fondo ad un fiume di fango. Ma considerato che anche zia non sta bene potrebbe essere un'orrenda telefonata. E poi, mia sorella era a Bologna...
Dieci a uno che tutte queste cose passavano nella mente di mia madre, mentre in quella di mio padre di sicuro ne passa solo una: "Chi rompe a quest'ora?!".
Mi risponde la voce insicura e tremante di mia madre.
"Sì?"
"Mamma, mi apri la porta?"
"Dove sei?" - chiaramente è ancora lì che mi vede tra le lamiere. Ma avrei parlato di sportello, nel caso.
"E dove vuoi che sia? Qui fuori!"

Finalmente la porta si apre, e volti preoccupati (uno) e rassicurati (l'altro) mi scrutano. Faccio spallucce, mentre penso alla incipiente gioia di sbattermi sotto le pezze a breve, e mormoro che non avevo le chiavi... Non che le ho perse: ci sarà tempo domani, mi dico, per dargli la tramvata. La faccia di mia mamma ci mette comunque un po' a rilassarsi.
"C'è Niccolò che dorme, potevi svegliarlo!"
Cosa?
Che cavolo ci fa il nipotastro da me? Perché dorme qui (e grazie al cielo non s'è svegliato)?
E' stato allora che ho scoperto che mia sorella era a Bologna, e quindi Matteo (il papà di Niccolò) dormiva in camera grande, mia madre in cameretta e papà sul divano in sala. E a proposito, cameretta e divano in sala sono i due posti dove dormire più vicini alla porta d'ingresso: ve lo dicevo, le cannonate...
Vado in camera, mi tolgo la roba zuppa, faccio un salto al bagno, abbasso la serranda fino al punto giusto e, prima d'infilarmi il pigiama, mi tolgo la soddisfazione di controllare un tarlo che avevo da almeno due ore.

Come vi ho detto, quand'ero uscito andavo di fretta, ma m'ero posto il problema delle chiavi.
Ora, però, s'era insinuata l'ombra del dubbio di averle prese, sì, ma di averle poi rimesse in tasca perché se le mettevo nello zaino mentre ero ancora in ascensore poi la porta di casa per entrare e cambiarmi come la aprivo?
Alzo i pantaloni che erano sul letto. Ormai avete già capito...
Il rumore tintinnante che proviene dalle tasche non lascia dubbi. Metto una mano nella tasca e ne tiro fuori il mazzo di chiavi. Altro che cadute a teatro.
Le labbra non si muovono, ma il VAFFANCULO l'hanno sentito in Cina.
In fondo contento di non dovermi più sbattere per recuperarle o rifarle, mi metto a nanna e finalmente, spengo la luce.
Aaaahhh, adesso posso finalmente cedere...

Uèèèèè, uèèèèèè...

^_____^


GrimFang

[Ps: non ci posso credere che son riuscito a postare questa seconda parte dopo così tanto tempo!!! Era praticamente pronta!]

giovedì 11 dicembre 2008

Di gnocca, di tango e tsunami!

Calma, dignità e classe.

Questo avrebbe potuto dire il buon Aigor - cui da poco ho associato il mio profilo per questo blog - ma stavolta a ragione.
Perché io no, io non ho ceduto. Non ho profferito il 'mammaaa' sconsolato con cui il dottor Frankenstin viene portato via a braccio.
Anche perché di cose positive ne avevo pur avute...

Mercoledì 10 dicembre.
Il laboratorio era stato eccezionalmente spostato al mercoledì, per consentire un incontro speciale.
Stiamo lavorando sull'Inferno di Dante, per uno spettacolo complessissimo che dovrebbe, coi soliti rimaneggiamenti dell'ultimo momento, andare in scena a fine giugno al teatro Ygramul.
Rimaneggiamenti: perché come al solito col cavolo che riusciremo a fare proprio tutto tutto alla perfezione; quindi tutto ciò che per quella data sarà ancora una ciofeca, sarà cannato di brutto dal copione e sostituito con qualcosa di più facile e meno figo. Considerando che già parte con in testa idee folli prima che grandiose, probabilmente non metteremo in scena l'Inferno... tutt'al più l'Infernetto.
Però, visto che voi non sapete nulla di quello che stiamo facendo, se verrete a vederci sicuramente sarete entusiasti e vi brilleranno gli occhi: perché quell'alternarsi cadenzato di soffi e di grida vi avrà emozionato, ma non saprete che sopra dovevamo farci altre tre cose; perché quella canzone lì era tanto bella, ma ignorerete che ne avremo cannate altre due e che quella aveva tre strofe; perché i costumi erano poveri ma suggestivi, quando in realtà avremmo dovuto essere tutti vestiti di strass e paillettes solo che la sarta non ha fatto in tempo... ^__-
Perciò, godetevi questi accenni e rammentate: vi aiuteranno a piegarvi dalle risate quando possiederete il senno di poi.

Bene, questo spettacolo ha una caratteristica fondamentale, questa sì immutabile: sarà fatto da circa 50 persone.
Tre laboratori tre, tutti assieme.
Ciascuno prepara il suo pezzetto, ma abbiamo una serie di parti comuni. E ieri era la prima giornata di prove collettive.
Ludyka, Saltymbanco e Yogurt, ammischiati in una sola bolgia per preparare lo spettacolo. Il delirio.

Ma facciamo una premessa.
A lavoro, la mattina, era stata un po' pesante e, tra le altre cose, ho tirato tardi. Sono uscito non alle 17.30, com'è mio solito, ma più tardi.
Quindi, già in ritardo sulla tabella di marcia, mi sono sciroppato il viaggio in metro A - 22 fermate, 32'30'' di media - per giungere a casa. Per nulla infastidito dalla pioggerellina, appena uscito mi arrivano due avvisi di chiamata persa: Debora, della videoteca con cui stiamo trattando un grosso acquisto, e Valentina, di Elish, la cui chiamata poteva avere un solo significato.
C'eravamo sentiti prima perché a lei serviva un passaggio per andare a teatro, ed io non glielo potevo dare - almeno, non da casa.
La sua chiamata poteva solo voler dire che quel passaggio le serviva comunque.

Facciamo un inciso nella premessa: in questi giorni in cui il Diluvio Universale ha deciso di venir giù a rate, Valentina - che si muove in motorino - ha un po' di problemi ad attraversare Roma su due ruote. Non posso darle torto, abita relativamente vicino a me, e il teatro è dall'altra parte.
Però, visto che piove a vasche e non a gocce, capita spessissimo che lei chieda passaggi in giro. Magari un po' troppo spesso.
E che a volte non specifichi proprio bene le sue esigenze, come quando per andare alla riunione di Elish a casa di Federicone (Fidene) abbia chiesto a me (Aurelio) di passarla a prendere a lavoro (San Giovanni), ma abbia omesso di aggiungere che lei a lavoro c'era andata in motorino e che quindi lì dovevo riportarla, e che c'era una valigia che le doveva dare Erika da riportare possibilmente a casa sua (Monteverde).
Ora, se non siete pratici andate su Google Maps e guardate in cosa consiste Aurelio-San Giovanni-Fidene-San Giovanni-Monteverde-Aurelio...
Senza contare che proprio quel giorno la mamma del bimbo cui faceva da baby-sitter è arrivata in ritardo causa pioggia...
Ma: calma, dignità e classe.

Per quanto riguardava Debora invece, la questione era più delicata: le avevo mandato un sms prima di salire in metro per spiegarle che il bonifico per l'acquisto a quanto ne sapevo doveva già essere stato emesso, e che era solo questione di giorni. Capirete, loro cessano legalmente di esistere il giorno 15...
Ma Debora non ha risposto quando l'ho richiamata, né ha scritto sms, quindi pace.

Arrivo a casa e noto con piacere che non c'è il passeggino di mio nipote.
Me ne rallegro perché penso che così non sarò tampinato dal pargolo e potrò sbrigare le faccende velocemente. Tanto che avevo cominciato a svuotare le tasche dei calzoni mettendo tutto nello zaino, visto che avrei dovuto mettere la tuta e andavo di corsa.
Entro e noto alcuni giochi di mio nipote in giro.
Poco male, penso, sarà stato qui oggi pomeriggio.
Vado in camera e me lo trovo che gioca con una torcia elettrica (le adora!).
E alé, vai col togli-spoglia-gioca col bimbo.
E avevo sempre più fretta, ma il fatto è che da quando è andato a casa sua, finalmente risistemata e lavori finiti, sono poche le occasioni che ho per spupazzarmelo un po'.

E facciamo un secondo inciso: io un mercoledì ogni due settimane ho l'appuntamento dallo psicologo.
Guarda caso, il 10 era proprio il giorno del mio unico appuntamento di dicembre.
E guarda caso, era un cicinino importante, visto che avevo ribeccato Chiara, che m'ero un pochino mosso sulla questione università eccetera.
Conoscendo Roma, e sapendo che con due gocce si blocca, dire che avevo il pepe al culo è un eufemismo.

Così, finalmente riesco a fiondarmi fuori dalla porta e a scendere in garage, tirare fuori la bimba e mettermi in marcia.
Non so perché, ma decido di passare per Via Candia e Giulio Cesare invece che fare le mura, ed ho anche l'impressione di averci inzeccato: pensando di aver svoltato mi ritrovo davanti al muro di macchine a piazzale Flaminio. Vabbè, ci posso stà.
Mi suona il telefono, è Vale, vuole il passaggio, va bene anche dalla Nomentana.
Penso che se dovrò riportarla a prendere il motorino sulla Nomentana, anche se dovessi avere a bordo Betta e Georgia - che poi ieri sera non c'erano - la strada è quella, quindi acconsento e ci diamo una punta.

Dallo psicologo arrivo in ritardo di quasi dieci minuti, tanto se si considera la tariffa oraria, e attacco subito discorso, perché ce ne ho di cose da dire.
Non mi sembra eccessivamente entusiasta delle mie riflessioni sul blocco universitario, certamente di più del senso di oppressione respiratoria che avevo in segreteria studenti. E anche per quanto riguarda Chiara non è che ci sia stata grossa argomentazione. So perfettamente che lì per lì Chiara non mi ha fatto l'effetto che potevo immaginare, nel bene o nel male o in entrambi.
E' invece dispiaciuto di non poter approfondire l'argomento Facebook, che esce negli ultimi minuti. Vabbè, sarà per gennaio.

Esco, e Valentina è alla punta, precisa.
Prendiamo la macchina, ci fermiamo a mangiare un po' di pizza, faremo tardi, 'sti cazzi.
Durante il viaggio mi legge un sms che ha ricevuto per sapere che ne penso e parliamo di Giulio, ragazzo che al momento la interessa assai, ma che non capisce cosa vuole da come si comporta. Copione già visto per Erika e tante altre.
Alla fine arriviamo e - come direbbe Martellone bucio di culo! - troviamo subito parcheggio nel muro di macchine per uno che davanti a noi se ne va. ^__^
Alé, entriamo che sono già tutti dentro e stanno già lavorando...

...stanno facendo qualcosa di canoro che sembra essere molto divertente.
Vado al bagno e quando ritorno dopo poco capisco che il 'gioco' funziona così: si propone un suono, una parola, che tutti devono fare, ma adattando il suono alla 'direzione d'orchestra' di un singolo che muove la mano, dirigendo gli altri. Ma badate bene, ciascuno interpreta il movimento che fa a modo suo. E' libero.
Si chiama improvvisazione vocale, e questa io l'ho anche studiata!
Tempo di inserirmi nel 'gioco' che vengo chiamato in causa io: devo andare al centro e fare il direttore d'orchestra. Mi gaso, chiedo se posso dirigere con due mani. Concesso.
Giro, faccio salti, mano alta mano bassa, mano che ondeggia mano ferma, eccetera eccetera. Mi sto domandando se vale la pena fare una ruota quando purtroppo il mio turno finisce.

Ripetiamo lo stesso 'gioco', ma stavolta divisi in due gruppi che si fronteggiano: uno fa il coro, l'altro dirige, con i singoli che si danno il cambio a vicenda.
Uhm, forse è il caso che vi spieghi perché sto continuando a virgolettare il termine 'gioco'.
A teatro, il nostro 'allenamento' (è il caso di chiamarlo così) si svolge con un susseguirsi di 'giochi'. Li chiamo così perché sono tutti divertenti, per quanto massacranti possano essere, o vengono resi tali. Magari l'unica cosa che non è un gioco è il riscaldamento iniziale, ma quello sappiamo tutti che è fondamentale farlo.
In più, ad accentuare il versante ludico dell'apprendimento, è che questi giochi vengono proposti, e poi complicati mano a mano: si parte con un piede, ad esempio? Si arriverà a muovere tutto compresi i capelli, per chi ce li ha. E poi, il fatto che il valore del singolo esercizio - buon sinonimo per 'gioco' - venga dapprima accennato e solo dopo approfondito ai fini della didattica attoriale, fa sì che l'esercizio venga recepito, appunto, come un gioco. la finalità è sempre frutto di un'elaborazione successiva, a posteriori.
Adoro questo metodo d'insegnare teatro! ^__^

Ed eccoci giunti al primo momento cruciale.
Dopo questo gioco, si passa alla quadriglia francese.
Sì, balleremo.
La quadriglia mi piace molto, ed a questo fascino non è indifferente il fatto che ci sia lo scambio di dama (o cavaliere). ^_-
Orbene, l'input/diktat che dà Vania è quello che si formino coppie uomo-donna di laboratori diversi. Ora, io conosco gran parte delle persone degli altri laboratori, ma avevo notato che c'era una fracca di gente nuova. Tra cui un congruo numero di ragazze. E anche carine!
Ebbene, Vania dà quest'ordine e una biondina - che a tutt'ora non ho capito di che laboratorio sia - mi si precipita incontro e mi chiede di essere il suo cavaliere.
Gh!
Si presenta, Sara, e ci disponiamo al ballo. E' allegra - al limite dello schizzato - campana, e mi piace subito, buona parte per via del fatto che abbia scelto me: vuol dire che ha gusto! ^_^
Confortato nel mio senso di autostima, cominciamo il ripasso dei movimenti, e trovo in lei una spalla perfetta visto che io cerco sempre di farlo con eleganza... il ballo, Paolino, il ballo... e lei si atteggia subito a damina. Ci ridiamo su, scherziamo, nelle pause accenniamo i passi di Flashdance (la corsetta sul posto) anche se lei ci va un pochino a ruota, e alla seconda pausa...
Lei scherza con la sua amica dietro di lei, la quale è anche assai carina, e questa seconda commenta le tette della prima (non grandi, a onor del vero) definendole con qualcosa come "d'acciaio". E gliele tocca, anche.
Guarda caso, il movimento successivo da provare è quello in cui ci avviciniamo ed il cavaliere la stringe in vita per ruotare scambiandosi di posto.
Acciaio puro.
Turgide, sode, piccole, ma una meraviglia.
Tutta la quadriglia procede così, per stop e ricomincia dal principio, per cui sì, cambio di dama, ma ogni volta riparto da lei. Ed è inutile aggiungere che son contento.
...anche se speravo mi capitasse pure la sua amica...
Vabbè, mentre riprendiamo per l'ennesima volta, e Sara sta ridendo perché la sto facendo spisciare (ero in forma), lei se ne esce con la seguente frase:
"Guarda, per me è un complimento, ma tu sei un clown!"
o giù di lì.
A questo punto Momo sei chiamata in causa, perché a) o la conosci, oppure b) dovrai dirmi tutto il rosa possibile perché, pur sapendo che era un genuino complimento, lì per lì non l'ho presa troppo bene, non sapendo in che consistesse.
L'ultima ripetizione è stata troppo bella.
Troppo perché siamo andati avanti, abbiamo cambiato i movimenti che ciascun laboratorio aveva fatto in modo a sé stante, s'è capito che razza di garbuglio ha in mente Vania, con gente che non dovrebbe scontrarsi nello spazio di venti centimetri che passa tra la schiena di una dama e il petto di un'altra... col fatto che poi si balla da misti a laboratorio per laboratorio, fase di cui ignoriamo le dinamiche (ed io quindi ballerò con Betta, con cui ho provato sinora, dal petto decisamente morbido e abbondante ^_^)... perché abbiamo provato i movimenti con il passo sotto l'arco di braccia ed il bacio simbolico, ma soprattutto, soprattutto, perchéc'è venuto perfetto! ^___^

Dopo, ci siamo divisi in gruppo A e gruppo B per il coro.
Tutti e tre i laboratori hanno studiato alcune canzoni, tra cui questa che - ignorandone il titolo - chiamo "Le parole" (dall'inizio del testo) del Quartetto Urbano. Ciascun laboratorio ha suddiviso il testo al suo interno in parti che canta uno o l'altro, e tutto questo sarà cantato durante, chiamiamola così, l'installazione del Dorè.
In pratica, prendendo ispirazione da una delle illustrazioni del Dorè della Divina Commedia (quella in cui incontrano Ciacco) i nostri gruppi la inscenano fisicamente per poi danzarci (secondo il concetto di Pina Bausch) su. Mentre cantano la canzone. Considerato che il concetto della Bausch è quello dello spezzare il movimento in frazioni per giocare nel loro accostamento, la cosa non è che risulti proprio facile.
Quello a cui risulta più comodo credo di essere io, perché, pur non sapendolo, non ho scelto movimenti troppo problematici per equilibrio o tensione muscolare. E, considerando il fatto che godo letteralmente a cantare questa canzone - perché mi tira fuori una voce proprio piena, è su tonalità perfette per me - ogni volta che anche solo la si accenna, è una delle cose che mi piace di più di quest'anno. Mi viene facile.
Anche se la signorina prugna Valentina deve sempre cacare il cazzo su tutto.

La parte di canto è dunque scivolata via senza problemi, anzi, è stata troppo corta per i miei desideri. E poi, pausa.
Si esce fuori per una sigaretta, si salda il mese di dicembre del laboratorio...
Mi passa davanti Sara, le metto le mani sulle spalle, si gira, le sorrido, lei mi sorride, si allontana. Esce, va a fumare, io pago il mese, esco anch'io e trovo Valentina che si prende le lodi sperticate di Sara per la bella voce. io mi fumo la mia sigaretta, chiacchiero con qualcun altro fuori, poi rientriamo.
Intuisco, a monte, che quel guizzo di Sara verso di me è stato figlio del mio 'essere guitto', intrattenitore, nel momento in cui ero stato chiamato a dirigere l'orchestra. Cosa che il buon Andrea, dei Saltymbanco, aveva rimarcato ricordando quando, ad Avignone, ero stato chiamato a dirigere l'orchestra di strada dei teatranti russi con una stampella per abiti, durante il loro spettacolo. ^__^
Sara dunque per me non esce dal gruppo delle ragazze carine 'opzionabili' per entrare in quello di coloro con le quali ci dovrei provare: ci andrei a letto all'istante, ma non mi ha rivelato altri motivi di interesse, tra i quali quello di essere lei interessata a me. Tant'è che per la prova successiva avrebbe scelto Omar per compagno.

E la prova successiva... era il tango!
^_______^

E sì, c'è pure il tango!
Perché la canzone di cui prima, finisce accennando al tango; e noi lo balleremo alla fine del testo!
Oh, yeah.

Ma visto che il post è già schifosamente lungo e che adesso come adesso sono le 2.22 della mattina ed io sono distrutto perché ho dormito cinque ora scarse, mi sa tanto che dovrete attendere la seconda parte...
Buona gno... ehm, notte a tutti/e!!!
^___^


GrimFang

giovedì 4 dicembre 2008

Che CAZZO di giornata

Oggi non sono andato a lavoro.
Ufficialmente è per malattia, ed in parte è così: non mi sento affatto bene in questo periodo, solo ieri mattina avrò prodotto otto tonnellate di muco.
Ma siccome sono settimane (da Lucca) che devo fare un salto all'università, ho approfittato oggi, che la sgreteria studenti apre di pomeriggio.

Questo perché a Lucca ho incontrato il prof. Luca Giuliano, che, oltre ad essere uno dei maggiori esperti di giochi di ruolo, nonché un loro creatore (On Stage! su tutti), è stato per breve tempo anche un mio docente. Nonché l'autore della premessa al nostro gioco di ruolo, Elish.
Mi si è avvicinato sorridendo per ricordarmi che poi io il suo esame non l'avevo più verbalizzato.
All'esame, la scena fu indimenticabile.
Poco tempo prima, in occasione della giornata ludica promossa dal comune (eh sì, se ne fecero anche di queste cose), nel cortile della Caserma Sani, della mia facoltà, avevamo allestito dei tavoli di gioco, ed io avevo fatto il master di Elish, facendo giocare altri studenti come noi. Lui faceva On Stage!, un altro ragazzo mi pare Martelli da Guerra...
Il giorno dell'esame, il cui programma verteva sui giochi di ruolo, io ero fra gli altri in attesa. Quando mi chiama, mi alzo, mi siedo davanti a lui, lui mi guarda, pensa un secondo, si stupisce e mi fa:
"Scusa, ma io a te che ti chiedo?"
Poi, per un problema di registri fatti con votazioni in 'crediti' per l'ordinamento triennale, non verbalizzai.
Peccato, era un bel 30...
Comunque, a Lucca, mi infila la pulce nell'orecchio; se non mi laureo entro quest'anno, dice, mi passano d'ufficio alla triennale.
Sbianco.
Il mio primo pensiero - giuro! - è andato alla pensione.

Io col contratto a progetto vado avanti solo a pensione integrativa.
L'ho fatta alle Poste. Quando l'ho sottoscritta, la tipa mi ha mostrato una tabella - che ho tuttora nel mio cassetto - che faceva vedere con quanti anni di contributi ottenevo cosa.
Se andassi in pensione a 65 anni, mi sarebbe corrisposto un valore di circa 500 euro.
Non a caso si chiama integrativa.
Ma integrativa de che?
Se non c'è altro, io vado avanti con quella. E' vero, verso i contributi (credo) all'Inps con la gestione separata, ma di queste cose non capisco niente - e sarebbe ora che imparassi a capirle.
Così, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato il riscatto degli anni di università ai fini pensionistici. Puoi riscattare tanti anni quanti sono quelli della durata accademica del corso (quindi non i quindici che sono ora tra in corso e fuori corso) e considerarli come lavorativi, versandone i corrispettivi contributi.
Ed è chiaramente una ben diversa cosa se si parla di cinque anni o di tre.

Assai turbato all'idea, provavo a sentire qualcun altro che di quegli aspetti universitari si occupa: il mio (oramai ex) collega d'ufficio Americo, che alla mia facoltà insegna, in effetti sembrò convinto di poter confermare la cosa.
Un po' meno Giuseppe Anzera, all'epoca assistente di Sociologia delle Relazioni Internazionali adesso non so, che - beccato a culo sulla metro - mi disse che secondo lui non era vero.
Davide Bennato invece - incontrato plurime volte in metro - non l'ho più visto, e per mail non mi ha risposto.
Peccato due volte, perché la mia tesi potrebbe finire in mano a lui...

Ad ogni modo, dopo essermi spulciato fino all'esaurimento il sito (improbo) internet della mia facoltà (ma abbattetelo e fatene un altro per Dio! Dov'è la Comunicazione, nel sito di Scienze Della Comunicazione?!???) ed aver reperito quelle informazioni che potevano essere interessanti, oggi si presentava l'occasione migliore.

A lavoro, il delirio è tale che ieri e ieri l'altro accusavo un profondo stress nervoso.
Perché quando ti chiedono una lavorazione urgente che guarda caso è relativa alla stessa lavorazione fatta - toh! - due giorni prima, che a sua volta era uguale a quella di tre giorni prima... eccheccazzo, anche i santi smadonnano se gli chiedi di fare tre volte la stessa cosa!
"Scusa, mi vai a prendere un bicchiere in magazzino?"
"Uno?"
"Sì, uno."
[...]
"Eccolo."
"Ah, grazie. ...scusa, me ne vai a prendere un'altro?"
"Un'al-?!? Ecchecc... Vabbè, uno?"
"Uno."
"Solo uno?"
"Uno, sì, uno."
[...]
"Tié, eccolo."
"Ah, grazie. Senti, ne servirebbe un altro."
"EVVAF[***]"

Ora, immaginatevi che la scena qui sopra si svolga per due diversi oggetti in contemporanea.

Bene, oggi, visto che stavo male da inizio settimana, mi son preso un giorno di ferie.
Mi sono perso la seconda riunione per la formazione della RSU, anche se col contratto a progetto non me la son sentita di essere fra i firmatari. E mi son perso un altro giorno con Caterina, che viene a vedere i film per la tesi e che è molto carina.
Tra l'altro, proprio ieri ho scoperto che NON hanno preso al primo anno la ragazza del propedeutico che mi piaceva, Martina. Quella cui avevo chiesto il numero e me l'aveva dato.
Quante cose cambia una semplice vocale...
E poi Jodi che confessa candidamente che quando è ubriaca bacia tutti, e Anna che non capisco quanto mi piaccia e...

Ma sto divagando, torniamo a noi.

Oggi dormo fino all'una (ci voleva, cazzo!) poi pranzo ed esco.
Sigaretta post-prandiale tra le labbra mi dirigo verso la fermata della metro, sciarpa di mia cugina al collo e cappelletto verde con visiera ben calcato in testa, in una giornata fredda come poche, ma piena di sole.
Attraverso la strada, guardo a destra e sinistra per non esser messo sotto così, tanto per sfiga, e quando metto piede sul marciapiede dall'altra parte ho una stramaledetta folgorazione.

Perché non mi laureo?
Tutto mi sembra improvvisamente così ovviamente imbecille.
Quante volte mi son trovato a dire, allo psicologo come agli amici, che mia madre mi giudicava soprattutto per quella ch'è stata la mia carriera scolastica? Ve lo dico io, infinite volte. E' uno dei leit motiv della mia vita, e non solo della mia: sono pur sempre il figlio di una professoressa.
E il più piccolino, sempre giudicato intelligente.
Quello che ha sempre brillato per i suoi genitori e per tutti per la sua intelligenza, valutata sul metro dei risultati scolastici, mentre al contrario da una certa età in poi si autopercepiva di più per la sua bruciante ironia, piuttosto. Il bimbo portato in palmo di mano e mostrato a tutti con orgoglio per i suoi risultati (e di converso per tutto il resto) e l'adolescente che trovava il suo posto tra gli amici per la simpatia, e in casa lottava per averlo facendo suo il motto "ne uccide più la penna che la spada", o "meglio un amico perso che una battuta non detta". Che pronunciava le sue stilettate ironiche verso il padre/autorità fisica, con già il piede alzato e le mani sul bordo del tavolo per darsi la spinta necessaria alla fuga prima che la frase fosse finita.
Che ancora adesso è la parte preferita di me.
E allora? Finora incapace di fare due più due e di ammettere che se non mi laureo è per un problema con mia madre, lo stesso all'origine della crisi al secondo anno di università.
Adesso come allora, non voglio - rifiuto di - essere giudicato per quello che è il mio risultato scolastico.
Banale, minimale. Altro che la poesia della sindrome di Peter Pan.
Che oddio, in fondo un po' c'è, se la declini nei termini del rifiuto di crescere per virtualmente 'punire' qualcuno dei tuoi affetti (che poi a rimetterci sei il solo).
Una fetta fondamentale, se non l'unica, del mio blocco universitario è tutta insita nel concetto del riconoscimento. La laurea è un riconoscimento.
Io i ricnoscimenti l'ho disconosciuti tutti: il bravo ragazzo, quello intelligente, studioso... forse l'unico che non disconosco è il ragazzo saggio, perché me lo son costruito io.
Ma lì, in ambito scolastico, la lingua batte dove il dente duole. Quello è l'ambito che almeno io ho preso a simbolo di modo di crescere e di esser cresciuti contro il quale mi batto e mi sono battuto per riconoscere un'autonomia a me stesso, anche nei confronti del mondo.
Adesso il discorso è appena saltato alla luce, è ancora acerbo, confuso. Merita di essere approfondito in seguito, magari.
Magari dopo una pinta di birra.

Così, poco dopo essere uscito di casa, mi sono mischiato alle scolaresche in libera uscita, diretto alla metro con una nuova consapevolezza da sviscerare e analizzare nelle sue implicazioni.
E mentre cammino fra i bambini appena usciti da scuola, mi sento apostrofare da una voce femminile d'infante.
"Scusi, ha un accendino?"
Mi giro con due occhi tanti. Avrà si e no diec'anni, dodici.
Il mio sguardo cambia, e diventa il rimbrotto paternale che dice "Alla tua età?...".
Accadono due cose in contemporanea: lei capisce cos'è che ho capito io, e lo stesso fanno gli altri bambini, e mi mostrano un fuoco d'artificio che hanno in mano. Dicono:
"Ma no, è per questo!"
Io invece sono più lento, ci metto di più a capire. Mi resta lo sguardo malfidato e giudicatore.
E mi prendo la spettacolare battuta della ragazzina:
"Ahò, siamo ancora giovani: se non le facciamo adesso quando le facciamo 'ste cose?!?"
Mi sento scemo e felice, gli accendo la miccia e mormoro
"Però non lo buttate in strada..."
E me ne vado, aspettandomi un bel botto.
Invece si sente come un moscone impazzito, e capisco che non è un fuoco d'artificio di quelli che esplodono, ma di quelli che volano. Mi giro subito, ma niente, me lo sono perso.
Solo dopo una decina di metri mi viene da ridere, ma non so perché mi viene subito in mente un certo senso di colpa. E penso che una volta ridevo di più, molto di più e con più gusto.

Prendo la metro e scendo a Vittorio Emanuele, raggiungo la succursale della mia facoltà, dov'è la segreteria studenti, pensando alla fila che mi toccherà fare, al freddo bestia che fa anche nei corridoi perché lì non ci sono termosifoni...
E mi sorprendo teso, in ansia, coi muscoli tirati.
Ma perché? Che sto andando a fare che mi 'spaventa' tanto?
Ancora non l'ho capito, ma ho cercato di mandare a mente la sensazione: una sorta di compressione toracica, come quella che puoi sentire sdraiato a terra con uno seduto sulla tua schiena. Non sei padrone di allargare i polmoni oltre un certo spazio, e ti arriva una certa fitta dallo sterno quando ci provi. E' anche vero che sto un po' pecetta, ma quella aveva tutta l'aria di essere una cosa psicosomatica.
Troppo tempo distante da quel mondo per non accusare un eventuale ritorno in una terra ormai straniera.

Parlo con la segretaria - miracolo!, un viso conosciuto e pure molto più rilassato rispetto a quando la soprannominavo "quella stronza" per distinguerla dagli altri (non lo è più, per fortuna) - e scopro che:
- rientrerei nella legge per il recupero dell'abbandono universitario (come pianificai)
- che non son più 200 ma 250 euro per ogni anno d'iscrizione saltata
- che devo ricalcolare il mio ISEE, che ancora non ho ben capito che è, un indicatore di capacità contributiva presumo, prima di poter stampare il bollettino per il versamento; e che quindi
- devo ritornarci (ma era ovvio, quando mai si risolve tutto con una sola fila?)
- che sono già in mora
- che se mi dovessi iscrivere potrei sostenere la tesi da giugno 2009 a febbraio 2010, ma non fatevi prendere da facili entusiasmi perché
- non è vero che mi passano d'ufficio alla triennale, anche perché mi manca solo la tesi (ma questo l'ho scoperto altrove)

A questo punto, mi faccio stampare un modulo che certifica gli esami sostenuti che a loro risultano (oltre a quello che vi dicevo mi sa che ne manca un altro, devo vedere) e ottengo anche un bollettino per l'eventuale versamento dei contributi per gli anni mancanti e un modulo per la domanda di reintegrazione agli studi.
Una volta fuori, decido di andare alla segreteria didattica (ovviamente alla sede principale di via Salaria) per scoprire che fine ha fatto, farebbe, farà la mia domanda di tesi già assegnata.
Ci dò giù di scarpe ed autobus e la raggiungo. Non mi fa un effetto eccessivamente straniante rivarcare quelle mura, perché in fondo mi sento sempre un po' a casa (tredici anni lì dentro pochi non sono) anche se ormai non conosco quasi più nessuno e devo persino chiedere informazioni su dove devo andare.
E mentre ci vado, ecco che ti vedo seduto Riccardino.
Completamente perso di vista da anni, ma mi fa comunque piacere rivederlo. Di solito ci si becca a Romics, ma quest'anno non poteva. Adesso lavora alla SIAE, e pure lui in maledetta attesa di assunzione a tempo indeterminato.
Mi accompagna su e, altra piacevole sorpresa, c'è sempre la Brandimarte.

Io adoro quella donna.
Mai incontrata persona più disponibile e gentile. Una volta, per la consegna di un modulo, si propose di consegnarlo lei al posto mio in segreteria, evitandomi la fila. Ed era la fila quella della "sveglia-alle-sette-di-mattina-in-coda-alle-otto-esci-a-mezzogiorno".
Mi siedo a parlare con lei e scopro che la tesi dovrebbe ancora essere assegnata alla cattedra/e di riferimento, perché nonostante se ne sia andato Abruzzese, che era il mio relatore, le sue tesi dovrebbero essere divise fra Bennato (magari!) e la a me sconosciuta Giordano. E ancora una volta, disponibilissima, mi cerca telefoni, email e orari di ricevimento e - quando scopre che proprio oggi e proprio a quell'ora Davide faceva ricevimento - mi accompagna su.
Putrtroppo non c'è nessuno, e Mickey Mouse (Michelino Sorice) si affaccia per chiarire il possibile equivoco. Non mi riconosce, e ci resto male. Sparisce prima che possa rinfrescargli la memoria, a lui che venne a sentire la sua ragazza recitare poesie al Palazzo delle Esposizioni e si trovò ad acoltare anche me, lui che ci metteva i lucidi con la faccia di Babbo Natale per farci gli auguri prima delle vacanze... Lui che si stupì perché avevo preso un 25 al suo maledettissimo esame.
^_^
Allora scendo giù con Riccardino, andiamo a prenderci un caffè, incrociamo e mi presenta la sua svampitissima amica sarda di Olbia Valentina, un puffo allegro e fuor di cotenna che sta aspettando che il suo ragazzo finisca la lezione. E in mezz'ora diamo sfogo a battute, battute idiote, trivialità sessuali e tutto il vecchio repertorio rinnovato. Ci scambiamo i numeri di telefono, il contatto su Facebook...


E poi mi giro e c'è Chiara davanti a me.
E' lì, elegante, bella, per nulla sconvolta, ma io non posso fare a meno di chiedermi quale Chiara mi trovo davanti, quella sana o quella malata, quella in cura o quella bombata. E di chiedermi io cosa farò, cosa voglio fare: scappare, abbracciarla, farci immediatamente l'amore, respingerla...
Cerco di analizzare le mie emozioni, mentre la guardo, la saluto, comincio a parlarci e nemmeno mi rendo conto che Riccardino squaglia portandosi via Valentina, e adesso mi chiedo se glielo avevo racontato, se Riccardino sa - perché lui all'epoca c'era - o l'ha capito perché all'improvviso era come se una nuvola fosse scesa su di me.
Mi chiede subito di Francesco, Chiara. E in fondo me l'aspettavo, o forse no.
Del resto, per qualche ora sono stati insieme, prima che lei lo terrorizzasse facendolo scappare a gambe levate. E glielo devo, spiegazioni chiare sull'accaduto, dall'inizio, anche se poi non le completo.
Lei ha visto i volantini a stazione Trastevere. Quando? Due giorni dopo che li abbiamo messi. Come fa a sapere quando li abbiamo attaccati? L'avrà chiesto...
E mi chiede il numero, e una parte di me dice "non darglielo!" e l'altra non desidera altro. Ho paura, terrore, che ricomincino le telefonate assurde tipo "vedo il sangue che sgorga dal pavimento" che non fanno altro che sancire la mia impotenza, e non vedo l'ora di ristabilire un contatto perché come lei non ho mai amato nessuno nella mia vita e sono otto anni che sono single.
Sta bene, è bella, si vede che anche lei non sa come approcciarmi.
"...ci contavo proprio d'incontrarti così, uno di questi giorni." - dice.
Io le sorrido, cerco di farle capire che mi fa piacere, anche se non so se è vero, ma è che non so che dirle.
Mi chiede di accompagnarla su, a lezione. Sta seguendo un seminario sulla scrittura. Mi accenna a un libro che vuole scrivere, per ora sono poesie, deciderà poi se integrarle nella narrativa o lasciarle come raccolta.
La lezione non è iniziata, usciamo a fumare. Troppe, troppe sigarette, non dovrei. Ma le offro della liquerizia e ne prendo anch'io per fumare con lei. E mi racconta della terapia. Sono tre anni. Ed io già mi sento meglio.
"Eri tu che la stavi facendo...?"
Sorrido, stavolta sì di cuore, e annuisco. Non lo dico, ma è una campana dentro di me adesso: "la faccio da quando ci sei stata te nella mia vita, amore mio. E sono più di tre anni, per me".
Mi racconta che si è messa a piangere. Perché "Chiara sta ricostruendo".
"Da dove parti?" - le chiedo.
"Da me." - risponde.
Spegne la sigaretta, stiamo parlando degli alti e dei bassi, dei buoni e dei cattivi momenti e come questo si colloca tra loro. Le dico che mi hanno pubblicato un racconto, e sono felice di dirglielo. Non riesco a propormi di dargliene un copia. Ancora non riesco a capire se ho paura o la voglio rivedere.
Lei sta per andare a lezione.
Ci abbracciamo. La bacio più volte sulle guance, salutandola, ed ho desiderio irrefrenabile delle sue labbra. Ma non le concede. Sulle scale a fumare, mi ha detto che sta vendendo la vecchia casa, e che abita altrove non da sola.
Solo col senno di poi intuisco che forse voleva dire che è impegnata.
L'abbraccio ha qualcosa che non va, è forte, ma non è pieno.
La vita me l'ha messa davanti troppo in fretta, non ero pronto, non so ancora come reagire. Sento che le fa piacere che l'abbraccio, ma... c'è come un vuoto. E quando esco non sono sconvolto, né stravolto, ma nemmeno sereno.
Se la vita me l'ha fatta ritrovare adesso, non è perché adesso non è un bel momento e ritornano fuori tutti i problemi irrisolti; non è nemmeno perché altre cose, sentimentalmente parlando, potrebbero andar bene - e lei esce come un fantasma per rovinarle o per farle nascere bene dopo aver regolato i conti delle mie emozioni in sospeso.

Chiamo immediatamente Gabriele, perché questa cosa è talmente grossa che va condivisa.
E lui mi fornisce l'appoggio equilibrato che volevo: mette le cose in prospettiva, mi aiuta ad affermare che in effetti va tutto bene, che l'unica cosa che non devo fare è ragionare in termini di passato - perché quel che era, appunto, era; e quella che ho di fronte è una persona nuova, negli stessi termini in cui lo sono io.
Ed io mi scopro a pensare che, molto zen, se l'ho incontrata è perché la dovevo incontrare.
E devo lasciare che tutto, e il resto, scorra secondo la corrente.


GrimFang