L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

domenica 29 luglio 2007

Il Tempo della Vendemmia Facile

Chiamati a raccolta!
Chiamati a raccolta che non è il tempo della vendemmia facile
Fedeli differenti!
Fedeli differenti che non è il tempo della musica ascoltabile

Grande era la mia musica quando ero piccola io

Nelle mani portava le stelle
In Lei la mia liberazione
Sapeva essere e non essere
Pura energia Volare
Catena di atomi lucenti Battito di circolazione vitale
Nutrimento dei sogni Continua fluidità
Testimone di ogni dolore
Rivelatrice di verità
Raccoglimi nella mano – diceva – ti canterò

Consolazione dei senza fede
Generosa di intensità

Chiamati a raccolta!
Chiamati a raccolta che non è il tempo della vendemmia facile

Fedeli differenti!

Fedeli differenti che non è il tempo della musica ascoltabile

Madre mia per quanto tempo ancora
Che questo tempo dobbiamo scontare?

Chiamati a raccolta!
Chiamati a raccolta che non è il tempo della vendemmia facile
Fedeli differenti!
Fedeli differenti che non è il tempo della musica ascoltabile

E l’aria non ha più mistero intorno a te
Canti di amore sterile
Che non so riconoscere
Ti hanno preso l’anima senza paura

Gli uomini hanno i sensi, già…

Ma non tutti quanti nella stessa misura
Ma io ti cerco ancora Sono guerriera
E riposerò dove il mondo Ancora Risuona
Musica che mi ricordi di te
E poi tornare al respiro del mare
Era musica che scorre nelle vene
Amore
Energia mutabile Eterno Bene
[Ginevra Di Marco - Fedeli Differenti]

Mi sono innamorato di questa canzone.
Come capita qualche volta.
Una canzone che ascolteresti di continuo - per le parole, per la melodia - e che dice qualcosa al tuo cuore.
La frase che mi piace di più, quella che mi ha immediatamente colpito la prima volta che l'ho ascoltata, è "che non è il tempo della / vendemmia facile".
Stasera non è proprio vendemmia facile - avere mio fratello a cena tutte le sere non è una passeggiata, nello stato in cui è - ma l'idea che mi ha sempre dato quell'espressione, che segue il "Chiamati a raccolta!", è quella del rimboccarsi le maniche per ottenere qualcosa. E faticare assieme.
Praticamente perfetta per questo blog, che è nato come promemoria per darmi da fare e riuscire nei campi in cui voglio riuscire (ed eventualmente esser di sprone per chi tra voi, miei lettori, sogni ugualmente di fare qualcosa).
La vendemmia facile, è un desiderio lussuoso che non ci si può permettere: capita a volte, ma non si può attendere - per anni, come ho fatto io - che ti cadano i frutti tra le mani.
"La preda incrocia la Tigre
che a volte osserva soltanto,
altre volte si avventa sicura,
ma sempre agisce."
[Deng Ming-Dao, Il Tao per un anno]

La vendemmia, come la caccia della Tigre (che tra l'altro è il mio segno nell'oroscopo cinese, visto che sono di gennaio) è un atto consapevole di Impegno - che tra l'altro ha un bellissimo kanji.
Ci vuole impegno, nella vendemmia. E non siamo soli nel farla, ma chiamati a raccolta.
Il che è parecchio consolante.

Riflettere su questa canzone - a parte farmi immediatamente immaginare un videoclip, che potrei pure girare e mettere su YouTube se non mi pesasse in questo modo il culo - mi ha fatto anche pensare alla religione.
Beh, grazie arca', visto il titolo...

Non starò qui a riempire papielli su quello che penso di Dio e di materia religiosa - ci vorrebbe troppo, anche per le dimensioni tipiche di un mio post! ^__^ - ma per chiarezza vi dico che sono...
Diciamo che per lungo tempo mi son definito ateo, ma questa definizione non mi si addiceva. Non per avere o meno un senso del sacro, ma per quella che - a tutti gli effetti - dovrebbe poter essere definita una forte religiosità in senso laico.
Non mi piace il clero, in generale, ed ho una personalissima idea sull'evoluzione della fede in termini storicisti, ma apprezzo moltissimo quelle filosfie (per me sono assolutamente tali) orientali che spesso vengono etichettate come religioni. In particolare, ovviamente, il taoismo.
Io al taoismo non ci sono arrivato: è lui che è venuto da me, a quanto pare passando per Schopenhauer (me lo disse una volta un amico, che sostenevo le tesi di Schopenhauer; ma io non ho mai letto niente di suo, dovrei rimediare).
Intendo dire che non sono stato 'convertito' in qualche modo, anche di sponda, alle tesi del taoismo. Semplicemente, a molte di quelle tesi c'ero arrivato da solo, e nemmeno ho approfondito poi tanto, in seguito.
Certo, mi son comprato il libro di Deng Ming-Dao perché ne avevo sentito degli estratti la mattina a Radio Rock, e m'ero stupito di ritrovarmici così tanto. Il precetto della Tigre, ad esempio, m'è stato di grande aiuto per decidermi ad affrontare il 2007 come il mio anno. E venivo da un anno di pratica Tai Chi.
Ma è solo il mio pensiero che approda dove altri sono approdati già.
Scoprirlo lascia un piacere particolare, quello della conferma su di un cammino che nessuno ha scritto e che è veramente mio.

Tornando alla canzone, mi sembra che ogni volta che lei parla di Musica, parla di Dio.
Se questo vi sembra una bestemmia, non siete sulla mia lunghezza d'onda.
Se vi sembra un paragone accettabile, che voi lo chiamiate Dio o Musica o Pippo, c'intenderemo.
Il suo Dio è la Musica, e Dio è la sua Musica, "consolazione dei senza fede". Ma non è vero.
Lei la fede ce l'ha. E pure tanta.
In questi tempi di contrapposizioni religiose, questo testo è semplicemente meraviglioso.
Siamo tutti Fedeli Differenti. Anche all'interno din una stessa religione.
E basta pensarci chiamati a raccolta, stavolta la raccolta delle messi del signore, dei frutti buoni della fatica della propria fede, per rendersi conto che l'unico modo di essere guerrieri ("Ma io ti cerco ancora Sono guerriera") di una qualsivoglia fede è solo affrontare la battaglia per trovare Dio in se stessi.
L'idea di imporre la fede non è nemmeno considerabile.
Ma questo non è il tempo della vendemmia facile, o della musica ascoltabile.

"Madre mia per quanto tempo ancora
Che questo tempo dobbiamo scontare?
"


GrimFang

Ciao, Franco

Vorrei lasciare qui un saluto a Franco Cuomo, che ci ha lasciato il 23 luglio scorso.
L'ho saputo ora, tramite il sito del trofeo RiLL. Franco era l'autore di alcuni romanzi storici medievali, in particolare sui templari - il suo personaggio più famoso era certamente Gunther D'Amalfi - ed io avevo avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, ed anche di fargli qualche domanda, ad un convegno organizzato proprio da RiLL a Ludika, tanti anni fa.
Era una persona splendida, o così mi era sembrato, e molto disponibile. Ma soprattutto si vedeva che amava quello che faceva, ed era in grado di trasmetterla questa sua passione quando si ascoltavano le sue parole.
Mi mancherà. E resterà il rimpianto di non avergli chiesto di più, di non avergli fatto conoscere il nostro teatro, di non avergli ridato indietro un po' della vita che ha dato a noi.


GrimFang

mercoledì 25 luglio 2007

Aggiornamento

Sto cercando di dedicarmi un po' al romanzo, ma sto fallendo miseramente...
La mia vita privata sta ovviamente giocando la sua parte rilevante, e il caldo torrido di sicuramente non gioca a favore. Così come non gioca a favore il fatto che i tasti della mia tastiera si siano pressocché completamente cancellati, e che io - andando a memoria - spesso sia costretto a tornare sui miei passi per correggere gli errori di battitura.

Intanto le scadenze si accumulano, le cose che devo fare si sovrappongono ed ho sempre meno tempo da dedicare a ciò che vorrei fare. Anche perché aspetto che mi venga la voglia di farlo, e spesso questo tende a divenire calenda greca...

Quindi questo sarà un'insolito post breve, per comunicarvi che ho giocato a bowling dopo un bel po' che non lo facevo e mi sono divertito come un picchio. Facendo esattamente quel che mi piace accada: perdere la prima partita, vincere la seconda e vincere nel totale punti delle due. E sentirmi paragonare ancora una volta a Jesùs, il personaggio interpretato da John Turturro ne "Il grande Lebowsky".
^___^

L'altra cosa è che, dopo "Storia di un euro", Giulia ha realizzato anche "Appuntamento al buio", un corto scritto da me, Nastya, Davide e Italo, e che fu premiato all'epoca al corso di sceneggiatura organizzato dalla 01 e dalla mia facoltà.
E con questo i corti in pellicola realizzati da scritti miei sono due...
Buona vita!


GrimFang

giovedì 19 luglio 2007

Le tette, Biancaneve ed Anton Cechov - III - Anton Cechov

Le giornate calde si susseguono senza fine, ed io in ufficio schiatto, nonostante il condizionatore acceso (ma al minimo, per evitare scompensi troppo grandi).
Mi sono rasato la testa a zero - sudavo, complice la pesantezza del cappello che ho comprato da Jack Sbòrrows e che adoro - e a parte il dolore ai piedi per via delle scarpe nuove la sensazione che domina è quella della pausa.
Di aver tempo per me.
Vania è a Bali, a farsi il mazzo per farci il culo... ^__-
Io aspetto di avere due foto decenti di Niccolò da farvi vedere...
E il tempo scorre.

Chissà per quale recondita legge le scarpe fanno male solo dopo che le hai già comprate, mentre in negozio non succede quasi mai.
Il 'bello' è che in negozio io le avevo pure notate quelle due linguette bastarde che ora mi segano il tallone... Me lo ero anche detto che poteva finire così.
Me la sono tirata? Me la sono cercata?
Mah.
Fatto sta che le mie adorate All Star di pelle erano diventate un ebollitore.
E tutto perché non ho rimediato prima un paio di espadrillas...

Qui, con queste giornate e la collega con cui divido la stanza in malattia (contro ogni regolamento mi sto fumando una sigaretta in stanza in allegria) sembra molto di stare in vacanza.
Sarà perché non faccio un cazzo?
Può essere...
Ma oggi, tra l'altro, come del resto per tutto il mese, ci sono i provini per le aspiranti attrici...
^__^
Chiaro, mica solo loro, ma da lunedì, quando sono iniziati, oggi è la prima volta che ne vedo di molto carine. In particolare una è proprio stupenda, vestitino rosso leggero, a tubino, con su delle fantasie bianche; capello biondo raccolto sulla testa... non ricordo nemmeno molto altro, ma è l'impressione quella che resta.
A parte loro, qua l'edificio è animato solo dai colleghi che non sono in vacanza o in malattia e da quegli sparuti studenti che stanno armeggiando con i lavori che hanno in produzione. Cortometraggi, di fine anno o di fine corso.
Come quello di Dario - di cui mi sembra di avervi già detto qualcosa - che è ispirato ad un racconto di Philip K. Dick. Tempo fa ne avevamo discusso assieme, ragionato su eventi e personaggi, e gli avevo persino consegnato una sorta di soggetto-canovaccio.
Ero rimasto deluso dal fatto che poi avesse scritto una sceneggiatura lui con meno di un punto in comune con le mie proposte.
Però, ho capito che le nostre riflessioni assieme erano servite, e che è uno di quei registi 'ostici' per uno sceneggiatore: è un autore, a tutto tondo. Ragiona proprio per immagini. Sensazioni, impressioni. Raptus del momento.
Crea, insomma.
E così, accantonata quella bella idea di corto in soggettiva, ho accettato la sfida.
Sì, perché è una sfida a confrontarmi con un altro tipo di scrittura che non avevo mai prima preso in considerazione: una scrittura destinata agli attori principali per fornir loro impressioni, informazioni, creare dubbi sui loro personaggi. Per fare in modo, come deciso con Dario, che possano - volesse il cielo - mandare in vacca le battute del copione (che a mio giudizio erano un bel po' deboli) per tirare fuori quello che è il personaggio loro.
Se lo faranno, saranno grandi, ed io conto molto su Roberta, che conosco e che ho già visto due volte recitare.

E l'ultima di queste due volte è stato un venerdì, forse della settimana scorsa.
In una sala della John Cabot University a Trastevere, gli studenti del suo anno hanno messo in scena una serie di corti teatrali scritti da Chris, americano, che collabora qui con l'insegnante/regista Leonore (o Lenore).
La prima volta, invece, li avevo visti all'opera su "Il giardino dei ciliegi", di Anton Cechov.

Su Cechov, da "Tre sorelle", avevo visto un'altra "prova aperta", dell'anno prima del loro.
Era un paio d'anni fa, e tutto ciò che ricordo era l'entusiasmo che mi generò uno spettacolo tenuto in piedi da tutti con una cooperazione in scena splendida, ed un livello di prestazione alto e perfettamente omogeneo... specie sapendo i contrasti che esistevano tra loro. Infatti, dopo avrei scoperto che appena fuori scena si erano saltati alla gola, azzannati, scannati (beh, non tutti e non in questi termini, ma volarono parole assai pesanti) per poi rientrare in scena e - tac! - sorridenti e collaborativi come se niente fosse.
Non so se questo sia un valore reale, nel teatro, ma per me lo era.
Non si trattava solo di una questione automatica, di professionalità attoriale, di buona prestazione. Per me era qualcosa in più, legata allo sfogo, all'amore per ciò che si fa ed anche al legame affettivo.
In fondo, c'è tanta gente che ingoia e non dice un cazzo, piuttosto che sputarti in faccia quello che pensa. E magari lo trasforma in veleno da versarti all'orecchio alla prima occasione.

Cosa dite?
Non avete la più pallida idea di cosa sia una "prova aperta"?
Beh, gli studenti di recitazione qui, studiano e frequentano i loro corsi, ed hanno rare occasioni di confrontarsi col lavoro vero. A parte i pochi fortunati che vengono spediti o trovano per conto loro un set di quelli veri - più o meno scrausi, guardatevi Boris sulla Fox o vedetevi le pillole su YouTube (a proposito, Carolina è stata allieva qui, e, visto che le ho fatto un massaggio, posso dirvi che ha una pelle fa-vo-lo-sa ^__-) - dicevo, a parte loro, l'unica vera prova con cui confrontarsi sono i corrispettivi del "saggio di fine anno". Cioè le prove aperte.
Prove, perché così è chiaro che non si tratta di veri e propri spettacoli, che si tratta di studenti, che possono toppare così l'ansia si riduce un po'.
Aperte perché sono aperte al pubblico. Amici, parenti, ma soprattutto direttori di casting; questi ultimi affinché possano notare questo o quel bel culo, bel viso, belle tette o buon talento.
Non sono messi in ordine a caso. Non ho grossa stima dei direttori di casting, vé?
Noi dipendenti, di solito, siamo ammessi giusto se c'è posto, ma uno come me, non vincolato a un contratto indeterminato, si può permettere anche di prendersi le pause come vuole e quindi ho più occasioni di andarmele a vedere (ma non sempre).

Nelle prove esterne (evento raro, molto raro) alla John Cabot a Trastevere, di gente di casting ce n'era a bizzeffe. A vasche, a vagonate.
La prova aperta più piena di quel tipo di gente che abbia mai visto.
E siccome è stata molto bella e divertente, devo dire che sembrava - al di là di culi, visi e tette (dovrei metterci anche pacchi, per par condicio) - che avessero gradito.
Io, che ero lì soprattutto per gustarmi lo spettacolo...
Che c'è da ridere?
E' vero.
A parte che un paio di persone del gentil sesso - che tanto gentile non è - mi avrebbero fatto la pelle se non ci fossi andato, io ero lì soprattutto per guardare la recitazione.
...come sarebbe a dire che non ci credete?!? Scommettiamo?
Ok! Si dà il caso che io guardi alle prove aperte principalmente la recitazione, la resa dello spettacolo eccetera molto più che i culi e le tette, per il semplice motivo che quegli stessi visi, culi e tette ce li ho davanti diverse volte al giorno per tutti i giorni lavorativi, cioè cinque giorni su sette! Consentirete che li sappia a memoria, e che quindi possa concentrarmi su altro senza essere distratto (tranne rarissime eccezioni)!
...mi dovete un caffè.

Tornando a noi, tra le due versioni di Cechov che ho visto c'era un'abissale differenza.
La seconda, era disomogenea nelle singole performances attoriali, c'era un divario fortissimo nei livelli di bravura, per cui, ad esempio, Roberta, brillava come un apice inarrivabile quando altre (Priscilla, Giulia...) avevano dato in fondo una prestazione anonima.
L'anno di Roberta, Erica, Arianna, Giulia, Camilla, Priscilla eccetera era un po' scoordinato, allo sbaraglio: una partita di battitori singoli e pressocché nessun gioco di squadra.
Era il loro primo anno, e anche l'emozione del primo saggio non giocava a loro favore.
Eppure, nel lato positivo delle cose, c'era la bella impressione dei più bravi; a volte la lieta sorpresa di scoprire talenti, come quello di eniamino, che non avevo mai visto recitare, o anche una certa verve di Federico, o di altri. Ed era bello, per me, riconoscere il talento - poter dare a Cesare quel ch'è di Cesare, anche a persone che fin lì non m'avevano dato motivo di godere della mia stima.
Ovviamente, il ricordo di Cechov è distante.
Ed è anzi curioso quello che resta nella mia memoria: ad esempio, l'interpretazione di Veronica di una delle tre sorelle, fragile e nevrotica, ferita e disillusa. In parte simile a lei, che tuttora reputo una gran persona e un'ottima conoscente, purtroppo, più che amica. O i flash che ho di Davidone, o Johnny... Riccardo, e gli altri.
Anche loro han fatto un'altra prova aperta, quest'anno. L'ultima, per loro, credo.
Un gran bello spettacolo, non mi ricordo tratto da dove - ah, sì, "La signorina Julie", di Strindberg. Bravi.
Però, proprio a partire da Veronica, torno allo spettacolo di venerdì.

Premetto, devo farlo, che venivo dritto dalla tesi di laurea di Corinna - il cui festeggiamento post discussione era consistito in un bel boccale di Menabrea a stomaco vuoto, per cui ero, per così dire, un po' allegramente alticcio.
Ero quindi nel migliore stato d'animo possibile, almeno al momento, vista l'attuale mancanza di 'presupposti' per stare ancora meglio.
La serie di scene, gli episodi, erano decisamente ben scritti (quasi tutti) ed erano decisamente divertenti. La gente ha iniziato a ridere ed applaudire, il pubblico si è sciolto e non si è più fermato. Loro - gli attori - si son divertiti, anche, e quindi tutto è sembrato filare nel migliore dei modi.
Dico 'sembrare' perché, dopo, quando siamo andati a cena, si è rivelato che almeno per l'episodio di Priscilla è stato zompato a pié pari almeno metà corto: ma questo non si è visto e quindi vale come se fosse andato tutto bene.
Alcuni episodi - come quello della crisi 'niente sesso' in una coppia coniugale, con Roberta e Piero - sembravano usciti dalla penna di Woody Allen.
Altri, come quello tra Ciccio e Camilla, avevano la verve delle commedie anni cinquanta, o del tocco pulp - Astrid, Roberto e Claudio - di un gusto un po' più vicino.
Tutti avevano in comune un tema: il rapporto tra uomini e donne.
E bisogna dire che Chris ci ha preso assai nel delineare un bel po' di aspetti (magari quelli 'più visibili' da parte maschile) femminili in modo ironico, riuscendo a trasmetterci in pieno il gusto di vedere 'il re nudo' in palcoscenico. Ci ha fatto fare grasse risate, ma - va detto - soprattutto grazie alle interpreti femminili che a quei ruoli sono riusciti a dare freschezza e verità.
Alcuni momenti sono stati indimenticabili.
Il primo:
Erica è la donna di Marco, una volubile solo apparentemente insicura discinta sensuale donna, dall'intelletto volpino. Marco è totalmente succube: qualsiasi cosa dica sbaglia, e lei lo usa a suo vantaggio. Dopo aver resistito l'intera scena ad evitare di esporsi, lei dopo una serie di logiche conseguenze gli formula un'ultima domanda. Lui ci riflette. La scena diventa buia, a parte un'unico cerchio di luce sulla sua faccia.
Lui: "...E' una trappola?"
Lei (dall'ombra, con voce trillante di gioia): "Sì!"
^___^
La seconda:
Federico è il ragazzo di Giulia, sono usciti a cena con una coppia di amici, lui si è lasciato sfuggire un commento sul fatto che secondo lui quell'altra coppia non dura, lei si è fatta prendere le ansie sul fatto che è evidente che Federico non la ama (e già questo... ^__-). In questo corto una battuta storica a testa: quella di lei - lui fa un'affermazione cercando di arrampicarsi sugli specchi e lei (apocalittica): "Risposta sbagliata" - quella di lui - sempre cercando di arrampicarsi sugli specchi si trova di fronte una (il)logica ferrea femminile e, solo muovendo inequivocabilmente le labbra senza suono emette un muto, gigantesco, plateale "CAZZO!".
La terza:
Non è una battuta, ma un movimento in scena. Camilla sta parlando con Ciccio, per cercare di fargli capire che il suo ex è una cosa cementificata, da quanto è distante da lei - e tutto perché lui ha trovato nel portagioie di lei una ciocca dei capelli di lui, e si chiede perché lei la conservi. In un particolare momento, mentre lei pronuncia la battuta, Ciccio gli porge l'oggetto in questione tre volte: per ciascuna volta lei saltella per allontanarsi dall'oggetto, e come se fosse la puntina di un disco riprende la battuta da dov'era quando ha iniziato il saltello. Il tutto velocissimo. Immaginatevi una cosa come "...e ti dico che non è affa-non è affa-non è affatto come pensi!"
E potrei continuare davvero per molto, ma mi fermo qui.

Perché quello che volevo raccontarvi, in questo mio piccolo spazio di diario, sono invece tre cose.
La migliore in scena quella sera, il trucco di Camilla e il messaggio di Priscilla.
La farò più breve che posso perché il post è già abissale.
Come mi capita spesso, a fine spettacolo elargisco giudizi - anzi, critiche rigorosamente personali - a chi dimostra interesse. beh, a dire il vero anche a chi non lo dimostra, ma in particolare lo faccio alle persone con cui sono più a contatto o cui voglio bene. E in generale alle ragazze.
Beh, non è vero, di solito lo faccio ai ragazzi, perché le donne non si sa mai come la pigliano. Astrid, ad esempio, non mi è sembrata affatto felice delle mie critiche.
Fatto sta che, quella sera, la prima che mi è capitata sottomano è stata Erica.
Come sapete, con lei ho più rapporto che con le altre (dovevo andare a vivere con lei!) - in generale, nell'ordine dovrebbero essere lei, Camilla e Roberta quasi ex-aequo e poi Priscilla le persone che conosco meglio.
Quella sera, era proprio lei che volevo beccare.
A parte il fatto che i di lei genitori nell'arco della singola serata mi hanno invitato cinque volte a cena da loro - e quando ho detto per l'ennesima volta ok, aggiungendo "Quando m'invita Erica" mi hanno risposto "Ma non stare ad aspettare lei!" - ero proprio desideroso di dirle quel che si meritava.
Erica non è mai stata troppo convinta del fare l'attrice. Sa suonare il piano, e vorrebbe far quello nella vita, e questa scuola la presa né più né meno come una scuola, comportandosi (sbagliando) a volte come un'assenteista. Ma fare l'attrice le piace, e parecchio. Quella sera sul palco era indemoniata - in senso artistico positivo - e doveva avere il suo premio. Così, quando l'ho fermata al volo per dirle un po' dello spettacolo non le ho porto il premio come un qualsiasi complimento, ma l'ho fatto pesare.
Le ho detto che a mio giudizio c'era un attore che era stato più bravo di tutti. No, non maschio, una femmina (quanto so essere bastardo, a volte ^__-). Roberta? No, brava ma stavolta non era lei. Giulia (che è stata decisamente uno spacco e una sorpresa), ma non era lei. Camilla? No.
"E allora chi è?"
"Tu."
Mi guarda, dura.
"Mi stai prendendo per il culo?"
...ma è mai possibile che le donne non arrivino a conoscermi al punto da risparmiarsi simili frasi? Vabbè. Smentisco.
E lì, per la prima volta da quando la conosco, vedo la Erica vera, quella senza le maschere che indossa. Quella fragile e indifesa, fiera ed immensamente dignitosa. Splendida. Spettacolare.
Vi potrei dire che me ne innamoro, se voi non sapeste che una cosa del genere la posso dire ogni cinque minuti così. Con la stessa intensità.
Ad ogni modo, cerco di conservare quell'immagine di Erica - così rara - nella mia memoria, per ricordarmi sempre che splendido angelo ci sia, sotto tutte quelle foglie.

L'altra cosa è il trucco di Camilla.
Sì, perché Camilla esce, dopo la prova, senza essersi struccata, coi capelli ancora nell'accrocco anni cinquanta con cui li portava.
Sembra più adulta, più bella e mantiene la propria freschezza gioviale. Anche qui potrei dire m'innamoro, visto che avrei passato volentieri tutta la serata con lei (Erica e Priscilla se ne erano già andate da sole), se non fosse che di Camilla nell'ultimo periodo mi sono innamorato già svariate volte, sempre cedendo al ricordo di quanto sia attaccata al suo ragazzo.
Però, è un commento di una delle sue insegnanti, che dice "Camilla è uscita così com'era: è una di quelle attrici che escono col trucco", che mi ha fatto pensare a riguardo.
Un'attrice che se la tira, che pensa ai fan, una star non si degnerebbe mai di fare un'azione del genere. Così si possono comportare le tranquillone. Le Paola Cortellesi, per dirne una.
Era un segno di una bella premessa per l'evoluzione della sua carriera: Camilla continuerà ad essere fresca, alla mano, distratta, leggera, e sarà un bene per chi si troverà a dividere con lei la scena.
Certo, ci sono altri aspetti di lei che contrastano con questa cosa: una certa durezza, pragmaticità di stampo genovese. Ma dietro questa postura culturale, c'è Milla, che se ne frega.

Da ultimo, Priscilla.
Priscilla è sensuale. Priscilla è bòna, senza mezzi termini.
Ha un sedere da favola, bei fianchi, un bel visetto incorniciato da una cascata di capelli ricci castani e un bel paio di bocce sode.
Ma non è solo questo, affatto.
Ad esempio, Priscilla ama la musica medieval-elettronica.
Le piacciono i libri, le favole, la musica, la narrativa e, avrete capito, è intrigata dai giochi di ruolo. Priscilla ha l'aria un po' superficiale. Non è svampita, ma sbarazzina.
Priscilla s'è abituata a portare una maschera che non è la sua: quella della frivola, un po' oggetto d'arredamento. E per questo le è così pesante non riuscire ad essere quello che è.
Una persona ricca d'interessi e maledettamente curiosa, anche se insicura fino al midollo.
Con l'insicurezza diventa dura.
E purtroppo (di sicuro per me) gioca a sedurre, ad essere sexy: perché ha un maledetto bisogno di sentirsi apprezzata. Ed essere bella, a questo scopo, rende il gioco facile ma ripetitivo, e riduttivo. Se sei sempre e solamente apprezzata per la bellezza, ti viene il tarlo che non ci sia nient'altro. E allora son guai, specie se fai recitazione; specie se, come quella sera, toppi la parte.
E gli altri ti si mangiano.
E allora alzi le aspettative, non ti confidi e cerchi andare avanti, mentre tutto sembra trascinarti giù. E più le alzi, meno sei capace di far loro fede.
E peggio è.
Quella sera Priscilla se n'è andata via a razzo con le amiche, e non è nemmeno detto che abbia avuto modo di sfogarsi. Ha fatto una cazzata, perché da queste cose c'è da imparare: è resistendo alle offese, e al contempo accettando le critiche con modestia, che avrebbe avuto un serio confronto con gli altri - un punto di vista diverso dal suo.
E' con lei che quel giorno mi son reso conto di quanto siamo fortunati noi che facciamo teatro con Vania.
Noi, dopo lo spettacolo, abbiamo sempre una riunione, dove chi si deve prendere lodi le ha, chi si deve prendere la cazziata, la prende. Ma soprattutto sappiamo dalla sua voce cosa si è visto. Noi, dal 'palcoscenico' non possiamo rendercene conto. E' impossibile.
Quello che per te è un errore insormontabile, come l'aver saltato una battuta, può non essere minimamente percepito dal pubblico. O se è percepito, il pubblico certamente non sa di chi sia la colpa: la battuta non viene detta!
Pecchiamo di miopia.
E lo facciamo anche su tante altre cose, della nostra vita quotidiana.
Così, Priscilla ha rifiutato il confronto, ed è andata via. Il giorno dopo, alla replica, le è andata meglio: suppongo perché fosse totalmente concentrata e perché nel recitare abbia sfogato tutta la rabbia che certamente aveva dal giorno prima.
La voglia di dimostrare che vale.

Io, un paio di giorni dopo, le ho mandato un sms.
Le ho detto che non si era notato nulla dal pubblico, che era naturale beccarsi lo sfogo del compagno di scena e che - avendola già vista in Cechov - mi sembrava in fondo comunque migliorata.
E che non sapeva ancora darsi un valore.
Già, come me.
E la sua risposta, un messaggio inaspettato quanto bello, era l'ultima delle tre cose che vi volevo raccontare.
Buona vita,


GrimFang

martedì 17 luglio 2007

Promemoria

Devo ricordarmi di essere zio.

^___^

Niccolò è nato il 16 luglio 2007, all'incirca verso le 20.30, come un bel programma di prima serata.
Io ero dal Digia a giocare a "Love Pigs". Mi arriva questa telefonata a cose ormai fatte, alle 21.30... per la serie i miei dovevano essere un po' nel pallone, magari se mi avvisavano prima riuscivo a raggiungerli. Invece loro sarebbero andati via a breve, a me non mi avrebbero fatto entrare, mia sorella avrà avuto bisogno di dormire...
Così, restando dal Digia, il piccolo Niccolò ha avuto il primo brindisi in suo onore circa un'ora e mezza / due ore dopo la sua nascita. Birra (Moretti, credo), fresca e spumeggiante.

In più, quale primo brano di benvenuto al mondo, Digia gli ha dedicato "What a wonderful world", nella versione di Israel Kamakawiwo'ole (giuro, si chiamava così, guardatelo!!!) detto IZ, che è un medley con "Somewhere over the Rainbow".
Più tardi, sulla via del ritorno verso casa, ho mandato un sms a Radio Rock e la speaker, Loredana, ha dedicato a Niccolò - senza che io le dicessi niente - sempre "What a wonderful world", ma nella versione dei Ramones.
Decisamente sarà la sua canzone. ^__^

Oggi sono andato a vederlo, ed è proprio un elfetto: non c'è da stupirsi se le leggende su elfi e folletti narrano che i bimbi umani possano essere sostituiti dai loro allo scopo di farli crescere a spese degli umani! Sono identici!
^__^
Le manine paffute e grinzose, l'aspetto terribilmente fragile e quella testolina che va sempre ciondoloni perché ancora non la sa reggere... ma è bellissimissimissimo.
E' stato un parto cesareo, quindi mia sorella ha un bello sbrego sulla pancia ed è ancora debole, ma quello che alla fin fine la stressava di più erano cellulari e visite a manetta, mentre lei sta a digiuno da ieri sera. E di certo non l'ha troppo aiutata la preoccupazione che mamma tirava fuori con battute alla "ma senti che respiro che c'ha, c'avrà mica l'asma?", che son proprio l'ultima cosa che una neomamma in crisi da stress vuol sentirsi dire!
Beh, io dal canto mio la mia sorellona me la son spupazzata; un po' meno il pargolo - ho pur sempre paura anch'io di fargli male! ^__^ - ma tanto avrò anni e anni per godermelo!

Dette queste due parole in breve, vi comunico che ho ricevuto una bella notizia - che alcuni di voi già sanno - che non posso però comunicarvi a mia volta prima che sia confermata o meno... Non se ne parla prima di un paio di mesi. Quindi: pazienza, si aspetta.

Nel frattempo, come un imbecille, nello spazio in alto a destra avrete notato che ho scritto che non c'è nulla all'orizzonte, per ora...
Col cavolo, ovviamente.
Ad esempio, ho dimenticato di dirvi che Giulia, su a Firenze, ha girato in pellicola il cortometraggio intitolato "Storia di un euro".
Idea sua, soggetto mio, sceneggiatura di entrambi.
E che probabilmente questo fine settimana girerà "Appuntamento al buio", scritto da me, Anastasia, Davide e Italo, e che ha anche vinto un premio di sceneggiatura anni fa...
Al prossimo che mi piglia per il culo quando dico che sono sceneggiatore potrò ribattergli che questo è il QUARTO corto che scrivo... direi che bastano, no? ^__-
Ci sentiamo a breve, un bacio a tutti da zio


GrimFang

martedì 10 luglio 2007

Nel frattempo

Prima o poi dovevo ritornare a raccontarvi di Granada.

Nel frattempo, imbelli presidenti americani credono di godersi abbracci di folla in Albania e invece si fanno inculare l'orologio, generando finalmente così quella sorta di umana simpatia e fratellanza tra il popolo italiano (in particolare napoletano) e quello albanese... Nel frattempo, uomini cui puzzano i piedi in maniera - non mi viene un termine adatto per dirlo - provocano irruzioni della polizia tedesca convinta di trovare un cadavere... Nel frattempo, a Pescara si è chiusa iLudiamoci, dove mi son divertito come un picchio, ho conosciuto Angelo Porazzi e ho subito comprato il suo gioco "Love Pigs" grazie al quale ho scoperto molte compatibilità con Arianna, mi son fatto fare un grandioso massaggio da Lyra, e mi son perso nel decolleté di Crizia (ma anche sul volto adornato da un piccolo piercing che sembrava un neo)... Nel frattempo, un romeno sotto cocaina ha fatto inversione a U sull'Olimpica in mezzo a Villa Pamphili prendendo in pieno un albero e facendo volare un motociclista quarantenne contro un palo, spezzandolo letteralmente in tre; e tutto questo è avvenuto praticamente dietro casa mia... Nel frattempo fra tre giorni Corinna si laurea... Nel frattempo i ragazzi di recitazione qui han fatto una prova aperta adesso adesso, da "La signorina Julie" di Strindberg.

Nel frattempo tutto scorre.

Sto cercando disperatamente di riprendere il romanzo, ma arrivo a casa sempre troppo stanco.
Sto informandomi pian piano per produrre il cd dell'Anonima Armonisti, che è stata in concerto venerdì scorso.
Sto cercando di ultimare quelle due minchiate che mancano e fare il playtesting di Arkipélagon, e di lavorare invece su Escondida.
Ho mandato un testo musicale ("L'Alchimista") a Filippo Gatti, ex voce degli Elettrojoyce e adesso in proprio.
E ho un bordello di altre cose da fare, da D.N.H. a stirare i panni, a mettere a posto la stanza.

Ma devo ancora rccontarvi almeno un paio di cose di Granada.
Ad esempio, devo parlarvi dello spettacolo a El Apeadero.
In calle Ave Maria n. 2, a Granada, c'è il teatro El Apeadero. Messo su da una compagnia che voleva far teatro, all'interno di un ex-garage. Ricorda qualcosa, no? ^__-
Riguardo al civico, me lo ricordo bene perché il giorno dopo a Granada arrivò anche Federicone (Fefé), e - visto che era il giorno in cui lì avrebbero fatto lo spettacolo i gruppi Yogurt e Saltymbanco, mentre noi avremmo fatto parata pubblicitaria in giro - lui coniò per l'occasione una canzoncina, sulla musica delle nostre 'Osterie':

"A la calle Ave Mariaaaaaa
'ndo se toma la sangriaaaaaa"

^__^
Comprenderete che, visto il mix romanespagnolo, che io me la ricordi! =)P
Bene, dopo la gran parata che vi ho raccontato l'ultima volta, siamo finiti in quel teatro. Lì, ci attendeva la visione collettiva del loro spettacolo - ovviamente in spagnolo - che, a quanto mi avrebbero spiegato a posteriori altri che c'avevano capito di più, riguardava gli sforzi, le emozioni e le pulsioni che avevano avuto nel metter su proprio El Apeadero.
Visto che avevo un piede in fuorigioco ed ero alla ricerca di un posto dove collassare e santìare a mezza voce (perché proprio non riuscivo a farlo in silenzio), io ero sdraiato davanti alle poltrone, assieme ad altri di Ludyka. Sicuramente avevo a destra Sara. E - la scelta non era stata fatta a caso - dietro la schiena avevo la sedia di qualche yogurtina (e che c'ho scritto 'fesso' sul davanti? ^__^), credo Cristina.
In scena (niente palco, come a Ygramul) davanti a noi, un attaccapanni e una panca contro il muro con su gli attori: quattro ragazze e un ragazzo. Sorridenti e in paziente attesa.
La ragazza, moretta, con le frezze grigie, che avevamo conosciuto fuori poco prima - e che sembrava la coordinatrice di tutto, un po' il Vania della situazione e con il tipico fascino di alcune delle sue ex (occhi intelligenti, capelli scuri, occhi nocciola, magra, look 'sinistrorso'... davo un po' per scontato che facesse breccia sul nostro regista) - era sulla panca. Accanto a lei una roscia bella ceciona, una bionda che non ricordo troppo bene ma sul tipo tedesca, una mora dallo sguardo allegro e pazzo al tempo stesso (una piperina, insomma) e lui: magro, volto simpatico, aria furbetta.
Frezze grigie ha cominciato lo spettacolo, con una introduzione, una spiegazione narrata e recitata dello spettacolo, durante la quale ha anche tirato fuori il cellulare ordinando delle pizze. Per me, che non capivo molto, era difficile afferrare il senso di quella scena e dell'argomento dello spettacolo - che, come vi ho detto, mi sarebbe stato spiegato dopo.
Però, quella scena in particolare l'avrei capita verso la fine dello spettacolo: siamo lì, che guardiamo l'evolversi della situazione quando, dal corridoio che porta al foyer (tiè, quanto sono fine! ^_^) emerge un tizio con il giubbotto catarifrangente arancione, il casco in testa e cinque pizze in mano.
L'avevano ordinata sul serio!!!
Il tizio è rimasto totalmente interdetto: credeva che stessero facendo delle prove, ma quando è arrivato a bordo sala, ha scoperto che c'erano minimo sessanta persone, e TUTTE con lo sguardo fisso su di lui!
C'è rimasto di merda, ovviamente, anche perché frezza grigia - parlava proprio lei in quel momento - s'è interrotta e lo ha pubblicamente ringraziato, andando a prendere le pizze, poi saldando il conto, chiedendo gli spicci agli altri e infine invitandolo a rimanere in sala a godersi la fine dello spettacolo.
Che è pure un gesto carino. ^__^
Il ragazzotto, a metà arrossito e a metà gongolante per la storia che avrebbe potuto raccontare da lì a breve, ha cortesemente declinato adducendo il lavoro come scusa e si è defilato.
A pensarci adesso, è stato proprio un bel modo di narrare come loro siano andati avanti a pizza nel tirar su il teatro.
Peccato che poi si siano messi a mangiare davanti a noi, che eravamo digiuni dal pomeriggio! ^__^

Tornando indietro, lo spettacolo comincia e mette in scena un'intervista esilarante - in perfetto stile televisivo - tra il ragazzo e la bionda, durante la quale lui ogni tanto si alza, fa "Ahora!" ammiccando al pubblico (ammiccava di continuo) e salta col corpo perfettamente a squadra, toccandosi le punte dei piedi con le mani. Così, a buffo.
Matti, matti come cavalli.
Lo avremmo capito di lì a poco, quando, come ipotizzato in seguito, hanno mostrato la parte relativa alle "reciproche attrazioni scattate tra di loro durante la costruzione del teatro".

Sono tutti seduti sulla panca.
Lui è all'estrema sinistra, seguono le altre. C'è una musica di sfondo.
Improvvisamente, cominciano a diventare languidi, a strusciarsi, a guardarsi infoiati e... a toccarsi.
Vi ho detto che il maschio era a un'estremità, quindi...
...c'erano quattro donne che limonavano tra di loro, palpandosi le tette, infilandosi le mani tra le gambe, una con l'altra.

Temperatura improvvisa della sala: 8 milioni di gradi Fahrenheit.
La mia fantasia sessuale preferita è una qualsiasi forma geometrica dal triangolo in su con me come unico maschio. Quindi...
Non capisco più un c... di niente. I miei ormoni ululanti sguazzano per tutta la sala, mentre io con uno sforzo stoico cerco quantomeno di metterli in ordine, visto che è evidente che non li posso fermare.
E sul più bello, proprio mentre cerco un modo di far defluire il sangue dal mio cervello per evitare epistassi (sangue dal naso) come il Maestro Muten, si alzano pian piano verso la panca e vengono verso di noi.
Lo sguardo che hanno non lascia adito a dubbi: è pura lussuria.
I loro occhi percorrono i nostri volti alla chiara ricerca della preda.
La rossa ceciona è al centro, forse troppo distante da me (è stato il mio primo pensiero) e io...

...io stavo dalla parte del maschio, porca puttana!!!
^_______^

Grazie al cielo punta Sara - ecco perché ricordo bene che era vicino a me! ^_^ - la quale, però, è letteralmente terrorizzata. Il simpaticone, quindi, dopo esserle arrivato a circa dieci centimetri sventolando la lingua come un biglietto da visita, ha la geniale trovata di girarsi verso di me.
Credo anche che Sara, nel suo deliquio, gli abbia anche detto qualcosa tipo "và da lui, và da lui!" indicando me, ma col passare del tempo non posso più esserne tanto sicuro.
A questo punto, devo scoattarmela.
Il primo pensiero dopo il panico iniziale è che se il suo gioco è quello di provocare, anche in maniera pesante, se io mi ritraggo sono condannato. Se non me lo cago, ho qualche chance.
Sudore freddo, ma massimo controllo.
Se fossi stato un pneumatico, sarei stato vincente anche in condizioni di pioggia. ^___^
Il tipo si avvicina con la lingua di fuori, io sorrido e non mi scosto di un millimetro, e lui torna a tormentare Sara. Matematico.
Il teatro è così: anche nel nostro laboratorio, quando si tratta di affrontare o coinvolgere la gente nello spettacolo ci sono delle regole e dei meccanismi da applicare. Io ho avuto abbastanza lucidità e me lo sono ricordato.
Sara no.
...ma poi lui non ne ha approfittato.

Ritornati ai loro posti, lo spettacolo continua e alcuni - solo alcuni - sono invitati a unirsi a loro.
Sette, per la precisione.
Nel frattempo, una di loro (la mora pazza) va a preparare la stanza in cui entreranno. Si tratta di una porta verso il fondo della scena, forse un ingresso alle quinte, che ci viene spiegato essere il luogo più importante di tutto il teatro. E questo luogo, con tutto quello che contiene, verrà mostrato solo a quei sette.
Intimamente, desidero che la rosciona dalle belle bocce venga a scegliere me, maalla fine molti vengono presi dal pubblico (perché c'era pubblico oltre a noi 45!) e solo due dei nostri, Ester (Saltymbanco) e Alessio (Yogurt e Ludyka), vengono presi.

Ora tenete a mente questo: Ester è al primo anno di teatro con Vania, sta ancora al liceo, è una mia giocatrice di ruolo, ed è una tipa allegra, un po' spigliata e all'apparenza molto acqua e sapone. Alessio è decisamente timido, balbetta un poco, è molto rigido nei movimenti, è un tipo da collettivo politico di sinistra, è impacciato e un po' introverso e... insomma... il perché è un grande lo capirete poi.
I sette fanno una passeggiata tipo trenino delle feste lungo la scena e poi s'infilano nella porta dalla quale la mora pazza NON riemerge. In scena restano dunque in quattro: lui, la frezze grigie, la rosciona e la tedesca.

Io ero convinto che entrare in quella stanza fosse assistere a uno spettacolo esclusivo. Sinceramente. E forse era realmente così, ma fatto sta che appena si chiude la porta alle loro spalle, tutti quelli rimasti in scena si spogliano e restano in mutande.
Tutte bocce al vento.
Io così. A bocca aperta.
Esattamente il contrario di quello che pensavo.
E la rosciona era fuori!!! ^_^
Parte una musica quasi industrial, le luci si fanno blu elettrico e scende la penombra comunque rotta da lampi di luce costanti e, mentre la moretta rimasta legge a torso nudo una serie di proclami gli altri raccolgono una serie di strumenti tipo trapani Black&Decker e roba simile e cominciano una danza sul posto pure pericolosetta, visto che - ad esempio - la bionda fa girare vorticosamente sulla sua testa un punzonatore da più di un kilo tenendolo per il filo come se fosse un lazo.
Comunque, una scena potente. Sudando come addannati, puro sforzo fisico, pura materia. Tette al vento, era un momento quasi animale, bellissimo da vedere.
Talmente tanto riuscito, a mio giudizio, che a differenza del precedente stato di "onda anomala ormonale", stavolta sento che quello che vedo è teatro, buon teatro. E mi eccito un po' meno.
Però decido che la rosciona è una con cui ci dovrei provare! ^_-
Passa questa sudata collettiva su di una bella musica, frezze grigie ha finito di leggere quelli che non erano proclami ma pagine di diario relative al bucio di culo che si son fatti a tirar su la sala, a fare gli impianti, a mettere in funzione gli scarichi, e alla fine si rivestono.
Appena rivestiti si sente un grido collettivo dalla stanzetta e poi la porta si apre e i sette escono in fila indiana come sono entrati, ma stavolta ballando.
Come dite?
Cosa c'era nella stanza?

Quella stanza l'avremmo conosciuta il giorno dopo, quando sarebbe toccato a Yogurt e Saltymbanco andare in scena.
Dentro c'era uno stanzino/attrezzeria, due cessi con le porte a soffietto - di cui uno fuori uso - e un piccolo camerino. Niente di speciale.
Tranne quello che c'era quella sera, quando ci sono entrato Ester e Alessio.
Ovvero la porta a soffietto del cesso funzionate completamente spalancata e dentro la mora pazza completamente nuda che pisciava. E che li ha intrattenuti con un discorso sulla naturalezza delle cose e dei gesti eccetera eccetera.
Ora capite perché - pur conscio di sbagliare e generalizzare - per identificarla dico 'pazza'. ^__^
E adesso capirete perché Alessio è un grande: poteva chiudersi, sentirsi offeso, deriso, incazzarsi. Al posto suo tonnellate di gente l'avrebbero fatto.
Invece se l'è scialata.
E' uscito tutto contento, come se fosse clamorosamente tutto normale.
Il bello del teatro! ^__^
Ester invece, un po' ha accusato.

Insomma, alla fine lo spettacolo è andato a chiudere. Mentre la pazza faceva la malta in scena e le altre mimavano altri lavori, il tipo leggeva tutta una serie di regolamentazioni cavillose del municipio di Granada sul teatro e i finanziamenti eccetera, in cui la morale della favola più o meno era "se fate un sacco di soldi con gli spettacoli e di conseguenza investite parecchio, noi del comune vi diamo il culo e siete i benvenuti; altrimenti attaccatevi al cazzo".
Poi è arrivato quello delle pizze e loro si son messi a mangiare in scena - la mora con tutte le mani impastate di malta.
Fine dello spettacolo.

Il giorno dopo ci saremmo andati per due nostri spettacoli, e ci saremmo aspettati che, per questa sorta di scambio di teatro, ci fossero anche quelli che avevamo visto la sera prima. Non è stato così.
C'erano solo frezze grigie e la regista. Non c'era nemmeno la rosciona, sigh.
Senza contare che noi, per il loro spettacolo, abbiam comunque pagato un simbolico biglietto. Certo, saremo stati 45 sfiatati che puzzavano come mufloni, una manica di sciamannati stragonfi di sudore e dalle ascelle pezzate, ma almeno io me lo sarei aspettato uno scambio di cortesia.
Non potevano essere più lontani da quella che invece sarebbe stata la gioia di conoscere i ragazzi del 5° Espiral...
Ma questa è un'altra storia.


GrimFang

venerdì 6 luglio 2007

Sul mestiere dell'attore

Lo so che vi avevo promesso i post su Granada, ma questo blog, in fondo, oltre che racconti di vita e di esperienze più o meno stravaganti, è un promemoria di ciò che faccio e di ciò che sono, per rifletterci su anche insieme e magari fissare dei punti importanti, che mi diano un po' di spinta in avanti.

Capita, quindi, di voler fare un piccolo punto della situazione su quella che è una branca della creatività che, assieme ad altre, percorro.
Durante il viaggio in macchina verso Viterbo, Sara (Ludyka), mi ha detto una cosa importante.
Mi ha detto
"Tu non ti sai dare un valore."

In effetti, è vero.
Ed è stato questo pensiero ad avermi molto aiutato a bypassare il panico da esibizione.
Ricordate di quando parlavo del confrontarmi col mito di me stesso?
Bene, è la stessa questione.
Il fatto è che, nel sentire quest'affermazione - e superato il primo istinto a contestarla, come sempre accade quando ti muovono una critica o un'obiezione - io sono riuscito immediatamente a ricordarmi di quando e come io, invece, mi sia dato un valore; e di come, per necessaria conseguenza, io poi non me lo sia dato realmente, sul piano pratico.

Vedete, con molta immodestia, darmi un valore è stato per me praticamente sempre (o quantomeno negli ultimi anni) un modo per spronarmi tramite l'autoesaltazione.
Prima di passare per un invasato, mi spiego: dovendo affrontare, ad esempio, la stesura di un romanzo, era fondamentalmente utile (e forse lo è tuttora, almeno in parte) fomentarmi sostenendo di essere "il più grande scrittore mai esistito" e di avere "grandi cose da raccontare", o altre simili amenità.
Ovviamente - non vado in giro con la mano nel panciotto, o almeno, non ancora - il mio spirito razionale e pratico non può avallare una simile concezione, che rimane quindi quel che è, un'autoesaltazione momentanea e finalizzata.
Sì, Digia, lo so che ogni tanto anche in altri casi esce fuori, non c'è bisogno di sottolinearlo... ok, ok, "ora che hai riaperto la ferita versaci pure il succo di limone!" ^__^
In pratica, essendo la percezione della mia autostima piuttosto bassa, non ho trovato niente di meglio che farla crescere sparandola in alto il più possibile nelle occasioni in cui necessitava (il che comprende lo scoattarmela per tutte le cose che ho cominciato e non ho ancora fatto): ma essendo comunque in grado di autopercepirmi e comprendere che trattasi di fesseria, nella cognizione della distanza che intercorre tra concetto e autostima c'è sempre stato tutto lo spazio che poteva servire all'insicurezza e al panico.
Ed è anche per questo che quindi spesso non si batte chiodo. Ma questo è un altro discorso...

Tornando a noi, per riassumere, se da un lato mi dico "sei il massimo" dall'altro do per assodato il "sei il minimo", e chiaramente le due cose si vanno a mal conciliare.
Quindi, la mia risposta a Sara è stata
"Guarda che invece me lo do spesso, ma è un valore che io stesso so non essere reale e quindi magari poi non lo dico per non peccare di presunzione."

Ma Sara ha trovato da precisare anche su questo: se una persona vale dieci e dice di valere dieci, questo è realismo, non è presunzione.
Adesso, so benissimo di non valere dieci, ma so altrettanto bene - realisticamente parlando - di valere almeno sette. E se qualcuno mi chiamasse un giorno a darmi pubblicamente un valore, di certo non sparerei il tredici di quando mi davo un'autovalutazione intima e personale per sentirmi in grado di "spaccare il culo ai passeri", per dirla con un'espressione a me cara e un po' volgare. (trovo che dia una singolare idea di precisione ed efficacia, visto che è sottinteso che i passeracei siano in volo) ^__^
Direi invece proprio quel sette.
E allora perché non dirlo?
A Ludika, ogni volta che dovevo andare in scena mi bastava pensare di essere un sette, e dimostrare in scena anche un sei e mezzo andava bene - l'importante non era svaccarsi su un quattro. Ma ormai, dopo tanti anni di teatro, avendo la coscienza di essere un discreto, un buon attore semiprofessionista, ero anche convinto di essere praticamente al riparo dalle figuracce da quattro.
Di lì, la tranquillità. Anche la capacità di giocarci un po' sopra, quando mi sentivo sicuro.
Al Festival di San Cleto, per tornare al parallelo di prima, io andavo in scena convinto di dover far vedere a tutti, ancora una volta, di essere il tredici che non ero. Che non sono.
Convinto che ormai l'aspettativa su di me fosse quella del numero 13.
Sbagliato: il fatto che ho vinto dimostra che magari quella sera sono andato da otto, cercando il tredici! Perché - ed è questo il peso della misura - da quel "palco" come da tutti gli altri "palchi" prima di Ludika in cui ho sentito il peso di una simile aspettativa (del pubblico o personale), io sono andato via col batticuore e con la sensazione di aver fatto pena!
Eggrazziearcazzo, se pensavo di dover "far tredici" (appunto!) anche se avessi fatto dodici sarei, diciamo così, ito 'n puzza.

Quindi, una prima importante lezione - da continuare a mettere in pratica, in TUTTI i campi - è stata questa: smettere di non valutarmi.
Se pensate che qualcosa di questo ragionamento si applichi anche a voi, beh, cominciate a metterlo in pratica!


Altre cose che quest'edizione di Ludika mi ha insegnato, sul mestiere dell'attore, sono nate dal ritorno associato alla notizia del ricovero di mio fratello.
Sul fare teatro come ricerca della propria identità, e non come sua perdita, vi ho già detto parlando del bicchiere mezzo pieno nel post "TySOn" di poco tempo fa, sul finale. Ogni volta che si va in scena si può cercare - a posteriori - tra le emozioni e le energie, i pensieri, ma anche i movimenti corporei, i gesti, la fisicità, quello che - in scena come nella vita - ci ha fatto sentire a casa. Il resto, credo si possa dividere tra lo straniero e il viaggio.
Il primo, è ciò che non ci appartiene, che ci è strano ed estraneo, con cui non ci si trova a proprio agio; quello che si è contenti, sulle prime, di lasciare. Usando questo termine rischio di sembrare xenofobo, ma vi sono comunque due aspetti: da una parte nulla vieta che, dopo l'iniziale repulsione si provi per questo lato un rimpianto, o una voglia di conoscere ed approfondire; dall'altra, la radice delle parole estraneo e straniero sono le medesime, ed è in questa accezione di 'non proprietà' che il termine va inteso.
Il secondo, il viaggio, è ciò che ci è estraneo alla stessa maniera, ma non ci mette a disagio: ce lo godiamo e lo guardiamo passare come un bel paesaggio dal finestrino di un treno. Non ci turba, quindi non ci spinge nemmeno ad odiarlo, ad amarlo, ad andarlo a investigare. Sta lì, e dopo un po' lo si dimentica, come una bella sensazione che si è provata nel... nell'andare a visitarlo.
Quindi, quasi paradossalmente, è lo straniero dei nostri personaggi che ci viene a bussare alla porta di casa, che ci disturba, che ci intima di conoscerlo. Che viene vissuto come pericolo ma ci attiva. Il viaggio, è solo un vestito labile che non ci mette mai in discussione: batte corde troppo vicine al nostro bicchiere mezzo pieno.
Questo ovviamente non toglie che ci siano aspetti di straniero nel viaggio e viceversa, o che perlomeno ci possano essere.
Se nel fare il principe Amleto mi vivo il 'parricidio' dello zio come una cosa che a me non potrebbe mai succedere, metterò in scena un bel viaggio; se anche solo mi sfiora il dubbio che possa pure capitare, in questi giorni di uxoricidi e vicini di casa presi ad accettate, ecco che salta fuori lo straniero.
Il corpo in scena sono sempre io - parte di me resterà in Amleto come sua e mia casa - ma nella voce, nell'intenzione, nei gesti, sarà a tratti viaggio, a tratti casa, a tratti straniero.
...è chiaro?
Fatemi sapere se non avete capito, eh? ^__^

Ancora, la frase di Artaud sulla parete - Artaud che venne ricoverato in manicomio (quelli dove sì che ti facevano l'elettroshock per niente!) - scritta di spray rosso come fosse sangue, mi è persino sembrata scritta nel modo giusto e ben poco transitoria. Sebbene debbano rifare le pareti, prima o poi, quella sembra destinata a restare, anche sotto l'intonaco nuovo.
Nello spettacolo di quest'anno c'è un momento in cui si fa 'il Bobo'. Si tratta di perdere in certo qual modo il controllo e divenire solo corpo in agitazione; corpo che comunica, anche se non verbalmente. Anzi, negando la verbalizzazione visto che si emette praticamente solo un qualcosa tipo "blblblblblblblblb". In pratica, si spinge il corpo verso l'eccesso di destabilizzazione (non so dirlo meglio, a quest'ora) e - a detta di Vania - si arriva a comunicare con l'energia pura.
Il tema di questo Bobo, nel nostro spettacolo (non so se si tratti di qualcosa in generale) è cercare di trasmettere al pubblico il perché facciamo teatro.
Ciascuno di noi ha scelto uno dei motivi; io ho scelto quello del 'contagiare'.
Contagiare le persone con la passione, spargere attorno a me come la peste il piacere che provo e la bellezza del fare teatro. Del farlo così. Lunedì pomeriggio mi sono accorto che questo non era vero. No, meglio, era vero, ma più superficiale.
Sotto c'era - e c'è - qualcosa di più grande, profondo.
Come la gran parte delle azioni che compiamo sono azioni egoistiche ed edonistiche, così c'è sicuramente un aspetto simile anche nel mio far teatro. Però, sotto, c'è anche qualcosa di diverso e... fondante. C'è l'affermazione, più della ricerca, di sé. Non solo per via delle gratificazioni che si ricevono (gli applausi, ma anche prima i complimenti, i "sei bravo" e anche i "ti sottovaluti"), ma anche per quel senso di 'presenza' che vi dicevo. E per la costanza nel fare qualcosa: che sia andare dallo psicologo o giocare a calcetto le attività svolte regolarmente aiutano il formarsi di bioritmi sani! ^_-
Ma nella mia presenza scenica c'è appunto qualcos'altro, qualcosa di più sostanziale. Anche se si tratta di una sensazione, più che di un lucido pensiero, e trasmettervelo quindi... diventa un po' complicato.
E' il narrare, è l'usare il corpo, è l'affermare "io sono" - in un certo qual senso l'esaltazione dell'io, che per un egocentrico qual sono... ^_-

Attori che non hanno paura di essere accoltellati sono i Bobo che non hanno paura di essere feriti nei sentimenti: il motivo per cui faccio teatro è trovare la centratura in me.
La base del mio equilibrio, sociale ed umano. Che non è esattamente l'identità.
Là dove la notizia del ricovero scuoteva i paletti delle mie sicurezze richiedendo una nuova collocazione (non estremamente diversa) di mio fratello e mia, nel panorama della percezione del reale, e scuoteva un pochino anche le vecchie paure di perdita della mia razionalità (come se avere un parente stretto in quello stato significasse che 'per vicinanza' potevo essere a rischio anche io - del resto io e lui abbiamo diviso camera per almeno vent'anni), ecco, là, io però riuscivo, anche grazie all'esperienza appena conclusa - Ludika e teatro - a non sentirmi proprio perso.
Al di là dell'appartenenza a un gruppo, che è pur sempre un gruppo fatto d'individui (com'ho imparato a Granada), era proprio il percepire che, grazie al teatro, ero più stabile.
La figura che ho richiamato alla mente era quella di uno dei banchetti della fiera: quattro pali di legno legati assieme ad un'estremità e poi aperti sul terreno a formare una piramide a base quadrata. E a metà altezza, fissata con del cordame, una 'barella' tra i pali a far da ripiano.
Ricordo deliziosi anni di vecchie edizioni di questa manifestazione in cui, su simili banchetti, mi rannicchiavo, accoccolavo la sera, quando tutto andava finendo, a fumarmi una sigaretta, guardare la gente passare, gustarmi l'aria di fiera.
Quest'anno, purtroppo, non è stato possibile...


GrimFang

martedì 3 luglio 2007

Ludika 1243 - VII edizione

Sono andato a trovare mio fratello in ospedale, ma vi dovrò pur dire almeno quattro cose su com'è andata a Viterbo!

^__^

Questa VII edizione non resterà forse negli annali della storia, ma è stata una bella edizione.
Quattro giorni, gonfia di gente - e di gnocca come sempre, manco a dirlo - ma anche una delle edizioni più faticose che ricordi.
Sarà il caldo, sarà la fatica, sarà il caffè...
Domenica, ultima giornata, ho proprio 'collassato' su un divanetto: un'oretta o mezzo di stato comatoso, ma proprio in coincidenza con la permanenza viterbese di Fabrizio.
Voglio dire, s'è accollato tutto il viaggio da solo (Ostia-Viterbo-Ostia) per portarmi un ghiacciolo e vedermi cinque minuti in uno stato che se ero uno zombi ero più lucido! ...posso solo sperare che si sia girato un po' la fiera e che gli sia piaciuta...
Grazie di cuore, quindi, Fab: della presenza come del ghiacciolo, senza il quale sarei andato davvero in coma! ^_^ Fammi sapere postando un commento che cosa hai fatto poi durante la mia 'assenza', cioè da quando sei arrivato.

Un po' m'è dispiaciuto che di tutti quelli invitati, come al solito, se ne sian presentati due.
La prossima volta metto i volantini sul tavolo e mi sto zitto...
Sara - l'inglese - è salita con Roxy, che era proprio un bel po' che non vedevo. Ioana e la Blond son salite per un momento, a vedere il nostro spettacolo, per poi ritornare giù a Roma: ma han dovuto aspettare qualcuno... morale della favola la Blond s'è andata ad abbioccare in macchina.
Il resto, basta.
Non s'è visto nessuno.
Dovrei tirarvi/gli le orecchie, ma considerato quante energie mi ha succhiato questa Ludika (sto accusando i postumi da più di tre giorni) non so effettivamente quanto spazio e tempo avrei avuto per filarmeli...

Per darvi l'idea: normalmente almeno un paio di volte alle pozze d'acqua sulfurea ci si va.
Quest'anno sono l'unico di tutta la cricca ad essermele fatte tutte e due: venerdì tutti assieme e sabato - dico, sabato! - eravamo io, Gatto (un altro Gatto, fa il giocoliere, non è l'ihgger) e le due Federica che fanno i trampoli... più un loro amico, che nemmeno s'è onfilato in vasca.
Eppure... dopo una notte passata a chiacchierare con entrambe e, beh, a massaggiare quella più carina... fino alle cinque di mattina, concludendo il tutto con cornetto e cappuccino... il giorno dopo stavo male.
Ma proprio male: domenica fin dalla mattina non capivo un cazzo, avevo fiacca, mal di schiena (!)... tant'è che appunto, poco dopo l'arrivo di Fab mi sono andato ad abbioccare.
Sarà perché in quattro giorni non son mai andato a dormire prima delle cinque?

Che poi, domenica mattina Vania era già partito.
Per Bali.
E noi, noi si doveva andare in scena la sera con "L'Amore degli Zanni", lo spettacolo di due anni fa; quello in cui io ho un sacco di battute, un ruolo da narratore, delle parti di acrobatica tipo 'salgosudiunascalaapiolimentredellepersonelafannogirarecomesefossiuncricetonellaruota' che se non vengono provate possono pure essere pericolose.
E infatti quasi all'inizio dello spettacolo mi son chiuso il dito tra due sbarre di legno (a sangue), perché nessuno s'era ricordato (me compreso) che certe cose andavano posizionate per lasciarmi lo spazio proprio per non farmi male...

E domenica era anche il giorno della battaglia campale.
E' ormai dalla II o III edizione che io faccio il portastendardo ghibellino... avendo poi la sera lo spettacolo per me più impegnativo - ed essendo in quello stato - quest'anno ne avrei fatto volentieri a meno.
Per chi non sa cosa sia la battaglia campale di cui parlo, si tratta del momento clou della manifestazione: dal primo pomeriggio tutti coloro che si sono segnati ricevono un vestito ed un'arma (se non ce l'hanno già) e poi partecipano alla sfilata 'storica' per le vie di Viterbo antica, fino a giungere a valle Faul, dove, proprio nel 1243, si svolse una battaglia tra i guelfi di Raniero Capocci, fedelissimi al papa, e le truppe ghibelline di Federico II di Hoenstaufen, l'Imperatore. In quell'anno lì vinsero i guelfi, ma in realtà di scontri guelfi/ghibellini e di assedi Viterbo ne ha visti molti, e nella gran parte vinsero i ghibellini. Proprio come nel computo delle varie edizioni di questa 'rievocazione storica'... ghibellini battono guelfi 4 a 3 (di cui una STRARUBATISSIMA... maledetti guelfi ladri e bari!).
Quest'anno, abbiamo perso. Ed ho fatto il portastendardo nonostante tutto.
Sì, è facile dire che abbiamo perso perché stavo male, ma non è che sia proprio proprio così. E' che i guelfi non andavano mai giù mentre i nostri sì, e quando mi son visto davanti una quindicina di guelfi che si riorganizzavano, mentre io ero rimasto con due sole guardie ghibelline... beh, ho preferito la carica suicida verso lo stendardo avversario. Almeno mi menano in pochi, mi son detto.
Sì, perché lo scopo della battaglia è la conquista dello stendardo avversario! Quindi, se io sono il portastendardo e i partecipanti son cento, equamente divisi (ma non capita mai, i guelfi son sempre di più! ^__-), vuol dire che per tutta la durata della battaglia io ho quarantanove persone che mi danno la caccia. Comprenderete perché preferissi esser menato da due invece che da quindici.
Quindi mi son andato a cercare la morte eroica e... m'ha detto male: Stefano, capo della guardia allo stendardo guelfo, che conosco bene, s'è fatto prendere la mano e, nonostante contassi i miei punti ad alta voce (a 5 colpi ricevuti si andava giù) me n'ha dati un paio di troppo, di cui l'ultimo una gran botta con il taglio della spada (chiaro che si tratta di spade finte... la sua era in lattice) in pieno sul muscolo teso del braccio che reggeva lo stendardo: la botta l'ho presa domenica alle 18, c'ho ancora il braccio giallo e dolorante.
Forse erano meglio i quindici pischelli.

Ad ogni modo, fare la battaglia e poi lo spettacolo non è stato un problema.
M'ero già un po' svegliato con il fatto che eran partiti per il corteo scordandosi lo stendardo ghibellino... son tornato io a riprenderlo, visto che ero rimasto indietro, e poi ho tagliato per le scorciatoie riuscendo ad arrivare in valle Faul in contemporanea all'esercito... Come se lo stendardo aspettasse me, ora che ci penso. ^__-
Psicomagia, psicomagia! =)P
E poi, il ritorno me lo son fatto molto lentamente, chiacchierando di storia con una bambina biondina, adorabile quanto curiosa, Arianna, che dopo avermi chiesto da cosa ero vestito mi fa
"Ma è vero che se vincevate voi ci prendevate tutte le nostre case?"
Ah!
Potenza dei proclami ad alta voce!
^_____^

La sera, durante lo spettacolo, mi vado ad accoccolare in un angolo di pubblico e... voilà, Arianna, esattamente come l'avevo lasciata cinque ore prima, con ancora su le orecchie finte da elfa. Mi fa
"Ma io ti conosco!"
^__^
So' soddisfazioni, ahò!

Quasi quanto quella accaduta la sera prima, sempre al nostro spettacolo...
Noi si è fatto tre spettacoli diversi in quattro giorni.
Al giovedì, "I segreti di Viterbo", lo spettacolo dell'anno scorso.
Venerdì e sabato, "I giullari della vita rotonda", quello di quest'anno, che abbiam fatto anche in Spagna.
E domenica, come vi dicevo, "L'amore degli Zanni", quello di due anni fa.

Se il venerdì m'era capitato, diciamo così, l'incidente di percorso, il sabato invece mi son proprio spaccato.
Per dire in due parole di venerdì, c'è una scena in cui io e gli altri siamo tutti fermi sul posto in posizione a uovo, viso rivolto verso terra, e ci si muove lentamente e di poco. Io sono quello che dice la battuta: una battuta lunga e detta lentamente. E' importante che la mia voce si senta, quindi non posso chiudermi a riccio in un angolo, devo un po' cercarmi il posto in cui 'crollare' rannicchiandomi a uovo: già, perché non si può sceglierlo più di tanto, visto che viene in parte 'scelto' da un'altra persona. Vabbè, fatto sta che venerdì mi rannicchio e mi sposto in un posto migliore con una capriola; mi sistemo, inspiro e...
...mi rendo conto che ho la faccia a un centimetro d'altezza sopra una lastra di pietra totalmente impregnata di piscio di cane.
L'odore di ammoniaca è devastante, e non posso nemmeno spostarmi perché oramai è troppo tardi, tutti si sono fermati, è il momento della mia battuta!
Con estrema sofferenza, mia e altrui (perché la battuta si è allungata anche all'inverosimile, visto che cercavo di trovare il modo di respirare), son riuscito a terminare il tutto, e finalmente a tirarmi su ed a potermi ossigenare!
Ah, il teatro di piazza! Che ti può capitare...
Il giorno dopo è toccato a Sara (Ludyka), ma su di un altro lastrone. ^__^

Ma il pezzo forte... ah, quello è capitato sabato.
Per farvelo capire meglio, però, vi devo dire che quest'anno Vania ha tenuto DUE laboratori di teatro medievale di piazza per Ludika: il nostro, Ludyka, al terzo anno di attività (in realtà il quarto, ma il primo non si conta) e quello con sede proprio a Viterbo, con ragazzi di lì, età media intorno ai sedici, credo, i Ludykantes.
I Ludykantes, da definizione di Vania che loro amano citare, sono "l'ultimo anello della catena alimentare dei giullari". Sono cioè i pivelli, i novellini, al loro debutto quest'anno. E, sebbene su qualche piccolo specifico campo abbiano addirittura qualcosa da insegnare (a noi), vivono un po' col nostro mito, perché è vedendo noi che gli è nata la voglia di partecipare ad un simile laboratorio teatrale.
Bene.
Sabato sera vado in scena, non mi ricordo il momento in particolare, quando in un momento praticamente di silenzio una dei Ludykantes grida a squarciagola, fortissimo

"Marco sei bellissimo!"

Non c'è nessuno di noi che si chiama Marco.
Gelo.
Tutti fermi.
Siccome l'ultimo ad aver parlato, quello che stava al centro della scena insomma, beh, ero io, credo di aver timidamente indicato me stesso.
Lei ha annuito vigorosamente. #^__^'#
Con un filo di voce ribatto "Ma io non mi chiamo Marco..." e subito (figurati!) tutti i miei compagni in coro

"Ma lui non si chiama Marco!"

Lei è diventata paonazza, mentre io, colto da ispirazione, concludevo

"Però a me chiamarmi Marco per questa sera mi sta benissimo!!!"

Risate generali.
Non so perché, ma io a lei più tardi la sera e il giorno dopo non l'ho mica vista... ^__^


Per il resto, gli spettacoli son andati bene se non benissimo.
A parte il primo, che uscito fuori una sorta di Frankenstein/patchwork perché nessuno - VANIA in testa - se lo ricordava bene, ed abbiamo abbiamo mischiato, tagliato, miscelato, giustapposto, anticipato, posticipato, inventato... talmente tanto che a) nessuno c'ha capito un cazzo, ma b) si son tutti divertiti perché era impossibile ricollegarlo a quello dell'anno scorso! ^_^
Ci son state scene rimesse a forza dopo che erano saltate, anticipi di trama, salti spaziotemporali della trama, pujacche completamente inventate, pezzi lanciati a caso... ci siam divertiti, però!
E niente panico!
A me, che di solito mi prende il coccolone pre-andata in scena, m'è salito un po' di nervosismo solo la domenica.
Ma, capirete, dopo una giornata passata con due di pressione e la presenza intellettiva di un criceto narcotizzato... senza contare che non c'era Vania!
No, perché lui è partito domenica mattina per Bali, dove con Ygramul son andati a studiare il teatro balinese ed a compiere azioni di disturbo/sensibilizzazione sul tema della pedofilia... e la stragrande maggioranza delle donne del gruppo Ludyka è un po' preoccupata... Lalla ha continuato a chiamare Vania per un paio di giorni dopo che se n'era andato.
Anche perché gli abbiam fatto un paio di regali: beh, il primo erano gli arretrati di molte mensilità del laboratorio mai pagate. Avere soldi è sempre schifosamente utile.
Ma gli altri due erano una scatola di regali da regalare (volendo) a sua volta a chi avesse incontrato lì, a sua discrezione, ed una scatola con su Il Piccolo Principe, da aprirsi e 'pescare' in caso di emergenza. Si tratta di una scatola che contiene tutti biglietti scritti da noi con delle frasi/consigli da pescare a casaccio in caso di emergenza.
Tipo: t'hanno arrestato, messo in carcere e sodomizzato?
Apri la scatola, ne peschi uno e leggi, che so, "Vai a destra".
Io trovo che sia spassoso.
^__^

Ad ogni modo, il sostituto di Vania è stato Gabrivania Casteltacchi; grazie al cielo non ero io.
E se l'è anche cavata: era possibile che, essendo uno di noi, degli attori del gruppo, fosse assai più facile metterlo in discussione, contestarne l'autorità.
Qualche borbottìo a parte, non è stato così.
L'unica, forse, è stato che nell'abituale riunione POST-spettacolo praticamente nessuno se l'è filato. Come autorità coordinatrice, almeno.
E non se l'è cavata male nemmeno con gli interventi di 'supporto' quando c'era da 'salvare' un po' la situazione (grazie al cielo non l'ha fatto sul mio inizio lento - che quelli sotto al telone dove si schiattava dal caldo m'avrebbero fatto volentieri la pelle! - dove mi son preso il gusto di provare un ingresso in scena diverso dal solito), né col coordinare la musica dei musici coi momenti giusti dello spettacolo.
Ah, sì, perché per due tre giorni abbiamo avuto anche la musica di accompagnamento da parte di un ensemble di tutto rispetto! ^__^
I quali tra l'altro ci han chiesto di andar su in Val d'Aosta il 4 agosto, che c'è una specie di festival... =)P
Io prendo le ferie proprio il 4, ma non avendo capacità giocolaresche a parte un pizzico di spericolatezza acrobatica e qualche dote d'attore, non credo di salire. Quest'anno il rimborso spese che garantiscono è talmente esiguo che tocca mandar su i migliori.
E se c'è da far fiamme, tocca che sale su Federichino...
Quando sputavano fuoco lui e Omar sembrava di vedere il manuale di D&D sulla distinzione tra i diversi soffi di drago: a raggio, a cono... ^__^


Quindi, volendo tirar le somme di questa Ludika, è stata bella e massacrante.
Al di là di qualsiasi evento ulteriore che mi ha pur spinto alla riflessione ed alla crescita attoriale e no, se c'è una lezione di cui s'è preso atto quest'anno è che bisogna riuscire a conciliare l'organizzare e il gestire la manifestazione con il godersela.
Noi, da un paio d'anni, non ce la godiamo più.
Sono distanti i tempi in cui il caravanserraglio elishiano si occupava, sì, in parte, di gestire i giochi e la piazza e di far anche qualche spettacolo la sera... Ora, il Laboratorio Ludyka s'è mangiato il tempo e lo spazio di Elish e non solo: quello delle pause, delle chiacchierate... delle partite di Elish come di quelle a Skullball, a Roverino, delle cacce al tesoro e dei live in generale, di tutte le attività organizzate che noi stessi magari abbiamo contribuito a organizzare, o a rendere possibili.
Non ce la godiamo più.
E quando le cose cominciano così, secondo me una manifestazione del genere muore. Schiacciata sotto il peso dello stress che induce.
Il teatro e le giullarate mi/ci divertono (credo), sì, ma forse non bastano. Non possono bastare o finiranno col trasformare Ludika in un festival di teatro. Come alla fin fine ha finito col proporre Federichino, quando ha proposto a Serenella di spargere la voce (ed aprire) agli artisti di strada. Per quanto la sua proposta fosse quella di chiamare gente motivata e soprattutto in tema, attratta dalla libertà di "far cappello" (cioè raccogliere le offerte nel berretto, come abbiam fatto anche noi per due sere), alla fine vuol dire possibile invasione delle strade e delle piazze non troppo vincolata ad un coordinamento e magari pure guerra al "far cappello" tra l'uno e l'altro, perché la gente mica può svuotarsi continuamente di spicci!
E addio atmosfera familiare di questa festa...

Così, alla fin fine, lo stand di Elish quest'anno ha praticamente solo rubato spazio alla piazza, ad un altro stand che avrebbe potuto essere posizionato lì.
E noi continuiamo a portarci comunque appresso l'iradiddio di materiale.
Voglio salutarvi dunque così, con l'inizio dell'odissea.

Teatro Ygramul, mercoledì 27 giugno pomeriggio.
Arrivo, e di fronte a me si staglia una parete (non sto scherzando!) di roba lasciata da Vania, da portare a Viterbo.
Siamo tre macchine e cinque persone. Qualcosa non quadra: tutta quella roba non c'entra!
Cerco di studiare una sistemazione razionale per dare una soluzione al problema, mentre Fefé (Federicone) la prende al suo solito modo
"Vabbè, la sistemiamo, c'entrerà, vedrai, che sarà mai..."
Detesto questo approccio facilone.
Detesto anche di più quando ha ragione.
Detesto ma proprprio detesto quando ha smaccatamente ragione.
Trovo insopportabile quando non solo ha smaccatamente ragione, ma quando mi dimostra per l'ennesima volta che ho sempre torto riguardo al caricare le macchine con le cose di teatro o di Elish (esiste una sorta di assurda legge della compressione della fuffa: "se serve ad Elish che essa sia trasportata, entrerà") o peggio - come in questo caso - quando dimostra che sono un miracolo d'imbecillità.
Già, perché erano mesi che non mi si apriva il portellone del bagagliaio e... beh, a quanto pare m'ero semplicemente scordato come si fa ad aprirlo.
-__-'
Quell'uomo comunque a forza di stare in Irlanda deve avere del quadrifoglio che gli cresce sul culo... ^__^

Vi spiego: immaginatevi due scatole di cartone enormi, tanto da essere ribattezzate 'le torri'. Immaginate Federico che riesce ad infilarne una DI SBIECO nel mio portabagagli vuoto.
CHIUNQUE avrebbe detto che stava stupidamente sprecando spazio!!!
E invece, una busta di qui, una scatola di là, una spintina, un calcio per smussare un angolo... il maledetto è riuscito a far entrare tutto, e da qualche parte avanzava persino spazio!!! 0__o

Persino 'il nano', un pupazzo di juta e tubi semirigidi di plastica, di quelli da hula hoop, che è ingombrante un casino, ha trovato sistemazione nella mia auto, al posto del passeggero...
Solo sul GRA, al momento d'imboccare lo svincolo per la Cassia Bis, mi sono accorto che mi ostruiva completamente la visuale!
^__^
Ma la cosa in assoluto più divertente del viaggio, è stato il traffico sul GRA.
Mi spizzo una tipa carina ferma due file di distanza da me, in macchina col ragazzo, e lei spizza verso di me.
Sposta la testa avanti, ma il ragazzo accelera, allora la sposta indietro, per vedere bene... non capisce. Ma quando ha ben libera la visuale...
Siamo sbottati a ridere insieme, a crepapelle. Lei a vedermi con la macchina in quello stato, io a immaginare lei come mi vedeva.
E quando un paio di minuti più tardi (dopo esser stati separati da un camion) ci siam trovati finestrino/finestrino, abbiam ripreso a ridere più di prima.
E così con la macchina con le due more...
E così con la macchina della biondina...
E così....
^____-


GrimFang

TySOn

Mio fratello è ricoverato.

Trattamento Sanitario Obbligatorio, da cui il TySOn del titolo di oggi.

Una mazzata, insomma.

Inaspettata, arrivata al ritorno da un’edizione di Ludika che per me è stata particolarmente faticosa.
Eravamo a scaricare la roba al teatro, ho chiamato mia madre per farmi accendere la doccia e, tac!, ha chiuso la conversazione con questa bella notizia.
Mia madre è molto dura quando cerca di difendersi dalle emozioni.
Aveva un tono di voce… marmoreo.

Lì per lì stavo per piangere, ma invece il pianto – proprio io che passo il tempo a dirmi quanto sarebbe bello riuscire di nuovo a piangere per queste cose – l’ho represso andando subito a cercare l’appoggio di Lalla, Gab e Federichino che erano lì con me. Avrei voluto un abbraccio collettivo, ma è bastato quello di Lalla.
Una grande, Lalla.
Ti voglio bene, per le attenzioni e il messaggio che mi hai mandato stamattina. Ora so che la tua è un’ottima spalla per piangere.

Tutto sembrava essere precisamente ordinato.
Mio fratello, che di testa sta male da tempo – si parla di anni – ha cominciato a trascendere intorno a giovedì, quand’ero partito già per Viterbo. Per due o tre giorni è stato male, è persino venuto a dormire da noi, in camera mia (lui, che se n'era andato a 19 anni dicendo che non ci avrebbe più messo piede - ora ne ha 37). Mamma, in quell’occasione, si è barricata nel bagno ed ha dormito per terra, perché mio fratello ce l’ha soprattutto con lei ed era evidente da prima che venisse che quel giorno non stava niente bene.
Io che lo so, non mi sarei affatto stupito se l’avesse aggredita. Magari a parole.
Ad ogni modo fa anche a me decisamente impressione che mamma abbia dormito nel bagno. Oddio, non è che potesse far tanto altro: a casa mia non ci sono chiavi o chiavistelli alle porte, tranne che al bagno. È stato praticamente sempre così.
Poi, sabato, dopo una notte piuttosto insonne, mio fratello s’è fatto accompagnare da papà all’ospedale per farsi delle analisi – era convinto di avere qualcosa all’intestino – ma già da come si è spiegato all’accettazione l’infermiere ha capito che c’era ben altro di grave. Il che era confermato dalle espressioni di mio padre, che stava dietro di lui…
Ad ogni modo, gli esami glieli han fatti comunque: non si può mai sapere, magari aveva anche ragione. Ma all’esito evidentemente negativo han chiamato la psichiatra, che è riuscita a dargli un calmante ed a farlo ricoverare, reparto psichiatria.
Gli han levato i lacci delle scarpe, tolto qualsiasi cosa con cui potesse farsi male, ed ha passato la notte lì. Il giorno dopo se ne voleva andare, gliel'hanno sconsigliato, s'è agitato e gira che ti rigira l’han preso su in quattro, rimesso a letto e sedato. È stato allora che gli hanno spiegato che è in ricovero obbligato.

Ecco, è stato or ora al telefono con mio padre e a quanto pare se l’è scordato. Papà dice che se lo dimentica quando vuole. Mamma che da lì comunque se ne vuole andare.
Sfido: credo che chiunque vorrebbe lo stesso – capirai, chissà chi c’è in quel reparto da dieci stanze… Ma anche volendo non si può far nulla: nessuno al di fuori dell’ospedale ha deciso per il ricovero, che in questi casi è obbligatorio e prescritto dalla legge.
TySOn, appunto.

Tutto questo me lo son fatto spiegare dopo, dai miei, con un certo sforzo di coraggio.
Bisogna avere il quadro chiaro, mi son detto, per capire le cose. Per prepararsi ad affrontarle.
Perché l’unica cosa che si può fare è andarlo a trovare, e mi toccherà, prima o poi.
Come mi ha detto Camilla, l’unica lì a lavoro con cui me la son sentita di confidarmi - non si può far finta che tutto scorra come al solito, bisogna pur dirlo a qualcuno (lì per lì l'ho detto solo a Sergio) - devo andarlo a trovare, non si deve sentire né solo né abbandonato.
Giustissimo.
Mi piace, Camilla. Le avevo parlato già di mio fratello il giorno in cui l'avevo accompagnata a vedere una casa da comprare qui in zona da me.
...Ha il ragazzo.


Ma io devo affrontare mio fratello nel riconoscimento ufficiale della sua malattia: comunque vada, 'recluso' in ospedale. Ed il pensiero non è che mi vada tanto giù.
Devo entrare a cercarlo in un reparto di psichiatria. In ospedale.
Certo, non sono i manicomi di fine ottocento.
Non troverò gente legata al letto e con la bava alla bocca intenta a strillare frasi senza senso.
Sedare, come giustamente mi ha fatto notare il mio psicologo, è cercare di ristabilire chimicamente un equilibrio in una persona affetta da squilibrio mentale.
Non troverò un fratello inebetito e demente, ma un fratello lucido magari vagamente assonnato.

Io questo l’ho già visto, l’ho sperimentato con Chiara, quando prendeva i farmaci.

Allora forse ho paura di trovarlo in realtà non sedato: fuori controllo, febbricitante, intento a enucleare i cardini di quello che per lui è ‘il complotto’ ai suoi danni, orchestrato per vie eccezionalmente machiavelliche da mia madre…
Eppure, lui stesso in quest’ultimo mese non faceva che domandare se era pazzo.
Continuare a proporre l’idea in mille forme, come “se queste voci non fossero vere allora sarei pazzo” e così via. E questo è un segno di coscienza del proprio stato.
E le cose ora, ovviamente, non possono che andar per il giusto verso, ora che è seguito e curato. Che non è più lasciato a se stesso.
Tutto sembra dunque, visto da questo punto di vista, essere andato per il meglio – e non poteva accadere prima di questo delirio senza traumi maggiori, come nel caso di un ricovero forzato deciso da chiunque di noi – tanto che ho ringraziato i miei per non avermelo detto fino al mio ritorno.
Mia madre ha risposto che non ci ha proprio pensato, ma se anche fosse non fa differenza; e poi, mia sorella l’ha avvisata eccome.
Tra l'altro, il tutto rivelato di lunedì, un'ora prima che andassi dallo psicologo (e ci vado una volta ogni DUE settimane), che m'è stato parecchio di supporto.
Viva viva le energie positive!


Adesso, mi sale la voglia di sentire come sta Chiara, di vederla, di farci l’amore anche.
Farle sapere di mio fratello, di come sia andata peggio, a lui, di come io con lui non sia riuscito a fare quel che ho fatto con lei: riuscire a fargli superare la paura di andare dallo psichiatra.
Lei può capire mio fratello come sta. Forse persino spiegarmelo.
Ma questo desiderio altalenante che oscilla tra l'ipotesi di risolvere il più grosso nodo in sospeso che ho e quella di perdermi per sempre, nuovamente, nel delirio delle sue paranoie, non riuscirà a spingermi ad invitarla a venire con me da lui (ipotesi pur vagheggiata). Come non mi trattiene del tutto l'idea di soffrire a vederla prodigarsi entusiasta in sforzi pateticamente inutili, dettati solo dalla felicità di avere un mezzo a disposizione per riprendere i nostri rapporti, come credo farebbe.

Chissà. Forse tutta l’esperienza – e il dolore – che ho passato con Chiara sono serviti solamente a prepararmi a questo, che era già inevitabile.
Come se esistesse davvero un disegno preciso nelle cose della mia vita. Non un destino; ma un vero e proprio disegno: ordinato nel caos, come nelle evoluzioni dei frattali.
I frattali come custodi del segreto della vita…
Prima che il Digia mi accusi di virare sulla psicomagia, meglio tornare al mio discorso.


A proposito degli ospedali, pare che abbia esagerato le condizioni di mia nonna.
Per fortuna non sembra essere ancora giunta al capolinea: sta male, c'è l'infezione, non può camminare, è immobilizzata a letto e si lamenta, ma da qui a morire ancora un po' ce ne vuole.
Mia sorella sostiene di non aver mai detto nulla del genere, dice lei, ma io ricordo bene che era stata piuttosto chiara...
Mah: non è così matematico come credevo, allora, grazie al cielo.
Per ora ho ancora la mia nonnina.
E, sempre per quanto riguarda gli osdpedali, tra un po' anche mia sorella ci entrerà, ma per dare alla luce Niccolò, il mio ormai prossimo futuro nipote.
Però.
Avrò un periodo con nonna, fratello e sorella all’ospedale. Non capita a tutti, eh?

Ma andare a trovare mio fratello al reparto psichiatrico non sarà una passeggiata.
Credo che andrò venerdì.
Il dolore mentale, è come se fosse un tallone d'Achille, un punto vivo.
Battere con la lingua dove il dente duole.
Ciononostante, credo di stare affrontando tutto nel bene e nel male, in modo piuttosto equilibrato, giusto per restare in tema.
Lo andrò a trovare, perché so che lo farò, anche se la mia vita continua a scorrere lungo i suoi personali binari: il prossimo fine settimana andrò a Pescara, il 13 alla laurea di Corinna…
E nel frattempo cresco, come uomo e come attore.

Sì, anche come attore. Non come ha un po’ brutalmente detto Federichino, però.
Non vi sembri una cosa insensibile, no, è che mi sono accorto che recitare mi fa bene.
All'inizio di questa esperienza, tre anni fa, avevo il terrore d'impazzire. di perdermi, nelle mille maschere del teatro, che il teatro ti fa indossare.
A me, che mi sento l'identità fragile già di mio, il teatro poteva sembrare il colpo di grazia. E invece...
Invece ho scoperto che il teatro può aiutare a trovarmi, più che a perdermi.
Oggi più di tre anni fa, grazie al teatro e alle sedute dallo psicologo, ho molti meno problemi ad affrontare le mie paure, i miei piccoli e grandi drammi.
Il ricovero di mio fratello - anzi: la notizia del suo ricovero e la mia reazione a questa notizia, hanno portato al pettine dei nodi che credo importanti nell'arco di cinque minuti.
E' dunque in quest'ottica che parlo dell'attore: come specchio di ciò che è l'uomo di cui esso consiste.

Se un attore è un bicchiere mezzo pieno, di volta in volta riempito fino all'orlo da ciò che è lo spettacolo, il personaggio, il contesto, allora confrontare me stesso con tutte le volte che sono andato in scena può aiutarmi a trovare le mie cifre indelebili: stabilire chi sono, vedere il bicchiere mezzo pieno.
Vedere il bicchiere mezzo pieno.
Non credo sia un caso.
Stare in scena, al di là del piacere degli applausi come risposta di apprezzamento da parte del pubblico, è il piacere di essere punto e basta.
Ci sono. Sono qui. Esisto. Vivo.
Non ci dev'essere allora la paura di perdersi in ciò che di volta in volta è labile e diverso, il bicchiere vuoto; ci dev'essere la curiosità di trovarsi, in quel bicchiere mezzo pieno che è fatto di sé, di spinte, di motivazioni, di emozioni e di entusiasmi.
Per cosa mi entusiasmo? Cosa mi emoziona? E che emozioni mi dà? Che fisicità ho?
E non: in che fisicità mi trovo bene, che emozioni mi piace avere o far vedere, come faccio ad avere entusiasmo.
Se su di un palcoscenico tutti i problemi e le paure della mia vita di tutti i giorni restano fuori, allora quelli non fanno realmente parte di me. Perché non sono inscindibili da me. Posso farne a meno.
Quindi il teatro può servire, nell’affrontare le mie paure, a ‘purificarmi’: andare in scena può essere un lavacro dai problemi, dagli stress, dalle paure personali che NON fanno parte di ciò che si è.

Sulla parete del teatro Ygramul c’è una scritta con lo spray rosso che cita Antonin Artaud. Dice che fare teatro è impossibile, perché servono attori che non abbiano paura di essere accoltellati.
M'era sempre rimasta estranea: da lunedì pomeriggio mi sembra all'improvviso di capirla.
Almeno un po'.


GrimFang