L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

venerdì 31 luglio 2009

La stanza nascosta

Stanotte ho sognato il Deso.

Era tipo una vacanza, un posto dove stavamo assieme, c'era sicuramente Maria, Paolo Digia, ma c'era anche Vania e gli elishiani (tipo accampati in una grossa tenda blu sotto l'albero).
La parte che ricordo comincia da me che esco di casa per andare a incontrarli e, una volta chiamato l'ascensore - quello reale di casa mia - resto di stucco quando le porte si aprono e mi trovo di fronte uno spilungone in abiti bianchi estivi, leggeri, a capo chino e con uno zuccotto bianco in testa.
E resto di sale quando solleva il viso e mi trovo davanti gli occhi azzurri del Deso.

Da lì, c'è un piccolo salto: il quantitativo di domande che emotivamente si sono affacciate dentro di me deve aver spinto il sogno verso un pur piccolo chiarimento.
Per cui, mi ritrovo a casa di Maria-Deso (sebbene fossi certo che lì abitava il Deso e non tanto Maria), che non è affatto quella reale. Era una stanza, salone molto grande, di quelli tipo set del cinema: assi di legno grige per il pavimento, coperto di tappeti, un grosso tavolo, forse un camino, mobilio scuro e pesante e soprattutto una sorta di carta da parati fatta di stoffa scarlatta imbottita.
Il chiarimento in questione riguardava, infatti, il concetto "dove cazzo sei stato tutto questo tempo".
Il Deso mi porta verso un angolo del muro, una sporgenza della stanza nella parete dove poi c'è incassato il camino. E lì, strappa via dalla parete parte di questa tappezzeria (ah, ecco il termine! Mica carta da parati... ^__^) che viene via perché in realtà è fissata col velcro, e rivela un passaggio nel muro. Strettissimo, che dà su delle scalette ripide. Da sopra viene luce.
Lo seguo, e mi ritrovo in una stanza più luminosa, credo ci sia tipo un lucernario, molto molto spartana. Infatti c'è solo il pavimento in assi di legno e un tavolo scarno al centro.
E scopro così che lui ci è sempre rimasto vicino, ci ha osservato vivere la nostra vita senza di lui. E parlandogli scopro anche che ha deciso di rifarsi vivo dopo averci visto mangiare in moderata allegria, come sempre, in armonia, in un posto tipo quei fast-food, no, anzi, quelle tavole calde all'americana, coi tavoli dietro grandi vetri che danno sulla strada.
Lui doveva averci osservato da un motorino, indossando il casco, o magari da una bicicletta.
Quindi siamo usciti da lì, per andare - credo - a raggiungere gli altri.
Ed è lì, camminando sui sanpietrini tra quelle case color mattone tipo quelle di trastevere, che ho visto l'albero con sotto la grossa tenda blu. Fuori c'era Vania, che stava aggiustando i tiranti di quella specie di 'baraccone' da circo elishiano...

Questo è quel che mi ricordo.
Poi, ho fatto tante inferenze e ragionamenti, come il perché io me lo sia sognato - ieri sono andato col Digia alla cena di un mio amico di teatro, Amedeo, e nel tragitto è uscita fuori una battuta alla "se il Deso fosse qui direbbe". O anche, il fatto che nel giardino di Amedeo ci sia un grosso vetro che fa vedere il salone sottostante, che potrebbe avermi suggerito l'idea del guardare da sopra senza essere visti...
Però, resta curioso il fatto che stanotte l'abbia sognato anche Giulia.
Che ieri non c'era.

Buona vita,

GrimFang

martedì 28 luglio 2009

Trofeo RiLL

Niente, non ce l'ho fatta.
Buh.

Ora resta la S.F.I.D.A. ...


GrimFang

venerdì 17 luglio 2009

Las smutandadas

E' estate.
E potrei finire il post qui, salutarvi, firmare e andarmene che ci siamo capiti.

Ma è anche un momento dell'estate particolare, per me.
E' il momento in cui al lavoro da me fanno i provini.
I provini per entrare ai corsi di recitazione.
Dall'altro ieri fino a, con tutta probabilità, fine luglio, il mio posto di lavoro si riempie in modo inverosimile di aspiranti attrici tutte rigorosamente under 25.
Non tutte delle meraviglie, per carità.
Ci sono delle belle ciccione o delle ragazze brutte che, PURTROPPO, anche fossero brave o bravine hanno scarse chances di farcela.
Io questa cosa la detesto, anche perché di visi particolari, di gente come la Finocchiaro - che io adoro - per dirne una, ci sarebbe un gran bisogno; ed io come regista - perché no, in fondo un paio di regie le ho fatte - andrei a cercare le facce vere, non le facce fotocopia... ma soprattutto per la motivazione che intuisco: il termine Cinematografia ha sempre meno a che fare col mio posto di lavoro, cioè, con la scuola intendo. E molto di più il termine Televisione, invece. Televisione che si sta mangiando anche il cinema italiano, avvelenandolo col miglior pasto consumato sulle fiction che sulla botta una tantum del grande schermo.

***Digressione***
Che brutta cosa.
Mi sono affacciato alla finestra per l'immenso caldo che fa in questa stanza, alla ricerca del refrigerio minimo di questo sputarello di vento che c'è. E vedo due ragazze nella strada di fronte - che è privata e poco trafficata - che si posizionano tra due macchine e si guardano attorno circospette.
Purtroppo avevo già capito.
Cerco il binocolo, lo prendo e continuo a pregare di vedere la fiamma di un accendino.
Avranno meno di diciott'anni.
Un accendino, ti prego, dimmi che state rollando.
Ma quando vanno via si guardano l'un l'altra per controllare se è sporco il naso...
Che brutta, brutta cosa...
***fine digressione***

Dicevo, dunque, che questo periodo dell'anno il mio posto di lavoro fiorisce, e non in senso della flora, bensì della fauna! ^_^
Il primo giorno, a dire il vero, non c'era tutta 'sta gran bellezza. Ma, dovendo aspirare, qualcuna di quelle signorine s'era vestita di conseguenza; e così, in (pochi) panni aspiratorii, rendeva manifesta la propria voglia... aspiratrice.
Insomma, ce n'era più di una vestita come una zoccola. ^_^
Ma no dai, sono ingiusto. Sono semplicemente tutte in tiro, com'è anche banale supporre dovendo affrontare una selezione.
Se una ha un bel corpo e una marcia in più perché non dovrebbe sfruttarla? Voglio dire, la mia macchina arriva solo fino alla quinta...
Tanto più che i posti per cui concorrono non sono mica come quelli di un ministero: qui se cercano sei donne e sei uomini non può capitare come per il posto unico in cui il maschio può anche reinfilare i documenti nella cartellina ed andarsene a casa, sapendo di non poter competere con quello stacco di coscia biondo in minigonna e reggiseno rinforzato.
No, qui donne contro donne e uomini contro uomini. E nella più stupida tradizione italiota, passano i migliori compromessi tra canoni estetici e canoni...
Ero indeciso se provare con una pessima battuta sulla Rai o una raffinata di tipo musicale.
Canoni intellettivi, diciamo così. Qualità, capacità, insomma.
Le scarpe vere non le prendono mai. Hanno un nome da difendere, insomma.
Vabbè, ciancio alle bande, il motivo da cui l'oggetto di questo post è quella ragazza bruna, anzi proprio mora, con una corta e larga gonna verde, che attendeva il suo turno svaccata sulla panchina - fortuitamente di fronte alla mia, a diversi metri di faccia a me - cercando di rilassarsi.
Il che, a quanto pare, implicava la refrigerazione delle parti basse grazie alla circolazione delle correnti d'aria consentita dal divaricamento totale delle cosce, con conseguente accesso al panorama da parte del sottoscritto e dei 30° circa davanti a lei, inclusi nell'angolazione delle gambe.
Peccato che in quei 30° c'ero solo io, col sangue al naso e un piccolo accenno di aritmia cardiaca dovuta alla totale sorpresa e gratuità della cosa. Evviva le cose a buffo.
La motivazione dell'epistassi, in realtà, era soprattutto dovuta alla necessaria evidenza, anche per un miope come me, della mancanza del supporto intimo tipicamente indossato dalle persone in qualsiasi stagione - o per lo meno che si suppone dovrebbe essere portato in una occasione come quella!
Invece, l'allegra fanciulla ne era priva: prima di cedere all'evidenza, in effetti, un miope come me dubita sempre - pur dovendo fare i conti con subitanee rigidità delle membra tutte (lo stesso principio dell'infarto, ma con risultati spesso apprezzati dagli uomini anziani - che certamento lo preferiscono al rigor mortis, anche perché quest'ultimo si ottiene una volta sola, e senza poterci più provare gusto).
La prima cosa in assoluto, è discriminare se si tratti invece, subdolamente, di quei maledetti trompe l'oeil che sono i capi di biancheria intima color carne. Capita spessissimo di avere delle vertigini e un senso come di perdita del controllo per qualcosa di sicuramente sexy, ma di portata erotica assai inferiore.
Ma in quel caso una certa macchia scura, cisposa, sembrava a tutti i sensi eliminare l'opzione biancheria color carne. Beh, biancheria tout court.
Specialmente considerato che, una volta rientrato in stato altrove-catatonico, incrociando Matteo avveniva il seguente scambio di battute
"Hai visto quella con la gonna verde?"
"Quella senza mutande? Li mortacci sua..."
di cui non ricordo esattamente chi abbia detto cosa, ma le parole sono state quelle.

Il bello è che, il giorno dopo, ce n'era un'altra con lo stesso 'vizio' di tenere le gambe larghe quando si indossa la gonna.
Questa volta però, non c'era dubbio sull'infame effetto color carne della sua biancheria! =)P
Poi, invece, è andata scemando.
Sarà il fatto che il caldo è andato diminuendo... e c'è meno bisogno di far prendere aria alla frasca.
Ad esempio oggi c'erano ragazze bellissime - tre davvero, davvero carine - e ce n'era una che sedeva svaccata davanti a me, a cosce spalancate. Però non so se indossasse o meno biancheria intima.
Aveva i pantaloni!
^____-


Domani si parte per Avignone. Si torna lunedì.
Ho una tenda nuova da tre posti, un sacco a pelo nuovo più estivo del mio, un tappetino nuovo per non rifarmi la schiena sul terreno, una scatola di preservativi 'nuova' con tre tipi diversi di profilattici e circa 190 euro di meno.
Poteva andarmi peggio.
Si parte alle sette del pomeriggio, dal CIM di San Giovanni. Sì, con noi vengono i mattacchioni di Vania, anzi, a onor del vero siamo noi che andiamo con loro.
Vania ci ha detto di portare i vestiti dell'Inferno. Il viaggio è lungo, decideremo a bordo cosa andremo a fare. E poi, una volta tornati, toccherà vedersi per preparare lo spettacolo per Cly, che è il weekend dopo.
Il 30, invece, scadono i termini per l'invio dei racconti per la SFIDA di RiLL. Tre sono pronti, uno va tagliato, uno lo sto scrivendo. Speriamo di chiuderlo...
Già, perché è il più problematico (a parte quello che era talmente problematico che non l'ho scritto): riguarda Elish, nel dettaglio riguarda una cosa che ho inventato proprio io in Elish.
I guerrieri bibliotecari.

...e già so che qualcuno di voi sta sorridendo.
^__-


GrimFang

mercoledì 8 luglio 2009

Pronto? pronto un c...

Ce pòi pure morì, al pronto soccorso, se te danno er codice sbajato!

In vita mia, mi è toccato tre volte salire su di un'ambulanza.
La prima, agli esami di maturità: scritto di matematica, panico allo stato puro, entrando mi sento male, vacillo. E' la mia prima botta di gastrite, ma l'avrei scoperto poi.
Mi accascio all'ingresso, la membro esterno di storia - che ci aveva fatto filosofia l'anno prima, ma questa è un'altra storia - mi fa fare respirazione yoga, e un po' mi calma. Ma appena si allontana riprende più forte di prima. Niente, arriva l'ambulanza, mi siringano mezza fiala di valium nel sedere. Visto che non sortisce effetti mi caricano sulla lettiga, mi ci legano con le cinghie e poi via all'ospedale a tutta birra, con l'ambulanza che piglia le curve in piega come Valentino Rossi. Mi portano al Santo Spirito, e poi tutto bene.
La seconda volta è stata l'anno scorso, due giorni prima di Lucca Comics.
Febbrone da cavallo, vomito alla fermata di Repubblica della Metro A. Risalgo fino al gabbiotto, mi accascio, chiedo di poter andare al bagno, non si può. Mi chiamano l'ambulanza, ci salgo anche se mi sento meglio.
Mi portano al Policlinico, e lì NON va tutto bene.
Sono stanco, fiaccato, ho sudato tantissimo. Voglio dormì, ma niente: la sedia è troppo distante dal muro ed è pesantissima, impossibile da spostare. La testa mi ciondola, non trova appoggio, ho freddo. Ho un cazzo di codice verde (rosso = priorità assoluta; giallo = priorità alta; verde = normale; bianco = che cazzo ce sei venuto a fà all'ospedale?), e chiunque mi passa avanti. Aspetto per ore, chiedo quanto manca, mi sento sempre più spossato. Come accade sempre, mi convinco che andare a casa e farsi una sontuosa dormita sia il modo migliore di curare qualsiasi cosa io abbia, e lla fine li mando affanculo e me ne vado a prendere il 490 sotto la pioggia per tornare a casa.
La terza volta, è stato sabato pomeriggio.

Al teatro Ygramul, verso le 18.30, il mio amico Lele presentava il suo libro di poesie.
L'avevo aiutato ad organizzare la serata, in realtà facendo un paio di volte da ponte con Vania, nulla di più. M'aveva anche chiesto di portare qualcosa di mio e leggerlo, o anche cose altrui; ma all'ultimo momento m'era girata male e non avevo portato niente.
Peccato, mi ero anche detto guardando e sentendo quelle che altri recitavano.
E poi, seduto così, un po' scomodo, una chiappa su una giù, arriva la fitta.
Un dolorino che si fa più acuto, la sensazione d'intensa e crescente scomodità che s'impossessa di me, negandomi qualsivoglia sollievo.
Mi agito, poi mi alzo, e cercando di non disturbare me ne vado in sala bar, pensando di sdraiarmi da qualche parte. Spiego a Vania il problema, con un mezzo sorriso che però mi rimane storpiato in faccia quando il mio corpo segnala che la posizione semi sdraiata che ho preso non è quella buona.
Da lì, è un rapidissimo decadimento: qualsiasi posizione io prenda non va bene.
Nemmeno sdraiato sul pavimento, in piedi, in diagonale, nulla... Arrivano anche Gab e Lalla, che assistono alla mia non muta crescita di dolore e panico; raggiungo con loro l'esterno, cercando di fare molta attenzione anche alla mia respirazione: sia per il panico, sia perché le fitte mi tagliano il fiato, e ciò non è bene.
E sudo, sudo in maniera totale.
Quando vado a sedermi di fronte al teatro, su, dove c'è la strada, sono zuppo fradicio e sento qualsiasi correntina d'aria come una carezza ghiacciata. Vania si allontana per prendermi qualcosa in farmacia, un antidolorifico; ma più passa il tempo più sento che non basta.
Con me ci sono Gab e Lalla, che fanno il possibile per tranquillizzarmi e farmi compagnia.
La posizione che ho trovato, quella in cui soffro comunque, ma meno, mi comprime lo stesso i polmoni, ma almeno è accettabile. Sento la mia muscolatura rigida e bloccata come un ciocco di legno.
A quel punto, mi accorgo che non sto tremando: vibro.
Vibro a una velocità assoluta, secondo me batto anche il battito delle ali di un colibrì: sono apparentemente fermo, immobile, e invece le mie mani, soprattutto quelle, potrebbero essere brevettate come strumenti per il piacere di coppia. ^_-Quando Lalla me ne tocca una, mi accorgo che praticamente ho le mani addormentate, numb. Uncomfortably numb.
Parlo a monosillabi, un po' perché mi manca il fiato, un po' perché l'ultima cosa che voglio fare è parlare. Mi accorgo che sotto di me c'è una pozza d'acqua, che gronda copiosa a terra dalla mia fronte.
Mi son fatto portare il giacchetto, l'ho messo e adesso è zuppo anche quello. Quando Gab suggerisce di chiamare l'ambulanza annuisco: sogno il momento in cui arriveranno e mi siringheranno nella schiena un abissale antinfiammatorio...
Così, quando Vania arriva comunicando che il farmacista senza ricette gli ha potuto vendere solo un MomentAct (che cazzo ci faccio col MomentAct!!), aspettiamo l'arrivo dell'ambulanza. E pianissimo, comincio a calmarmi.
Tanto che, quando arriva, in un tempo che sembra interminabile ma mi sa tanto che non lo è stato, sono persino in grado di tirarmi in piedi da solo - sebbene i paramedici mi diano ugualmente una mano.
...diciamola tutta, è anche un po' brutto che quando arrivano il paziente si tiri in piedi e dica "no grazie, adesso va molto meglio". Pare che oltre che a prenderli per il culo tu stia anche sottolineando il concetto "quanto cazzo c'avete messo", no? ^_^
Ad ogni modo, la fitta c'è ancora, la sento e so benissimo dov'è localizzata.
Quando salgo sull'ambulanza la paramedica, una simpatica, sale dietro con me e andiamo - purtroppo - al Policlinico.
Adesso, il problema del Policlinico è che è centralissimo. E' grande. Insomma, c'è un botto di gente. Se caschi col motorino, dal Colosseo a via Barberini, da via Nomentana a Piazza Venezia, ti portano lì. Quindi, nell'ordine da rispettare dei codici cromatici, è infinitamente più probabile che la lista dei codici verdi sia già lunghissima quando arrivi, e che sia continuamente rallentata dall'arrivo di nuovi codici gialli.
Vi dico solo che quello prima di me perdeva sangue dal mento, un signore anziano, e l'hanno lasciato lì a tamponarsi la ferita con le garze per ore.
Vania mi ha accompagnato, e resta a farmi compagnia fino al cambio con Gab e Lalla. Io sono stato piazzato su di una comoda sedia a rotelle dalla quale preferisco proprio non alzarmi: punto primo perché, nonostante mi stia sentendo molto meglio, capisco che la 'seduta morbida' della sedia - che accoglie bene sia il sedere che la schiena, scarica il peso togliendo l'incombenza alla mia muscolatura ed alle mie ossa, e non è proprio il caso di rinunciarci. Punto secondo perché... beh, mi rilasso, ed è sempre divertente girare sulle ruote! ^_-
Sempre che non ti ci debba trovare inchiodato a vita, ovviamente.
Delle ore passate in sala d'aspetto, niente di rilevante. A parte l'aver aiutato Vania a costruire la sua pagina Facebook, mentre mi fumavo un paio di sigarette all'esterno. Vania s'era anche preoccupato di andare a chiedere che nel frattempo non mi avessero chiamato.
Poi il cambio con Gab e Lalla - Vania doveva fare uno spettacolo a Castel Sant'Angelo - e infine la mia richiesta di andare a prendere la macchina: io dovevo tornare a teatro a prendere la mia, e siccome m'ero rotto le palle di aspettare avremmo fatto così - loro andavano a prendere la macchina e posare il motorino per riportarmi a teatro; io avrei aspettato il loro ritorno sperando che mi chiamassero. Altrimenti pace e vaffanculo.
In fondo stavo meglio.
Così, loro escono, ed io mi accingo a leggere gli ultimi racconti dell'antologia di RiLL che mi mancavano.
Metto gli occhi sulla pagina e...
Via. Mi sfuggono sulla pagina. Faccio fatica a mantenere la concentrazione, il cervello si rifiuta di compiere l'operazione. Vado veramente avanti a fatica, e mi rendo conto che non è tanto perché non ho voglia di leggere, quanto perché non ho cenato e sono praticamente le undici.
Nada zuccheri. Forse anche nada liquidi.
Insomma, non ho affatto fame - cosa che comincia a farsi strada invece appena mi rendo conto del problema - eppure sono assolutamente cosciente della mancanza di materiali da bruciare per il mio sostentamento. E ringrazio Vania per quell'assaggino di barretta al cioccolato che mi ha dato quando mi ha portato il caffè.
Ma quanto tempo posso andare avanti, ancora?
Ed è lì, mentre sto col libro in mano, indeciso se sforzarmi a leggere oppure cedere e metterlo via, che arriva la classica infermiera stronza.
"Chi c'è ancora?"
Ah sì, ah sì, e voilà, tocca a me.
"E lei chi è?"
"GrimFang, sono qui per la schiena..."
Bastarda.
"Ah, ma lei non ha risposto all'appello, eh?"
Bastarda stronza.
"...la sua scheda è stata tolta. C'è ancora, eh, ma c'è da aspettare!"
Stronzabastardastronzastronzastronza.
Vania è venuto a chiedere, non m'avevano chiamato. Quando cazzo l'hai fatto 'st' appello, nei tuoi sogni? Hai beccato l'unico minuto in cui eravamo fuori entrambi, l'hai fatto sottovoce, hai aspettato apposta il momento adatto? Grandissimabastardastronza. Mi prende come mi prende tutte le volte in casi del genere: non rispondo, non rispondere mi fa male dentro perché qualche vaffanculo nella vita bisogna dirlo, però maledetta buona educazione a me questa cosa mi ferisce, l'essere trascurato, il sentirmi messo ingiustamente in disparte, il sentire calpestate le mie ragioni senza nemmeno argomentare...
Insomma, sto male e mi verrebbe da piangere, se non fosse che ho smesso di farlo troppo tempo fa.
E allora diventa urgente che ritornino al più presto Gab e Lalla, per andare via, andare a mangiare e mandarli un'altra volta affanculo dopo la volta della metropolitana. Però in tre abbiamo esaurito tutti il credito sul telefonino, per cui più degli squilli inutili non riusciamo a farci.
Mi alzo, aspetto fuori, fumo.
Quando finalmente vedo Lalla rientro e dico duramente all'infermiera di turno (un'altra):
"Io me ne vado, GrimFang, la mia scheda la può levare!"
Ometto la parte più divertente, quella sul dove se la poteva ficcare.
E' mezzanotte.
Starving. Ho una fame che non ci vedo.
Tiriamo dritti a teatro che lì c'è il bar aperto tutta la notte: entriamo e mangiamo. Chiacchieriamo, commentiamo. Sto meglio, ma sento che il dolorino lì ancora c'è; non faccio in tempo a pensare a che guaio sarebbe se mi ripigliasse ancora in quel momento, dovendo guidare fino a casa, che lo sento riaffacciarsi.
Saluto Gab e Lalla in fretta e furia e salto in macchina.
Non so cosa sia, ho solo il parere dei paramedici: un colpo di freddo, oppure uno stiramento muscolare. Qualcosa che comunque, con tutta probabilità, ho contratto in precedenza e che ha approfittato di una scomoda postura per riaffacciarsi ed acuirsi. E in effetti nelle ore di attesa, m'era anche tornato in mente che lo avevo accusato anche in precedenza, in macchina, mentre ero alla guida. Ma quando? Non riuscivo a ricordare se era andando a teatro oppure era tornando dalla festa la sera prima.
Comunque, il viaggio di ritorno è un calvario.
Nonostante abbia tirato in avanti il sedile, per non dovermi sforzare troppo, le fitte si rifanno vive, e aumentano. Io spingo la macchina quasi a tavoletta, cercando di fare la strada più veloce - e ringraziando il cielo che da lì c'è la tangenziale percorribile anche la notte e poi il sottopasso fino a Pineta Sacchetti. Rallento per respirare sulle fitte peggiori.
Sogno, anelo l'attimo in cui metterò il piede a casa e cercherò il Voltaren, il Lasonil o ingurgiterò Tachipirina - qualsiasi cosa pur di sedarmi a dovere. Non me ne frega nemmeno niente di essere da solo, di non avere nessuno a casa ad accudirmi (perché i miei son stati fuori per una settimana).
Faccio l'ultimo tratto, quello coi semafori, in stato pietoso. Arrivo e metto la macchina in garage, operazione per la quale bisogna pur piegarsi con la schiena, e infine schizzo fuori dalla macchina, che in quel frangente detesto, come complice dei miei mali. Rimuginando sull'ergonomia del sedile di un veicolo a quattro ruote, aprò l'ascensore e poi su mi fiondo in casa. Corro nel bagno di mamma e, col senno di poi, non so quale nume tutelare mi abbia fatto cercare con precisione il medicamento di cui avevo bisogno - che sia l'effetto subliminale delle pubblicità? Beh, in questo caso è positivo, anche perché lo trovo subito in bagno da me, in bella mostra.
Guardo le indicazioni, è proprio contro il mal di schiena. Godendo come un riccio me lo spalmo sulla parte infiammata: pochi minuti, e sto già bene. E benedico San Voltaren.
Non so tuttora cosa cavolo sia stato, ma non ho avuto bisogno di altre applicazioni. Il giorno dopo sentivo ancora - come lo sento adesso - quale parte della schiena, quale punto, è quello che mi da problemi e contratture, ma me la cavo tranquillamente.
Prima o poi, però, devo passare sotto le sapienti mani di Alessandro!
^_-


GrimFang

giovedì 2 luglio 2009

Ciao Karl

Dal portale di Yahoo:

"E' morto a 97 anni uno dei più grandi caratteristi di tutti i tempi.
Karl Malden se n'è andato, dopo una carriera lunga e importante, portandosi via l'ultima scia di polvere di stelle della Hollywood che fu. A 97 anni, l'attore, celebre per il talento camaleontico, in grado di interpretare con credibilità ruoli di buono e di cattivo, ha ceduto il passo alla sua età, che l'ha portato ad essere l'ultimo, grande rappresentante del mitico Actor's Studio.
Volto 'complicato', con naso largo e occhio magnetico, Malden trovò il successo grazie alla sua capacità di calarsi in ruoli sempre diversi, che gli fecero anche vincere un Oscar - come attore non protagonista - per la sua interpretazione in 'Un tram che si chiama desiderio' di Elia Kazan, dove il protagonista del film - che era anche suo amico nella vita - Marlon Brando, si fermò alla nomination.
In seguito, i due 'amici' recitarono insieme in un altro film di Kazan, 'Fronte del porto', dove Brando non mancò l'appuntamento con l'Oscar, mentre Malden, pur non premiato, consegnò alla storia del cinema una performance memorabile. Marlon volle Malden anche ne 'I due volti della vendetta', l'unico film che il grande attore diresse nella sua vita, a testimonianza del forte legame e della stima che c'era tra i due.
Nella sua lunga carriera, Karl Malden fu scelto anche da Alfred Hitchcock (nel film 'Io confesso'), e John Ford (in 'Il grande sentiero'). Paradossalmente, negli anni '70 il suo volto ricevette nuova fama grazie a un telefilm, 'Le strade di San Francisco', dove l'attore collaudato tenne a battesimo un giovanissimo Michael Douglas.
Nei primi anni '70 l'attore fu chiamato in Italia, dal maestro dell'horror Dario Argento, per dare vita all'indimenticabile personaggio di un cieco enigmista ne 'Il gatto a nove code'.
Da alcuni anni, Karl Malden si era ritirato a vita privata, insieme alla moglie, Mona Greenberg, sposata nel 1938. La loro unione è stata una delle più longeve della storia del cinema."

Karl Malden era uno di quegli attori che mi ha fatto bonaria compagnia, comparendo in un numero esorbitante di film visti da piccolo e da più grande, e riapprezzati ogni volta che li rivedo.
Ero un fan sfegatato de "Le strade di San Francisco", dove il suo viso astuto perennemente col cappellaccio in testa faceva da contraltare al giovane Michael Douglas - allora assai più sopportabile di adesso - e alla sua irrequieta voglia di fare. Era l'epoca de "Alla conquista del West", dei pomeriggi a casa con gli appuntamenti fissi alla tv, "Magnum P.I.", "Chips", "Riptide", "A-Team"...
E' morto a 97 anni, un'età più che ragguardevole, e con 71 anni di matrimonio alle spalle (minchia!).
S'è ritirato dalle scene in tempo per non farsi vedere da vecchio, come lo mostrano impietose le foto adesso, e lasciare di sé quella immagine che, a quarant'anni come a sessanta, era sempre praticamente identica: le guanciotte, il sorriso e quel naso a patata, come un marchio di fabbrica.


GrimFang