L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

lunedì 29 settembre 2008

Amarezza

Dov'è casa?
E' qui, nel mio ufficio, dove ho realmente la possibilità di trovare silenzio, tranquillità, pace per i miei pensieri? O è a casa, intendendo il luogo dove abito con i miei, dove non ho privacy, non ho tranquillità, non riesco a riposarmi dallo stress, ma ho comunque quel minimo sindacale di affetti di cui devi sudare sette camicie per rendertene conto? E' nel gruppo di Elish, dove andando a stringere le somme siamo rimasti paralizzati a come eravamo quando ci siamo conosciuti, o è a teatro dove tante belle soddisfazioni, tante condivisioni e bei momenti vengono regolarmente avvelenati alla prima incazzatura?
E anche se fosse qui nel mio ufficio, ora che Stefano si è trasferito a vivere a Torino, ora che sempre più spesso mi rendo conto della vacuità di alcune persone - che comunque, insieme a tutti gli altri allievi, soprattutto quelli nient'affatto vacui, prima o poi se ne andranno - ora che sono mesi che reggo lo stress di tre persone tutto da solo, anche se fosse qui, che razza di casa è?
Certe volte mi sembro giapponese, per quanto sono dedito alla mia azienda, quasi stachanovista. Altre volte mi faccio gli emeriti cazzi miei e mi sembra di trascurare tutto. Eppure so che se non lo facessi impazzirei.
E se la mia casa fosse il luogo dove abito, dopo mesi in cui il mio adorabile/detestabile nipote ci abita con la sua famiglia, dopo decenni in cui la mia indipendenza è quasi ignorata, dopo almeno un anno in cui tutti confondono il mio nome con quello di mio fratello e viceversa, in un luogo che è sempre più difficile sentire come 'mio' per il numero di volte in cui viene 'violato', in cui oramai ci sto anche stretto perché le mie cose non c'entrano più... Se fosse così, come potrei sentirmi a tratti estraneo nella mia casa?
Ponendo il caso che fosse nel gruppo di Elish, cosa potrei chiamare realmente casa in uno stillicidio di litigi più o meno periodici, d'incomprensioni, di mancanza di complimenti e pacche sulle spalle reciproche, negli altalenanti entusiasmi che basta così poco a distruggere? Come posso chiamarla casa se il padrone di casa non sono io?
Stessa cosa per il teatro. Se il diktat in ambito teatrale è e forse deve essere ben accetto, non mutano né le forme né la sostanza; e tutto ciò che è alternato, ciondolante, sbavato in Elish lo ritrovo anche fra quelle quattro mura. E sono stanco, stanco, stanco!
Ho voglia di piangere e vomitare.
Tutte le piccole meraviglie dei sorrisi di mio nipote, dell'orgoglio di aver fatto più che bene in ufficio il proprio lavoro, dell'aver partorito idee vincenti per il gruppo di Elish e l'entusiasmo di provare, costruire e mettere in scena - in qualche modo che ti stupisci di riuscirci sempre - qualcosa di unico perché vive nell'unica sera in cui accade... tutto questo muore contaminato dal veleno.
E più sto solo e mi sento solo e solo voglio e non voglio stare, più provo schifo per tutto e divento acido. Sto nero, sto proprio nero. Rispondo a cazzo a tutti, compresi quelli che mi vogliono bene, mordo chi mi tende la mano per chiedere consigli, sputo fiele e miro agli occhi di chi, in fondo, prova solo a cercare la mia guida e la mia compagnia.
Perché non ce la faccio più, porca puttana.
Non ce la faccio più ad essere sempre io a far da paciere.
Non ce la faccio più ad essere io quello che si mostra disponibile.
Quello che cerca di essere sempre presente.
Quello saggio.
Sto comportandomi senza volerlo completamente come un vero grandissimo figlio di puttana, e non ci godo affatto. Perché mi sono rotto il cazzo che nessuno mai cerchi da far paciere per me; che nessuno si mostri disponibile; che nessuno sia presente, saggio, quando la mano tesa è la mia. Perché nessuno fa mai lo sforzo di capire me.
Sono saturo, e sbotto.
E vorrei vomitarlo fuori tutto questo dolore che viene chissà da dove.
Tenuto dentro troppo a lungo, facendo finta che tutto va ancora abbastanza bene, e che posso ancora sopportare.
No, c'è un limite periodico a questa sopportazione e sbrocco. Non sono buono. Non sono cattivo. Sono una via di mezzo: uno stronzo; come diceva Allegra. Ed ho i miei momenti da stronzo.
Quindi signori, statemi lontani.
Oggi mordo.


GrimFang

giovedì 25 settembre 2008

Indiana Jones e la maledizione del CozzaWagon

L'aria del tardo pomeriggio era accogliente e delicata.
Una lieve brezza faceva stormire le fronde degli alberi, colorati dai raggi dell'ultimo sole al tramonto. Indy era appena uscito da lavoro, in compagnia di Marcus.
Aveva appena finito di tenere una conferenza dal titolo


E' INUTILE CHE INSISTI, QUESTI SCATOLONI QUI NON C'ENTRANO
ovvero
L'IMPENETRABILITA' DEI CORPI:
PERCHE' NON ME LA DANNO


"Aaah, senti che aria! Questa... non è una giornata da stare chiusi, questa... è da pergolato e bicchiere di vino! Anzi: succo d'uva!"
"Già" - intervenne Marcus - "E' proprio una di quelle giornate che sembrano dirti: esistono anche altre cose nella vita... ma te sei a lavorare, ah, ah, ah!"
Marcus si offrì di dargli un passaggio alla metro (non Goldwyn, né Mayer), ed Indy accettò con piacere.
Non vedeva l'ora di togliersi di dosso la polvere catramata che gli si depositava sulla cute ogni volta che si smazzava a risistemare gli scaffali; avrebbe potuto giurare che ogni volta che si sciacquava le mani si levava di dosso un'era geologica: ecco qui gli inca... saluta i maya... toh, quella era l'antica grecia...
E non aveva nemmeno fatto in tempo a godersi la soddisfazione d'aver liberato un po' di armadi e un sacco di scaffali - d'aver trovato la statua del gatto giusta dopo esser passato dal buco della carbonaia, col chewing-gum sotto le scarpe e lo straccio sporco in tasca [citazione!], che avevano bussato alla sua porta.
"Dottor Jones?"
"Sì?"
"Questi venti scatoloni di reperti sono suoi. Una firmetta..."
"Ma... ma... almeno, di che materiale, di che epoca sono?!"
"Ah, non me lo chieda, li hanno schiaffati dentro alla rinfusa. Buona giornata."

Questo accadeva il giorno prima.
Per tutto lunedì lui e Marcus erano rimasti a ridere fino alle lacrime, riuscendo a rigirare per il verso giusto la disperazione. Complici anche tutti i colleghi che, del tutto innocentemente, passavano per quella stanza.
Collega: "Ammazza com'è ridotto 'st'ufficio."
Marcus e Indy (unisono): "Ufficio?!"
Oppure
Collega: "Ragazzi, scusate, avete una scatola?"
O ancora
Collega: "Ma vi hanno dato anche dei fogli, qualcosa che dica che contiene?"
(bonario sguardo di Marcus e Indy alla "povera illusa")
Collega: "Ma chi se lo smazza tutto il lavoro d'inventario?"
(Indy alza l'indice e lo gira alla "schiaffo del soldato")
Indy: "E' tutta roba della Didattica, c'è di tutto."
Collega: "Ah, forse c'è anche quella cosa che cercavo..."
Indy e Marcus: "Accomodati! Quando vuoi! Se ti va ti lasciamo la sedia..."
Collega: "No, no! Scherzavo!!!"
Infine (al telefono)
Responsabile: "Ma che vuol dire 'sovraccarichi', quanto siete pieni?"
Indy: "Fra': non riesco a girare la sedia."

Se il giorno prima tutto quello che era riuscito a fare era stato ridere, quel giorno era in fase forse più discendente: pian piano cominciava a rendersi conto delle dimensioni approssimative del cetriolo che si sarebbe smazzato fino a fine contratto.
Pensandoci bene, magari se non finiva in tempo il consiglio d'amministrazione glielo avrebbe rinnovato.
Con questo stato d'animo, e un po' immerso nei pensieri suoi, Indy scese a prendere la metro.
22 fermate; mezz'ora sottoterra.
Lungo la banchina della stazione non c'era quasi nessuno.
Indy ristette un attimo, incerto se sedersi e magari leggere qualcosa oppure restare in piedi fino all'arrivo del primo treno. Un'invitante panchina vinse la sua indecisione, ma non estrasse nulla da leggere dalla sua borsa. Puntuale come la legge di Murphy, infatti, arrivò il treno.
Il nostro salì e si mise in piedi, reggendosi agli appositi sostegni.

Ora, era molto tempo che Indy, appassionato estimatore del genere umano femminile, dovendo compiere quel tragitto due volte al giorno tutti i giorni feriali e non avendo un cazzo da fare, si dilettava in un vero e proprio studio statistico. Metodicamente - per quanto possibile - da buon professore, si dedicava allo studio dei flussi.
I flussi di gnocca, per la precisione.
Ovvero, quale vagone e quale porta devo prendere per passare la maggior parte del viaggio a stretto contatto con il maggior numero di gnocche possibile?
Essenzialmente, il suo studio era per dar risposta a questo.
Aveva iniziato, ovviamente, contando i vagoni.
All'epoca c'erano treni di diversa lunghezza, poi sostituiti con quelli - più moderni - a corpo unito e lunghezza standard di sei vagoni. Prima, ne circolavano anche da cinque, e questo in parte pregiudicava un calcolo esatto, variando gli spazi di frenata.
Per ottenere un calcolo rigoroso, bisognava infatti cercare di ripetere paro paro l'esperimento per studiarne le variazioni e stabilire quindi una 'forchetta di tolleranza' o di errore, da applicare alle successive asserzioni. In più, come può darsi scienza se non c'è il controllo relativo al confronto dei dati? Questo poteva avvenire, coi vagoni separati, soltanto per i vagoni vicini ed il proprio, a patto che
1. nessun graffitaro si fosse divertito coi finestrini,
2. ci fossero finestrini - non blu scuro - tra i vagoni e
3. il proprio vagone, almeno quello, non fosse affollato.
Nel qual caso l'equazione più gente = più probabilità di gnocca (non sempre verificata) era già di fronte a un problema.
L'avvento del treno unico risolveva il secondo problema (la valutazione a distanza della gnocca negli altri vagoni), ma manteneva il terzo: per entrambe le situazioni restava il calcolo della 'gnocca intravista dal finestrino'.
Mentre il treno passa in una stazione fino a fermarsi, cioè, guardi sulla banchina e annoti mentalmente quanta gnocca hai visto e - calcolando la frenata prima e la fermata poi - stabilisci più o meno a quale altezza sta salendo. Appena il vagone è fermo guardi avanti rispetto alla tua posizione e vedi quanta ne sale e dove dalla porzione di banchina che non hai visto arrivando.
Un calcolo assoluto, invece, è quello delle entrate e delle uscite in ogni singola stazione.
L'avvento del nuovo treno a lunghezza fissa, garantiva la possibilità di tracciare una mappa: si relaziona la posizione delle porte rispetto ai punti di accesso e di uscita delle fermate lungo il percorso. In pratica, Indy disegnò una mappa mentale dei sei vagoni, e tracciò una X all'altezza dei punti di accesso di ogni singola fermata, da quando saliva a quando scendeva. E una Y in corrispondenza dei punti di uscita. Dove le X si sovrapponevano più spesso, quello indicava un punto di maggior afflusso passeggeri.
Ma non per forza di gnocca!
Considerato che la Y indicava da dove si svuotava più spesso, e considerato che la gente non si ferma quasi mai nel punto in cui accede alla banchina, si trattava ora di considerare il comportamento della gente.
Tanto per cominciare, alcuni punti di accesso erano rampe: e la gente tende a proseguire nella direzione verso la quale la rampa è orientata.
Ancora, molta gente - e in questo caso molta gnocca - sceglie di posizionarsi, un po' per pigrizia, un po' per fretta, un po' saranno cazzi loro, già in corrispondenza del punto d'uscita della fermata dove scenderà. Indy, oltre alla stazione centrale, ne aveva individuati altri quattro. Oppure, sceglieva i vagoni più estremi, cercando di trovare posto a sedere - ma questo, trattandosi di vagoni più 'rarefatti', già prescindeva dall'obbiettivo della ricerca.
Ancora, questa mappa era da invertire - nella strategia del proprio posizionamento - a seconda della direzione che si stava percorrendo, cioè se andava a lavoro o tornava. Cioè, se all'andata si posizionava al terzo vagone quarta porta, al ritorno doveva salire al quarto vagone prima porta, per mantenere la stessa posizione rispetto ai punti d'accesso e di uscita rilevati.
In più, alcuni punti d'accesso e d'uscita erano perpendicolari alla banchina, per cui la gente avrebbe scelto se andare a destra o a sinistra. E in questa decisione giocava la folla già sulla banchina, la conoscenza intuitiva dei flussi del treno, la voglia di stare soli o in compagnia, pigiati o meno, l'urgenza di prendere proprio il prossimo treno...
E poi le condizioni meteo esterne, il periodo dell'anno, il freddo...

Insomma, Indy era assorto in queste considerazioni di calcolo, scegliendo se optare per il secondo vagone quarta porta (o al limite il terzo prima porta) oppure il quarto prima porta (o al limite il terzo quarta porta, che si riempie di più verso l'inizio e la fine del tragitto, svuotandosi a metà) quando il treno si fermò davanti a lui.
Quindi, quando entrò - terzo, prima porta, per la cronaca - e si fermò a posizionare la borsa (col portafogli) stretta tra le gambe, reggendosi al palo di metallo per non cadere, ritornò con la mente alla giornata precedente quando, nella medesima posizione, aveva viaggiato immerso nella gnocca. La cosa gli fece scattare un ulteriore pensiero, facendogli guardare l'orologio. Si chiese, con pungente preoccupazione, se il quarto d'ora circa di anticipo rispetto al giorno precedente - quando s'era dovuto trattenere più a lungo in ufficio - gli avrebbe fatto perdere la vasca di "sciauro di fimmina" che aveva assaporato il giorno precedente.
Premonizione.
Salito una fermata prima del solito - quindi pronto a farne 23, di fermate - già s'era accorto dell'estrema povertà del circondario. Era salito sul vagone più pieno, eppure di tutte le femmine che c'erano nemmeno una rientrava nella categoria 'accettabile'. A meno che non si parlasse di uso di accetta.
La situazione non migliorò nemmeno alla sua solita fermata - al cui esterno, tra l'altro, c'era anche un centro commerciale assai affollato. A quella dopo, finalmente, una ragazza carina salì alle sue spalle; scambiò due parole con un'altra ragazza (che si piazzerà davanti a lui, rivelandosi insipida) e si andò a sedere sempre alle sue spalle. Da quel momento...
Ventitré fermate, tra cui la stazione centrale.
Ventitré.
23. Bucio de culo aiutame te.
Alla quarta ragazza appartenente al regno dei mitili, Indy si trovò a guardare ansiosamente il resto del treno. Si trovò con orrore a rilevare che c'era bassa marea dappertutto.
Di sei vagoni, l'unica decente era seduta alle sue spalle.
Mentre il suo senso di ragno prudeva, come San Tommaso Indy si voltò, per dare consistenza a quella che era una fugace impressione. Sì, quella salita prima gli sembrava carina. Un timido sorriso provò ad accennarglisi sulle labbra, ma aveva il tremore di chi è venuto a farti un ultimo saluto prima di sparire.
Alla prima fermata da lui individuata come punto d'accesso gnocca, la saliva gli divenne sabbia in bocca.
Mai, mai in tanti anni di accurata ricerca a quella fermata era salito un tale riflusso di bassa marea. Indy cominciò a sudare. Davanti a lui si erano piazzate una signora di mezza età e due più giovani. Accenti, postura, discorsi tipici del sud poco sviluppato: la più giovane delle tre sembrava dispensare consigli alla più anziana, forse una zia, in materia di seduzione [!]. Lei. Grassoccia e rotondetta con gli occhi leggermente a palla, a tratti velati come quelli di un pesce lesso.
Va bene, a voler fare giustizia aveva un bel sorriso, e l'espressione era piacevole, ma restava un mitile. Indy non era un sessista, né eccessivamente volgare, e trovava sempre dei lati positivi nelle donne: in tutte le donne! Eppure questa volta si scosse interiormente, e persino pensare a salvare qualcosa in quel sorriso... "Beh" - si disse - "E quanno ce vò, ce vò!": era un cesso, e rientrava nella categoria tale.
L'altra, che sembrava cercare una posa buona per farsi squadrare, avrebbe anche potuto... vabbé, essere elegante, aver buon gusto nella scelta delle scarpe: ma aveva le sopracciglia riconciliate come le due Germanie dopo il crollo del muro di Berlino, la faccia piatta e tonda come dopo l'effetto di una sonora padellata e rassomiglianze fisiche con una sogliola! Era un cesso, punto e basta!
Indy cominciò a sudare, e proprio in quel momento alla sua mente si affacciava un'idea, nata da un suo viaggio in Danimarca, quando cercarono invano la "Zona 360".
Alcuni anni prima, infatti, passeggiando con altri suoi colleghi docenti sulla Strøget - il corso mondano di Copenhagen, in Danimarca - si trovò con loro immerso in un immenso flusso di gnocca. Spuntava da tutte le parti, e sembrava impossibile riuscire a tenere il conto, a comprenderne gli spostamenti, i punti di raccolta: storditi, constatarono che non si riusciva nemmeno a godersela tutta, perché ogni secondo ne spuntava una nuova, distogliendo l'attenzione dalla precedente. Ma erano pur sempre docenti! Dopo essersi rincattucciati in un angolo per riprendersi dal batticuore, uno di loro propose d'immergersi - questa volta consapevolmente - nel fiume di ragazze a passeggio; beandosi sì della vista, ma soprattutto cercando di ottenere un dato scientifico: scoprire o meno l'esistenza della "Zona 360", da lui in quell'istante teorizzata. Ovvero, l'esistenza di un punto preciso in un flusso di folla nel quale - ad un dato momento - girandosi a 360° si è completamente circondati soltanto da gnocche - considerando il solo genere femminile, ovviamente.
In quell'occasione la "Zona 360" non venne trovata, ma Indy ancora la inseguiva come aveva fatto con l'Arca.
Così, davanti a quelle tre... signora e signorine assai poco dotate da Madre Natura per quel che riguarda il piacer dell'occhio, a Indy tornò in mente la teoria della "Zona 360"... al contrario, però. Teorizzò: è possibile trovarsi immerso in un flusso di cozze a 360°? Sto davvero rischiando tutto questo?
Se nell'esperienza di Copenhagen la "Zona 360" non si era mai raggiunta per la presenza sempre di almeno un paio di cozze, in questa rivoluzionaria e terrificante teoria complementare avrebbe dovuto esserci almeno un paio di ragazze molto carine. Insomma, delle vere gnocche. Invece, su quel treno - mica solo su un vagone - a vista d'occhio l'unica decente era quella seduta alle sue spalle. E, a dirla tutta, forse per effetto del cozzume che aveva intorno, Indy cominciò a trovare che una che se ne va in giro con un maglione verde "passato di verdure" con sopra dei grossi disegni fucsia qualche grosso problema ce l'ha. E gli sembrò meno carina.
Forse fu uno scherzo ottico, ma gli sembrò persino che fosse un po' strabica. Preferì non controllare oltre.
Ora sudava.
Rischiava di scoprire l'inverso della "Zona 360", ovvero di dimostrare che quella teoria per le cozze è valida, per le gnocche molto meno. Anzi... in realtà l'aveva già verificata! La ragazza passabile era salita dopo tre fermate, e prima il treno era pieno solo di cozze!
Il problema era che adesso quella situazione perdurava: già erano trascorse una decina di fermate; ne mancavano ancora tredici circa, cosa sarebbe accaduto? Una certezza almeno l'aveva: la ragazza passabile sarebbe scesa una fermata dopo la sua.
Al nuovo aprirsi delle porte, quel piccolo lampo d'intuizione cominciò a manifestare tutti i segni della probabile realtà. Al di là di qualsiasi legge statistica il treno si andava affollando di molluschi bivalve di genere femminile. Non che quelli maschili fossero da meno.
Indy sembrava precipitato in una sorta di incubo grottesco, come in un quadro di Bruegel. Per carità: nessuna malformazione fisica, o segni d'incidenti, o menomazioni, sfigurazioni o altro: il treno si andava via via riempiendo solo di semplici cessi. Donne brutte, niente più. Nemmeno il treno fosse diretto a Lourdes.
Ma da dove stanno uscendo? Perché tutte in giro, perché adesso? - si chiedeva il nostro, in un silente e doloroso singulto. Alla fermata nel quartiere degli immigrati, dove non è raro veder scendere e salire delle bellezze esotiche, solo scialbi esemplari delle diverse razze umane. Ancora prima, Indy era stato circondato da due turisti armati di valigie per partire alla stazione centrale; francesi, forse. L'unica donna era, ovviamente, vicino a lui, e non si poteva certo dire che fosse carina - tantomeno passabile.
Forse, per effetto della vicinanza di tanto bruttume lo standard qualitativo di Indy si era andato innalzando, levandosi a difesa del personale criterio estetico di solito abbastanza di larga mano; ma più probabilmente era proprio un dato oggettivo che il treno fosse diventato un carro bestiame di scarsa qualità. E quindi...
...fu la volta della stazione centrale.

Terzo vagone, prima porta.
Esattamente in bocca al punto d'accesso; il punto in cui, secondo le stime di Indy, sale più gente.
La stazione centrale. Dove orde di persone cambiano treni, il centro nevralgico di scambio dell'intera città. Il luogo dove frotte di turisti di ogni nazionalità si smistano lungo le direttrici per raggiungere i propri ostelli, alberghi, pensioni e luoghi di interesse da visitare.
Statisticamente im-pos-si-bi-le non trovare almeno una gnocca!
Indy sudava freddo. Ansiosamente, il suo sguardo saettava sulla banchina. Certo, moltissima della popolazione racchia avrebbe abbandonato il treno in quell'istante, quindi si presentava l'occasione perfetta per un ricambio totale. Dai - si disse - fuori la befana, dentro miss universo! Ma più i freni stringevano le pastiglie sui dischi d'acciaio delle ruote sulla strada ferrata, più gli occhi di Indy non trovavano un viso, un'acconciatura, un indizio qualsiasi da confermare su cui concentrare la sua attenzione. Persino nello spazio di banchina che sarebbe divenuto carico per i vagoni successivi, intravisto dal finestrino, nulla aveva attirato la sua attenzione. Era concentrato a mille: non poteva essere, nemmeno la legge di Murphy può essere così precisa!
Eppure, quando le porte si spalancarono nuovamente ed il reflusso gastrico prese il largo liberandosi verso le scale, ciò che ne prese il posto entrando non si rivelò migliore.
Una turista forse francese, capelli rosso aranciato e minigonna ascellare, il corpo interamente coperto da lentiggini, aveva colto inizialmente la sua attenzione. Ma, al di là dell'essere totalmente piallata, le cosciotte che metteva in mostra avevano tutte la ragioni per poter essere anche lasciate coperte, e l'aria intellettiva che sprigionava dai suoi occhi e dalla sua espressione era minore di quella di un totano. Lesso. Dall'iniziale moto speranzoso Indy passò bruscamente al "Ma anche no!" che echeggiò nella sua mente.
Dopo di lei, il vagone venne invaso da maschi di tutte le specie, valigie, improperi e ostriche, vongole, canestrelli, capesante, e lamellibranchi di tutti i generi. Seppiacei: persino il gruppo di turiste alla sua sinistra erano delle slave slavate, o delle tedescone cicciotte. La spilungona che stava dietro la ciottona era più una cefalopoda polpacea, il viso come se fosse stato di recente costretto a sostare a lungo tra le morse di una pressa. E come nella tettonica a zolle, la pressione doveva poi aver fatto uscir fuori il naso.
La ragazza che aveva l'espressione più dolce - piazzata proprio davanti a lui - aveva anche due tette enormi: peccato che fossero poi indistinguibili dal resto del busto. Occupava lo spazio di tre persone, poverina.
Indy osservò scioccato questo marasma: da qualunque parte si voltasse, per quanto possibile, non un solo esemplare di mammifero adulto femminile della razza homo sapiens era da considerarsi quantomeno decente. Sentì a un tratto che il suo senso estetico era diventato ribelle, trasformandolo quasi in un intollerante. Tornò a voltarsi verso la ragazza passabile che sedeva dietro di lui, e prima di vederla sparire coperta dalla gente si convinse ch'era davvero strabica.
Agiva a scatti, nervosamente.
Aveva intuito che forse, quel piccolo brivido di premonizione che aveva avuto all'inizio del viaggio, quel sorriso tremante che già sapeva di dover sparire era solo l'avvisaglia di qualcosa di profondo che aveva avvertito.
Quel treno era maledetto.
Non c'era altro modo per spiegare quel fenomeno, almeno non ce n'era uno per farlo scientificamente. Era pur sempre un professore, e avrebbe resistito fino alla fine, verificando le teorie e resistendo all'impulso di scendere urlando ed aspettare il prossimo treno. Ma per chi ha avuto a che fare tutta la vita con folklore e leggende, sempre in grado di dimostrarsi più reali di quanto si sarebbe immaginato, la maledizione del CozzaWagon era più di una semplice ipotesi: poteva tastare con mano quanto fosse realtà!
Caparbiamente, s'apprestò a resistere: ogni volta che s'aprivano nuovamente le porte si aspettava una nuova tellina pronta ad assurgere ai suoi occhi, e così avveniva. Allo stesso tempo, osservava curioso quando si sarebbero tolte dalle scatole le cozze più vicine a lui, ansiosamente in attesa di sbarazzarsene. Moby la balena nera e viola sarebbe restata inchiodata davanti ai suoi occhi per tutto il viaggio. E in fondo, contava le fermate, i secondi, nell'attesa di veder apparire almeno una femmina decente in tutto il viaggio. A quattro fermate dalla sua discesa ne salì una; ma ormai il suo livello di schizzinosità era talmente alto che, una volta notato che era sì carina, ma tutto da lei trasudava il concetto "sono un'incredibile stronza", indy la catalogò a sua volta come cozza.
In fondo, una cozza è - in senso lato - qualsiasi donna talmente orribile da generarti repulsione. Che poi il suo stato di orrorificità fosse derivato dalla stima di un valore interiore creava poca differenza.
Proprio due fermate prima della fine del suo calvario, esattamente da dietro le sue spalle, uscita da chissà dove e salita chissà quando, gli si affiancò l'unica ragazza veramente carina di tutto il viaggio.
Indy rimase stupefatto, a guardarla. Non gli si poteva proprio dire nulla, era semplicemente carina. La piega dolce delle labbra, l'assoluta tranquillità nelle movenze e nello sguardo, il vestiario sobrio e ben equilibrato. Carina.
Non una gnocca, ma sicuramente una stella a confronto con la ciurmaglia d'incrostazioni di chiglia che affollava quel posto. E ovviamente, scese.
Ma questo era bastato a lasciare quel po' di stupore negli occhi di Indy; a dargli la consapevolezza che quell'interminabile perdurare della "Zona 360 Cozza" era finalmente giunto alla sua fine, dopo esattamente ventuno fermate. Mezz'ora e 90 secondi di tragitto. Mentre sulla Strøget la "Zona 360" durava frammenti di un attimo.
Bastava soprattutto a far nuovamente voltare Indy verso la strabica, ed a fargli concludere che in fondo, anche se lo era, non era poi male.
Riconciliato col mondo, ma scosso nell'intimo, Indy scese alla sua fermata. Lungo le scale mobili che lo riportavano all'esterno sentì che si stava come 'trascinando appresso' due mitili. Ma la maledizione era finita, si disse.
Andava svanendo: all'esterno li avrebbe reincontrati entrambi - i monoplacophori - per strade traverse lungo il suo percorso. Ma una volta a casa, li avrebbe sicuramente lasciati fuori.
Per una volta, Indy ringraziò il cielo di mettere piede a casa tornando da lavoro.


GrimFang

PS: Se non fosse uscito il quarto Indiana Jones, forse mi sarei fatto anche scrupolo di chiedere scusa ai creatori di Indy...

lunedì 22 settembre 2008

Chatta col Deso

19.13 Francesco: Ciao
Complimenti mi ha detto il Paul che hai ***censura che non se po' dì***
e LUI ha già potuto leggere il tuo racconto
QUANDO ME LO MANDI?
19.15 me: ^__^
19.16 Francesco: Posso giustificare che tu abbia dato consolazione al povero esule in ostile terra francese però...
sono in fervente attesa
me: ehm, vabbè. lui me l'ha chiesto...
19.17 Francesco: dai, dai, non c'è alcun problema
me: ^__^'
Francesco: ora te lo sto chiedendo anche io!!!
me: eh eh eh...
Francesco: senti hai letto la mail del Mirko
me: ancora no...
19.18 Francesco: tu ci saresti venerdì sera? lui propone di beccarsi
19.19 me: porcaccia zozza, aspetta che non lo trovo...
19.20 Francesco: Ora ti debbo salutare, che vado a sistemare un po' casa, Maria è nel lontano Canada e devo dare una pulita prima che torni...
Sono solo soletto...
Triste nella fredda casa di Ostia
ahimè
19.21 senza nemmeno un buon racconto di un caro amico a scaldarmi il cuore
sob...
me tapino...
me: ma aspetta che l'ho trovato!
(maledetto)
19.22 ecco!
(ah, te sei a ostia solo e non inviti?
^__-
)
19.23 Francesco: ehi se vuoi fare un salto, per due chiacchere e magari un filmetto sei benvenuto
19.24 e comunque la porta è sempre aperta anche quando c'è la cara Maria...
me: =)
purtroppo è un bel viaggio
19.25 Francesco: lo so, lo so... ATTENZIONE
e' arrivata una mail succosa
RACCONTO!!!
me: ^__^
digia ha detto
che è sensazionale
la cosa più bella che ho scritto
(che ha letto)
19.26 quindi
sii un po' più serio di lui!!!
19.27 Francesco: Mi ha detto che è molto figo
sono assai curioso, domani ti faccio sapere
19.28 Vorrà dire che svolterò così la serata e mi conforterà nella solitudine leggere la tua prosa superba
19.29 mentre lo sguardo si perde nostalgico sul mare nella notte
me: bum
bum bum!
^__^
19.30 Francesco: Bando alle cazzeggiate, facci sapere per venerdì che sarebbe bello ribeccare il Mirko
L'ho sentito per telefono un po' di giorni fa e mi sembra che abbia parecchia voglia di stare un po' con noi
19.31
me: venerdì che giorno è?
Francesco: il 26
19.32 me: provo ad esserci, dovrei essere libero - scadenze
19.33 scrittorie a parte
programma?
19.34 Francesco: non essendoci Maria ci prenderemo una Pizza alla Bella Napoli, poi sono aperto a proposte varie, si potrebbe anche fare un giro sul lungomare se non fa freddo a cercare qualche localetto
così per esplorare il territorio del litorale
19.35 me: mmhh...
ma, io te e mirko?
19.36 Francesco: Ma per me si potrebbe sentire anche Erika, Mirko ha scritto la mail anche al Castagna
Poi si possono coinvolgere anche Giulia e Luca
19.37 o qualche collega di studio
me: ...
tipo?
:D
(cazzone)
Francesco: Sara, Rita, la nuova collega bona...
19.38 me: E DAJE!
^___^
Francesco: Bene forse per le prime due, la collega bona è una cazzata
;)
d'altronde sono tutte splendidi virgulti..
19.39 (sono qui vicine e devo stare attento a cosa scrivo)
me: bwahahaha!!!
strillaaaa!!!
19.40 Francesco: Bon, per stasera ti saluto, ci aggiorniamo per venerdì...
me: senti
Francesco: e ti farò sapere che penso del racconto
dimmi
19.41 me: dì a SaraH che io aspettavo una mail e CòRCA che me l'ha mandata...
Mi ritengo offeso
=P
Francesco: MEA MAXIMA CULPA!!! Scusami ma mi aveva
detto di avvertirti
19.42 che non poteva mandartela o qualcosa del genere
sono io che mi sono dimenticato
me: aaahhh
e perché non poteva?
19.43 Francesco: sarò sincero non ricordo bene che mi ha detto, mi sembra che non avesse trovato nulla di interessante ma potrei tranquillamente sbagliarmi. Ero a 2000 con una consegna e non le ho prestato molta attenzione
19.44 me: ah. ok. diciamo che si poteva sprecare a mandarmela, o era anche lei a 2000 per una consegna?
19.45 Francesco: guarda il periodo qui è bello caldo e lei è anche sotto stress perchè il 1 ottobre ha l'orale dell'esame di stato e quindi dopo il lavoro e nelle pause sta sempre a studiare, quindi la puoi scusare...
E poi ti ripeto mi aveva detto di avvertirti quando ti ho mandato la mail di corrado
19.46 me: Va beh. Falle comunque una battuta da parte mia... Ohé, funzioni bene come avvocato. Meglio che come architetto? ^_-
19.47 Francesco: Sicuro... Anche perchè ultimamente sono più alle prese con leggi e normative varie che con progetti reali
Come adoro l'aspetto burocratico del mio lavoro
19.48 me: Mi par di cogliere profumo di velata ironia...
Francesco: com'è meravigliosamente gratificante scoprire l'intricatissima selva di norme che tempra lo spirito del progettista a imprese sì elevate
19.49 eh... il Permesso di Costruire... che Miraggio
me: ...che cazzone...
^___^
Oggi leggevo che AléManno vuol rifare il piano regolatore...
19.50 e tal gentil Antoniozzi
con un nome così
non può ch'esser dolce
riconosce sì che questo può dar mano all'edilizia selvaggia, ma
garantisce che "a Roma non accadrà"
che genio
lo dice lui
quindi non succede...
19.51 Sbaglio o Antoniozzi è un'impresa di costruzioni?
(o pompe funebri?)
Francesco: Guarda non lo so ma non mi preoccupo molto
19.52 il piano regolatore ora vigente è stato approvato dopo qualcosa come 11 o 12 anni di passaggi burocratici
me: ah beh, allora questo passa in cinque minuti...
Francesco: e tutto il buono e la modernità che erano presenti nei primi elaborati sono andati a farsi benedire
me: bella forza AléManno che dice che "è nato già vecchio"
grazie al cazzo
nasce con 12 anni di ritardo...
19.53 Uno che deve fare, immaginarsi come starà Roma fra 24 anni per essere moderno?
Francesco: purtroppo ci sono interessi pazzeschi in ballo e prima che un Piano possa essere approvato queste sono le cose che succedono
19.54 Senti ora ti debbo salutare, mestamente mi ritiro alla mia magione
Un abbraccione!!!
19.55 me: Mestamente... vai a magnà, ricordatelo!
Un abbraccione
ma anche due, và!
^__^
Francesco: Grazie ora posso andarmene con nuova giuoia nel cuor dopo sì tanto affetto amico...
;)


Ecco qua, cald' cald' appena chattato. ^__^
Giusto per dirvi un paio di cose, tipo ch'è giusto dare a SaraH quel ch'è di Sara (collega del Deso), perché alla cena per il compleanno di Maria ho guardato la sua firma sul biglietto ed ho scoperto che si chiama Sarah, con l'acca.
O che quello ***censura*** di Alemanno ha in testa di farsi un piano regolatore tagliato su misura.
Tipo che ho ***censura*** e quindi ***censura*** racconto.
O Tipo che venerdì Maria è ancora in Canada e io e il Deso ***censura*** e ***censura*** col Mirko, alla faccia del ***censura*** che sta in Francia.
O ***censura*** che ***censura*** la ***censura***, pompino.
Tanto ormai è sdoganato, se ne parla dappertutto.
E' sulla bocca di tutti.
O quasi.
^__^


Gr***censura***ng

mercoledì 17 settembre 2008

Ciao, grande Ancajana


Forse è vero che scrivo tutto sul blog, come dice Gabriele.
Ma questo è un po' il mio angolo protetto, lo spazio dove racconto mille piccole inezie ed un paio di cose importanti. Come in questo caso, per dare un ultimo saluto ad un buon conoscente.
Non posso dire un amico, perché forse di questa parola ne abuso.
Sicuramente un compagno di viaggio, con cui ho condiviso non solo il viaggio reale a Granada, ma soprattutto quello artistico.
Due guitti, nel più bel senso del termine.
Due intrattenitori, imbonitori, venditori di favole come di se stessi.
Il ricordo più nitido che ho di lui, stagionato assai per iniziare a fare l'attore, eppure debuttante entusiasta com'era, è lo sguardo dietro agli occhiali, il mantello verde sulle spalle, mentre faceva il 'pirata' Ancajana, capo degli ammutinati sulla barca dello spettacolo picaresco dei Saltymbanco.
Subito dopo, lo ricordo mentre recita a una velocità impossibile una filastrocca, quella dei fanti buffanti, in occasione del primo festival di San Cleto. Quello che ho vinto.
Concorrenti, e dunque in competizione; eppure di tutti forse è stato proprio lui ad incantarmi. A farmi sgranare gli occhi stupito, deliziandomi d'un improvviso esser tornato bambino. Era bellissimo vederlo lì, piegato in avanti, sciorinare parole al microfono che scivolava verso il basso e poi sorprendersi come noi dell'accompagnamento all'organetto - del tutto improvvisato, ma bellissimo - che s'era trovato tutt'a un tratto. E sorriderne, felice.
Ecco, è così che lo voglio ricordare.
Stupito e contento.
Stupito e contento di quella gioia vitale che ci contagiava tutti; inconsapevole di quanta spontanea meraviglia nascesse dal suo talento e dalle sue parole.
Allora ciao, Ancajana.
Continua a nuotare verso la riva, se non l'hai trovata di già.


GrimFang

martedì 16 settembre 2008

Stanco

Tra meno di mezz'ora andrò alla riunione del laboratorio di teatro.
Si tratta di decidere del nostro futuro, perché ci sono grossi e a quanto pare inevitabili cambiamenti all'orizzonte.
Siamo cresciuti, ma siamo anche pieni di vecchie dinamiche e vecchi problemi. Adesso abbiamo visto uno dei veri teatri di Commedia dell'Arte possibili, ad Avignone, e dobbiamo renderci conto di chi siamo, di quello che vogliamo.
Sarà una serata importante, dove dovremo decidere che fare.
Ed io ci arrivo stanco.

E' morto Stefano Rosso.
Ho lasciato un messaggio, il grazie spontaneo di chi s'accorge che, zitto zitto, qualcuno con cui non ha avuto molto a che spartire - praticamente conosco solo la sua canzone più famosa ("Che bello, due amici una chitarra e uno spinello... / E la ragazza giusta che ci sta, e il resto, ditemi, che importanza ha?") - gli è diventato come una presenza familiare. E ora m'accorgo che mi manca.
Un perfetto sconosciuto, e mi manca.
Ma non sono stanco per questo.

Oggi a lavoro ho riso, per delle meravigliose battute di Woody Allen trovate nella rete.
La più geniale, perché bisogna essere svegli a carpire il sottile riferimento, era
"Quel ballerino ha la calzamaglia così stretta che non si distingue soltanto il sesso, ma anche la religione!"
Io e il collega abbiamo riso per mezz'ora alle lacrime; l'ho rigirata a un sacco di gente.
Anche alla ex-collega, Francesca.
Mi ha ringraziato, e confessato che non se la passa bene. Stava meglio con noi.
L'ho salutata con un mio "bacio dove vuoi".
E in fondo mi sono sentito un po' solo.
Sia a farmi il mazzo in videoteca che sentimentalmente.
Ma non sono stanco per questo.

Continuo ad avere occasioni di dire 'pazhalste'.
Ieri ha telefonato un tizio, Max, nientepopòdimenoche dalla grande madre Russia.
Voleva sapere cosa avevamo in italiano di Andrei Konchalovsky, per un festival. La cosa carina era che lui parlicchiava italiano, mentre io scoprivo quanto cavolo s'è arruginito il mio inglese. Ogni volta che mi diceva un titolo, lo cercavo su Imdb, poi sul Cinematografo e infine nella banca dati della videoteca (ma non c'è niente di suo) e quindi su quella delle pellicole. E ogni volta mi divertivo a provare a pronunciare i titoli in russo - che a questo punto devo studiare, perché s'è complimentato per l'accento e la pronuncia.
Ho solo aspettato il suo "grazie" per rispondergli in russo!
Ed è un po' triste che io insista così tanto su una semplice parola, cercando di sfruttarla in ogni occasione.
Ma non sono stanco per questo.

Non ho fame.
Ma è perché sono stanco.

E dire che ce ne sarebbero anche di motivi per gioire.
Per il motivo del mio godimento, tutto è a posto, saprete a tempo debito.
Ma ho anche ripreso a lavorare al mio romanzo, riuscendo se non altro a compattare tre file in un unico capitolo. Eppure ieri lavorarci è stato faticoso; sarà il caldo, sarà il tempo, sarà che mi ci sono forzato.
Ma mi sa proprio che è perché mi sento stanco.

L'Oscar 2008 per la migliore battuta nei miei confronti (ai miei 'danni') va a Gabriele, che martedì alla riunione di Elish è riuscito a farmela talmente di fino, immediata e spontanea, che sono corso a stringergli la mano mentre ridevo.
Scena: siamo tutti a riunione, impegnati nella solita chiacchiera iniziale. Valentina deve festeggiare perché le hanno dato il suo primo lavoro come colorist di un cartone animato; io aggiungo di sottecchi che ho qualcosa anch'io da festeggiare. Scattano le illazioni: hai fatto questo, hai fatto quello...
Vania: "Hai trombato?!?"
Io: "Seeee! E te pare che se avevo trombato stavo qui co' voi?"
Gab (dall'altra stanza): "Stavi a postà sul blog!"
^_______^
Mi ha toccato, perché ultimamente in effetti sembra che la mia vita sia vissuta un po' anche per riempire di contenuti il mio blog.
E questo sì, un pochino mi rende stanco.

Ci sono volte in cui il cervello decide di piantarsi su di un'idea fissa.
Tipo oggi in metro, quando è salita e mi si è messa davanti una ragazza carina. Tutto di lei sembrava indicare la disponibilità sentimentale; a cominciare dallo smalto di quel certo tipo di rosso, dai colori scelti per il vestito, le scarpe... e a finire col fatto che si guardava tutti i ragazzi carini che aveva davanti.
Il che dovrebbe mettermi nella categoria.
Ma questo dava anche l'idea che ne avesse bisogno. Che in qualche modo stesse male senza.
Nicol m'aveva detto, in un messaggio su MySpace, il periodo che sta attraversando. Ed io, dopo averle girato Woody Allen, le avevo scritto una lunga, saggia risposta.
Sul fatto che perseguire un amore finito è solo un gesto narcisista. Che nel farsi del male si cerca l'affermazione della propria esistenza. Che il mondo non cambia per la fine d'un amore, e che dunque è impossibile perdere ogni punto di riferimento che si aveva in precedenza. Che amare vuol dire essere sullo stesso piano, non celebrare l'altro né dipenderne.
Quando ho premuto invia m'è uscito errore del server, siamo spiacenti.
Tutto cancellato.
Nicol è quella che vi dicevo di Ovindoli.
Non ho riscritto niente, perché ero stanco. E perché l'ho preso come un segno a non proseguire.
Quindi vedere quella ragazza, sentire il suo bisogno... d'amare ed essere amata; percepirne dapprima una somiglianza con Nicol, e dopo...
Dopo lo scherzo del cervello, che si convince che potrebbe essere Maria Teresa, di cui, chissà, vi parlerò.
Ed io che mi siedo accanto a lei, e poi aspetto, e poi quando il malessere che ho dentro dev'essere in qualche modo tirato fuori, il dubbio chiarito - o almeno un gesto in tal senso! - tiro fuori carta e penna e scrivo "Maria Teresa".
E lei si allontana da me, rannicchiandosi sul suo posto.
Spaventata?
Convinta che è il nome della mia donna?
E' lei, non è lei?
Non ho chiarito un cazzo.
Eppure, dopo, si riavvicina, si rilassa. Ha letto il resto degli appunti sul foglio? Ci sono quattro cose in croce sul mio corto...
E infine scendo, con tutto il peso del non chiarito addosso. Con tutto il peso del non chiesto, del non detto. Mi sento meglio, perché continuare così era insopportabile.
Ma è per questo che sono stanco.


GrimFang

mercoledì 10 settembre 2008

Pazhalste!

Ho visto "300" e finalmente posso continuare a dire che è una gran cagata, ma con cognizione di causa!
Solo i titoli di coda e la scena dell'oracola seminuda che sembra immersa nell'acqua sono da salvare. Certo, riprende bene il fumetto di Miller, ma non si può proprio dire che aggiunga quando invece leva a man bassa!

Curiosità: come vi dicevo sia Istanbul che Gab si son mossi mentre davo vita al post sullo stile. Ho scritto un post sull'abbordaggio, e vengo abbordato sulla metro. Però da tre gay che andavano al concerto di Madonna.
Cosa devo scrivere per trovarmi una donna?
Un racconto sulla torbida relazione tra due omosessuali?

Oggi invece sulla metro ho incontrato un tipo che suonava la chitarra: non uno di quelli che passano col cappello e fanno le solite tre canzoni, ma uno seduto, un passeggero, che ha accennato "Il ballo di San Vito" di Capossela, "Malarazza" e un altro paio di canzoni del genere. Ah, sì, "Lu rusciu te lu mare". E' stato molto bello, perché alla fine io mormoravo il testo cercando di capire dove saltava - un po' a cazzo - con le strofe, un'altra canticchiava e insomma, c'ha messo allegria.
Invece stamattina, sempre sulla metro, sono saliti un gruppo di turisti russi, puntualmente tutti attorno a me. Ero già lì che mi ripassavo "spaziba" e "pazhalste" in attesa del momento in cui sarebbero scesi, ma quando poi è accaduto non ho tirato molto fuori la voce; ne ho puntato uno e l'ho detto.
A) aveva mezzo metro di spazio, per cui dirgli "prego" era un po' forzato.
B) non hanno mai parlato di me, quindi perché avrei dovuto dirglielo se non per rinverdire i fasti di "Metti una sera sul 46"? (cavolo, inizio ad autolinkarmi un po' troppo spesso...)
Insomma, m'ha sentito ma non credo abbia proprio capito. Ha risposto "Prego" in italiano, e
- Prego.
- Prego!
non è una conversazione che funziona.
Comunque, in realtà era un segno del destino (che non esiste quindi la frase è ironica).
A lavoro le lezioni non sono ancora ricominciate, ma qualcuno che bazzica c'è. Ad esempio, c'è chi sta girando un corto, e nella sua troupe ci sono due costumiste carine e un paio di assistenti di qualche tipo con le bocce davvero grosse. Senza contare qualche altro bel visino che non si sa a quale titolo sta lì.
Questo pomeriggio, mentre stavo risistemando (un mazzo come una capanna) l'inventario per togliere quelle due-trecento videocassette da spedire a Ivrea e altrettante da mandare a Milano in comode scatole di cartone da imballare, alzo lo sguardo ed entra questa qui, attrice del corto: magra, capelli neri ed occhi azzurri come il mare di Sicilia. Sullo stile di Natasha Hovey in "Acqua e sapone", ma non così ingenua. Credo di aver leggermente spalancato la bocca e lei, in un italiano un pochino distorto mi chiede le condizioni del prestito o della visione.
Le ho praticamente risposto in automatico mentre mi beavo della sua vista e bevevo la mia saliva, e lei mi dice che è bielorussa. E che vorrebbe vedere tutti i film - li ha già visti, ma li vuol vedere in lingua originale - di Marcello Mastroianni e Adriano Celentano [sic].
Finiamo a parlare delle capacità recitative di Celentano e del mio dubbio che lei li abbia visti proprio tutti i suoi film - perché mi sa che qualcuno tipo "Bingo Bongo" o "Jackpot" non ci sono arrivati in Bielorussia - e lei mi rivela che il suo preferito è "Il bisbetico domato" con la Muti. Però conclude dicendo che "...forse voi non capite, è un grande attore".
Strano, perché volevo proprio vedermi "Yuppi du" che hanno dato a Venezia... =)P
Poi arriva Stefano (che deve avere il radar) per invitarmi a pranzo, insomma si parla ancora un po' poi lei mi ringrazia, si volta - le poltroncine blu, visto il suo deretano, han fatto partire un applauso - e io lancio un sonoro "Pazhalste!".
Si gira, mi sorride, ripete "pazhalste, sì", e va via. Mi sa che è tipico dei russi ripetere prego dopo un prego, vé?
Doveva tornare nel pomeriggio per vedersi qualcosa e invece è sparita.
Chissà, magari la prossima settimana...
Ma è una pia illusione. Il corto in cui recita finisce domenica.


GrimFang

lunedì 8 settembre 2008

Inaspettate (e gradite)

Oramai è chiaro a tutti che sto godendo come un riccio. Che poi chissà come godono i ricci, ma visto il modo di dire dev'essere tanto. ^__^
Tanto assai.
^____^

Aaaahh, queste son soddisfazioni.
PORCHE soddisfazioni.
Infatti godo come un maiale, che almeno questo lo so, ha un orgasmo di trenta minuti.
Giuro. Non scherzo. Trenta minuti.
Ora, se fosse un maiale che al primo tocco se ne viene avrebbe una vita terribile.
Del resto, se fosse anorgasmico credo che sarebbe un porco suicida.
Vabbè, godo come un riccio, godo come un porco, insomma: godo.
Godo, godo, godo!!!
E son soddisfazioni che, purtroppo, non so se vi posso comunicare. Eh già, magari qualcuno di voi l'ha già saputo perché mi ha beccato online quasi in diretta... beh, con una cena di mezzo, quindi in breve differita. Ma non temete, ci vorrà poco a saperlo. Il tempo di...
Beh, in fondo non è tempo mio, ma altrui, cioè, anche mio, ma...
Ok.
Diciamo che devo rimettere mano a una certa cosa, perché si deve farla bella bella per la sua "prima uscita in pubblico".
^_______________^
Sarò criptico, ma l'ho detto.

Adesso, si sta facendo sentire il down di questa bella emozione.
E pensare cho oggi in ufficio stavo proprio rinco. Della serie mi parlano al telefono ed ho proprio tipo un nebbione nella testa che rende difficile rendere intelligibili le parole. Uno potrebbe dire colpa del poco sonno, del cibo, del caldo... invece mi sa che è proprio il posto di lavoro.
Al telefono con la mia responsabile, quella di cui vi dicevo non sempre bene, oggi stavo cottissimo. Però siccome in realtà i suoi momenti buoni ce li ha anche lei, ed oggi era cotta come me, ci siamo spaccati dalle risate per dieci minuti solo a constatare quanto stavamo fuori.
Roba da lacrime: tutto avrebbe potuto essere liquidato in tre secondi.
"Ciao, scusa ho sentito Flavia che chiede di sapere chi deve pagare le spedizioni a Torino e Milano delle casse che hai pronte: c'era qualche autorizzazione a riguardo? Hai delle mail?"
Invece sono stati dieci minuti di
"Ma non ce le aveva autorizzate?"
"Scusa, ma quella mail non me l'avevi mandata tu?"
"Ma che davvero? Oddio che figura, a Flavia ho detto che non sapevo niente..."
"Sì, mi pare di sì... però, ehm... non la trovo. Proprio io che ho tutte le mie cartelline ordinate... Non è che ti ricordi come si chiamava?"
"No... ma quando te l'ho mandata? Ma sei sicuro?"
"Oddio, mi pare di sì... Ce l'aveva detto, no? Questa roba va a Milano e Torino..."
"Si... questo me lo ricordo anch'io... ma quand'era?"
"Ah, non so... Quella volta che siamo andati a pranzo..." [il famoso pranzo col dirigente]
"Ah, allora la cerco..." (!!!)
"Sì, ce la dovrei avere anch'io..."
"Eccola!..."
"Come si chiama?"
"Richieste."
"La cerco..."
"Ok, allora te la mando..."
"Eccola qui..."
"Eh, io te l'ho mandata il 7 giugno... No, quella è quando me l'hai mandata tu... io t'ho risposto il 18..."
"Eh, sì..."
"Te la mando e la giri a Flavia... ah, ma te ce l'hai già, te l'ho mandata il 18..."
"Eh, infatti. Eccola qui. La giro io a Flavia..."
"Oh, sì... abbiamo risolto... Hey, ma non dice chi deve pagare le spedizioni."
E la cosa fantastica è che in quel momento abbiamo realizzato che ce lo ricordavamo tutti e due che non s'era mai parlato di questo!
^______^

Niente, l'abbiocco post-prandiale (che poi, avessi mangiato chissà che di diverso dal solito panino al prosciutto - mi verrà la gotta!) ha preso possesso di me fino all'orario d'uscita, quando mi stavo accingendo a raggiungere la metro, ma ho incrociato una ragazza (beh, magari era più vicina ai quaranta...) talmente carina che ho telefonato al mio amico e collega Stefano per sapere dov'era e ci siamo dati una punta davanti al centro commerciale - verso il quale la tipa, così, a intuizione, stava andando.
Infatti è entrata lì, e Stefano è arrivato cinque minuti dopo.
Ora, sono contento che il mio 'senso di ragno' funzioni ancora così bene, perché signori miei, entrare al centro commerciale di Cinecittà Due cinque minuti dopo una tipa e, sapendo solo da quale porta d'ingresso è entrata, riuscire a ribeccarla a colpo sicuro - dentro al negozio di Eldo... vuol dire che c'è proprio un radar che funziona da Dio!!!
^___^
Poi Stefano m'ha portato a conoscere Katia, la sua fisioterapista, che già una volta voleva presentarmi per farmi capire quant'era gnocca (e stavolta devo dire che ha sostanzialmente ragione). E dopo, alé, metro fino a casa.
Anzi, fino a una fermata dopo che dovevo prelevare dinero.
Poi mi faccio il marciapiede verso casa, all'incrocio semaforo rosso... mi giro un attimo, scambio di sguardi con una tipa...
E mi sembra che mi guardi nell'anima. Tac, arriva a fondo.
Sulle prime è una sensazione piacevole, bellissima. Ma poi, mentre faccio il sostenuto fingendo noncuranza sento come un crac al centro del petto, come se m'avesse rotto qualcosa. Quando attraversiamo è accanto a me, ma non la guardo; mi supera, e la seguo, deviando dal mio percorso. Prego che entri nel bar e non lo fa, ma si volta a guardare se la seguo. Si butta in pizzeria, non ci vado, perché mi sembra che potrebbe essersi spaventata. Tiro dritto, ne approfitto per fare un salto all'edicola che vende fumetti usati: mi manca sempre questo maledetto 185 di Nathan Never. Niente, chiusa.
Sono indeciso se continuare di lì o tornare indietro; sbaglio.
Torno indietro, e la incrocio subito, come se la stessi davvero seguendo (ma dai?) ed ora avessi invertito i miei passi per ribeccarla (e non era così?). Però più 'squallido' di com'era realmente. Ormai quel che c'era s'è perso, e tiro dritto.
...si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti
a trattenere.


GrimFang

EVVVVVVAAAIIIIIIII

GGOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO
OOOOOODDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO
OOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!

^____^

Non so se posso dirlo, ma evviva evviva evvivaaaaaaaaa!!!!


GrimFang

mercoledì 3 settembre 2008

La dimenticata arte dell'abbordaggio

C'ho preso gusto col dizionario!

Abbordàre [abbor'dare]
v.tr., v.intr.
1 vtr
accostare una nave al bordo di un'altra per cattiva manovra o con intento aggressivo
2 vtr
[in senso figurato] avvicinare qualcuno per parlargli o proporgli qualcosa
3 vtr
iniziare a parlare di qualcosa, di un argomento

Non è un gran dizionario, ma - esclusa la terza definizione - fornisce il conquibus!
"Accostare una nave" in realtà è molto più generico di quel che si necessita, quindi cerco sul De Mauro:

ab|bor|dàg|gio
s.m.
1 TS mar., affiancamento di due imbarcazioni, spec. come atto ostile | estens., urto, collisione
2 CO fig., l’avvicinare, il fermare qcn. in modo deciso o importuno: tentare l’a. di una ragazza | il ricercare, il tendere a qcs. in modo risoluto e deciso: andare all’a. del successo


dove c'è uno 'specificatamente' che chiarisce meglio l'idea: se una motovedetta affianca una nave di profughi clandestini, non ci vedo molto bene il termine abbordaggio. Resta, almeno nei termini della marina, l'intento ostile.
Non può esserci sempre intento ostile per quel che riguarda l'abbordare una ragazza, ovviamente (e notare che il De Mauro fa esplicito riferimento, l'altro no). Al massimo, dice il De Mauro, 'in modo deciso o importuno'.

Che nell'abbordaggio ci sia una fondante componente di decisione, che sia il "o la va o la spacca" o il "quella me la porto a letto in cinque minuti", è assolutamente fuor di questione.
L'essere inopportuni, o importuni (da cui importunare, cioè dare fastidio, scassare il cazzo), invece è tutt'altra materia. Per due motivi: il primo, è che negli anni l'uso di questo termine, abbordaggio, è diventato un po' all'acqua di rose, come l'accostamento della motovedetta di cui sopra. Il secondo, è che nessuno ha stabilito che, nell'abbordare una ragazza, lei non voglia essere importunata!

Stavo salendo le scale mobili della metro, dopo aver visto sparire deitro le porte del veicolo un metro e ottanta di creatura bruna con vestitino più che scollato e pocce clamorose, quando mi son trovato bloccato da famigliola di turisti (forse) con passeggino e intralci vari che ostruiva il passaggio.
Bloccato, mezzo gradino più su di una ragazza, solo intravista, che era intenta ad evidenziare passaggi di un articolo su cui spiccava gigante un'immagine di Hellboy. A parte che 'nerd chiama nerd' e questo m'ha subito ravvivato l'attenzione, non ho - come si potrebbe pensare - spizzato subito chi era (o magari la sua immagine nella folla di poco prima era rimasta tranquillizzante nel mio inconscio) bensì mi sono messo a sbirciare l'articolo per vedere che parti aveva sottolineato.
Parlava di italiani che avevano messo su un programma o un sito, chiamato Scaipe.
E quindi, senza ancora sollevare lo sguardo le ho chiesto
"Scusa, è un articolo di Metro?"
Et voilà, ho attaccato bottone.
Scaipe è un sito da cui si possono vedere i film senza scaricarli, l'han messo su due italiani, dice che è gratis, ma avranno i diritti, Mediaset gli fa causa, ah allora bisogna sbrigarsi, buono a sapersi che devo scaricarmi "La mia vita a Garden State" da Emule, il suo Emule non funziona gli chiede di accreditarsi, strano non dovrebbe, non è che sono un esperto, a me lo faceva con l'antivirus, Avg, mi chiedeva di registrarmi, ho Norton che occupa un sacco di spazio, io sono arrivata, dovresti scaricarti Avg, sì lo conosco, e anche Tweak Now, aspetta te lo scrivo, ho solo un evidenziatore, vabbé
"...andiamo al bar e ci facciamo prestare una penna!"
E lì che lavoro fai, a proposito come ti chiami, Antonella, eccetera eccetera eccetera.
Numero di telefono: no.
Ma stavolta va più che bene: quanto detto sopra si è svolto nell'arco di quindici metri, e dieci minuti. Mi ha salutato dicendo "magari ci rivediamo in metro", le ho detto "o magari mi vieni a trovare dove lavoro, tanto siamo sulle pagine gialle!".
Non c'è che dire, come abbordaggio, quando mi lascio andare, sono ancora da dieci e lode.
Adesso c'è solo il panico di non ricordarmi la sua faccia. ^__^'
=)P

Ma veniamo ora al nodo intrinseco a questo racconto. Quello del controllo.

Ora, l'abbordaggio nautico è una manovra.
Troppo spesso anche quello sociale lo è, e invece preordinare le mosse di un simile abbordaggio è letale alla riuscita dello stesso! Abbordare è improvvisazione. Istinto.
Naturalezza.
Se pensi a cosa fare, sei finito. Anche perché ti prende lo stesso panico relativo al "e adesso, come si metteranno le cose", ovvero 'la prospettiva futura'.
Lo stesso panico, cioè, che ti prende quando esci e flirti con una tipa e ti poni interrogativi del tipo "ma vuole una storia?", "ma voglio una storia?", "ora dove andiamo con questa storia?".

Oggi sono stato dal mio psicologo.
A parte essermi accorto di dover uscire alle 19.29 per essere lì (San Pietro -> Nomentana) alle 19.30, averci messo solo 15 minuti, ed aver clamorosamente impattato con lo specchietto contro il cancello automatico che si chiudeva, uscendo dal garage - che è stato puntualmente recuperato solo al ritorno), a parte questo abbiamo anche affrontato proprio quest'argomento.
Ne è uscito il fatto che l'abbordaggio, benché finalizzato ad approcciare una ragazza è un atto molto narcisistico. E' il piacere della conquista. E' autoconferma del fascino, piacere del proprio sé che piace.
Immediatamente concluso l'abbordaggio però, scatta il panico. Perché ora si tratta di gestire, in qualche modo, ciò che si è conquistato.
Perché improvvisamente la prospettiva temporale si fa più lunga.
Perché si apre la strada a dubbi, ripensamenti e giudizi (altrui e non).
Non è dunque strano che per qualcuno possa essere facile approcciare e difficilissimo concludere.
Tanto più che
"...noi abbiamo aspettato per secoli di capire quei segnali che le donne ci mandavano, in attesa che loro capissero i nostri... E mentre noi aspettavamo, loro dicevano 'questo non si decide', e da possibile candidato si passava a possibile (forse) amico."
A noi, a quelli come me, "c'ha fregato il romanticismo; l'idea che 'la donna non si tocca neanche con un fiore'." (maledetti bastardi!!!), come si diceva ieri sera con Gabriele, ad un gradevolissimo drink del tipo bello-il-locale-bella-la-musica-dieci-euro-per-un-vodka-lemon all'isola Tiberina.
E allora, prendiamone atto che non ci capiamo un cazzo di segnaletica maschio-femmina, e proviamoci più spesso! Si tratta, in fondo, di stabilire un limite da non passare, e imparare a buttarsi senza remore. E facciamoci molti, molti meno problemi.
E scrupoli.
Pericolosamente, mi echeggia in mente la frase di un amico di Sergio a Grottammare
"Sulla mia Trombonave possono salire tutte: la felicità non si nega a nessuno!"

Abbordare, dunque, non è una manovra tecnica: è regolata dall'istinto pur muovendosi da una solida conquista teorica - la consapevolezza e l'accettazione del rischio fallimento. Il lavoro su se stessi che aiuta a sbloccarsi, lasciarsi andare - tanto più facile in estate - non è frutto di studio, né strategico. Se abbordare è un atto narcisista, è un lavoro che si fa su di sé per sé. Per ottenere la risolutezza necessaria: la decisione a farlo.

Per cui, non c'è niente di peggio per "l'abbordare" che smettere di esercitarlo, farlo a spizzichi e bocconi, lasciarlo perdere. Fa la ruggine.
Renderlo un'arte dimenticata è un gran peccato, se non un crimine.
Rinfacciatemelo ogni volta che desisterò davanti ai vostri occhi.
Ciurma, all'arrembaggio!!!


GrimFang

PS: credo proprio che Gabriele - guarda caso - sia stato il primo lettore del mio precdente post; l'ha letto dal telefonino, ad alta voce, seduto a un tavolino lungo il Tevere, all'isola Tiberina.
Fa strano sentirsi leggere, tanto più poche ore dopo aver postato.
^__^