L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

giovedì 26 aprile 2007

Meno di 24 ore alla Spagna...

Questo post poteva intitolarsi in un milione di modi... Ad esempio, "23.536 caratteri" che sono quanti, alla fine, sono rimasti nel mio secondo racconto per il trofeo RiLL, che ho spedito stamattina dopo una simpatica fila alla posta... Oppure, "50 dilettanti allo sbaraglio", per non fare poi del tutto giustizia agli spettacoli di ieri sera... O ancora, "Lo strano sogno di Monsieur Magique", per raccontarvi di un sogno pazzesco che ho fatto l'altra notte.

Già, perché mi sono sognato, e vi racconto ovviamente solo i frammenti che ricordo, qualcosa che aveva a che fare con il teatro, la mente, la magia e la vita.
Per la gioia del Migliore, si è trattato di un sogno lucido. Il primo della mia vita.
Sapete che cos'è un sogno lucido? No?
E' un sogno nel quale tu sei perfettamente a conoscenza di star sognando, ma NON sei sveglio. Percepisci quello che ti accade intorno: le voci, i rumori, hai persino una percezione della stanza; ma stai a tutti gli effetti dormendo.
Bene, la prima cosa che ricordo è lo voce di Vania - solo la voce - che mi guidava dentro quello che sembrava un albergo anni '30 (o similia) fino a un salone laterale, fate conto un luogo poco frequentato vicino ad una di quelle grosse hall o sale d'aspetto... di quell'ambiente parzialmente di passaggio, quello che ricordo è che c'era una grossa colonna di pietra, tipo di quelle che possono anche sostenere uno scalone che va verso i piani di sopra, con accanto una specie di... diciamo cabina del telefono in legno massello laccato di un marrone scuro ma brillante. Dietro, tanta luce naturale veniva dalle finestre enormi, serrate. Non ho nemmeno fatto caso se ci fosse il telefono, lì dentro, perché seguivo la voce che mi guidava e mi portava a notare una minuscola fessurina al suo interno, tra il pavimento e la parete che toccava la colonna.
Questa fessurina, era... incorniciata da un particolare risvolto del legno, che formava una specie di arco. Una specie di... porta senza ante, ma minuscolissima. Solo una volta a ginocchioni sul terreno si riusciva a vedere che sul risvolto morbido che faceva il legno - che formava poi la "volta" di questo arco - c'era una lunga iscrizione, scritta a caratteri talmente minuscoli che era impossibile da decifrare. Per farvi capire, sembrava di guardare la scritta che c'è dentro l'Unico Anello.
La voce di Vania mi esortava ad entrare lì dentro, come si trattasse di una cosa della massima importanza.
Lo dovevo fare, e l'unico modo per riuscirci era quello di farmi piccolo. Minuscolo. Più piccolo ancora.
Quindi, carponi sul pavimento, comprendendo decisamente che con le leggi della fisica, razionali, non sarei mai entrato, le abbandonavo, e mi concentravo piuttosto sulla volontà, la concentrazione: la determinazione a diventare... atomico. Grosso come un'atomo.
Non so, forse errore di valutazione, forse non ho usato tutta la volontà necessaria.
Fatto sta che riuscivo, sì, a diventare più piccolo, minuscolo, ma non abbastanza.
Nello sforzo, riuscivo a rendermene conto, e provavo a sforzarmi di più per diminuire le mie dimensioni, confrontandomi sempre con l'ampiezza della porta (forse era questo l'errore), ma quando provavo a passare venivo ogni volta morbidamente respinto indietro.
Dopo tre o quattro... chiamiamole "pulsazioni" (in cui le mie dimensioni s'ingrandivano di poco nell'atto di ridurle ulteriormente con un nuovo sforzo da parte mia), cedevo per la fatica e tornavo a dimensioni normali. E mi voltavo, ancora carponi, per scoprire una figura alta, pelata, leggermente inclinata a guardare, sconcertato, che cavolo stessi facendo là dentro.
Si trattava di uno del personale dell'albergo.
Sentendomi "beccato", un po' tra la vergogna e l'imbarazzo, capivo che non avrei potuto insistere oltre. Così, mi alzavo, sorridendo di circostanza, e (forse) venivo da lui incoraggiato a rispondere al telefono, che si trovava su di un mobile di legno che correva lungo la parete bassa (il 'sottoscala' dello scalone che vi dicevo prima) in una zona un po' più in ombra del grosso salone (proprio di fronte all'ingresso della cabina del telefono).
Vdo, alzo la cornetta e sento una voce, disperata, spaventata: la mia.
Immaginate di poter prendere la vostra parte paurosa, paranoica, di poterle dar voce in una crisi d'ansia (non vero e proprio panico), che balbetta terrorizzata frasi scoordinate: insomma, un me stesso privo di certezze, di riferimenti. Ecco, quella era la voce che sentivo. E poi ne sentii altre, come la mia prive di corpo ma - mentre per la mia sembravo riuscire ad immaginare un corpo - queste le immaginavo come se fossero... proiezioni di una distante corporeità. Per chiarire, come se io che le ascoltavo al telefono sapessi che non erano là dove la mia voce terrorizzata si manifestava. Ascoltavo le voci di un luogo in cui c'era un me stesso e solo quelle altre voci, che parlavano da un altro luogo ancora. E dicevano a lui (ne ho associata una ad Antonio, uno dei ragazzi di Ygramul) che aveva fallito e non era riuscito a passare sotto la porta, nella fessura.
Adesso, chiaramente ero io nel salone a non esser passato là sotto, ma tra me e me/quello che si lamentava al telefono non c'era ovviamente differenza!
Comprendevo in quell'istante che il luogo che ascoltavo all'apparecchio era ciò che avrei trovato se fossi riuscito a passare nella fessura; non solo: se fossi riuscito a passare, mi sarei ricongiunto e fuso con quell'anima paurosa, ed avrei sconfitto in un istante le mie paure, perché avrei unito la parte instabile con la parte stabile che la poteva confortare, senza mai più far prevalere l'una o l'altra. Comprendevo il mio fallimento, la sua portata.
Ma le voci dicevano anche: se non sei riuscito a passare sotto la porta, ci toccherà farti volare.
Ed io, nel salone, mi sentivo afferrare da mani invisibili fatte di energia, potenti, una sulla collottola ed una sulla cinta, da dietro, e venivo sollevato in aria e portato verso le vetrate delle grandi finestre, che si spalancavano.
Ero perfettamente tranquillo (chiaro, non era la parte paurosa di me) e anche divertito, e mi chiedevo, con solo un accenno di preoccupazione, se una volta superata la balaustra mi avrebbero lanciato - e sarebbe toccato a me cavarmela e imparare a volare - oppure avrebbero continuato a sorregermi. Ad ogni modo, sapevo che lo facevano per il mio bene.
A questo punto, è cominciata la lotta per mantenere il sogno lucido.
Ho cominciato a sentire le voci dei miei nell'altra stanza, nel corridoio, credo, ed il sogno è cambiato.
Durante una delle prove a teatro, Vania ci ha fatto fare un esercizio di "discesa nel sé". Sdraiati, si visualizzano venti gradini, che scendono dentro di sé fino ai piedi. Ad ogni cinque gradini corrisponde un'età, dei ricordi per immagini. E' la memoria del corpo, non quella della mente.
Si tratta - tra l'altro - dell'unico esercizio di carattere, diciamo così, introspettivo che abbia avuto un qualsiasi effetto sul sottoscritto. Quando lo abbiamo fatto, in un lampo ho sentito la mia presenza nei piedi: in un anno di esercizi T'ai C'hi non ho mai ottenuto un effetto simile.
Ecco, mi son trovato a fare quell'esercizio.
E, anche partendo da alcune notazioni successive ad allora, questa volta mi son mosso quasi liberamente a piacere nel mio corpo. (Tra l'altro risalendo troppo lentamente la prima volta mi si è anche chiuso l'occhio sinistro: son dovuto ridiscendere dentro e risalire più in fretta per riuscire a riaprirlo - magari ve lo spiego meglio un'altra volta)
Il succo di questo momento, tralasciando i particolari, è che, per la prima volta (e di nuovo gongolerà il Migliore, con cui facevamo le 5 di mattina a parlare di esperienze extracorporee e cose simili) ho sentito aprirsi il mio terzo occhio.
Uno non ci crede davvero finché non gli capita. E non è nemmeno chissà che: è solo un tipo particolare di vista interiore. Diversa, più nitida. Non è che vedi veramente le cose che hai intorno, come con gli occhi reali, ma hai la sensazione di una facilità maggiore, di una visuale panoramica non vincolata agli ostacoli della tua carne, come ad esempio il naso, ben oltre i 180 gradi. Limpida, serena, senza sforzo, come se il tuo fuoco ottico fosse il centro del cervello. E santo cielo, ti senti proprio purificato. Ti dà un mare di serenità.
E quando s'è aperto, è stata una sensazione come... se la pelle si scartocciasse per lasciargli spazio. Come se... avete presente le animazioni in plastilina, quelle col pongo a passo uno? Ecco, la carne è di una materia simile, secca, come la carta, anzi, come i fogli di alluminio. Si ritira, si apre, lascia lo spazio a questo che non è un vero occhio, ma un'apertura mentale. Senti il tuo sguardo che si 'solleva', a posizionarsi un paio di centimetri più in alto, e manda gli occhi - organi non più coinvolti - a riposarsi. E questo lo immaginate da soli che è una vera goduria, considerato che li muoviamo anche nel sonno!
^__^
Infine, da non so quando, nel mio sogno, ho iniziato la lotta per mantenere il sogno lucido. So però che mormoravo come un mantra, per tenermi agganciato alla dimensione onirica, una parola.
Psicomagia.
Probabilmente ne ho parlato con Viviana a cena, lunedì, sì, ora me lo ricordo. Si parlava, appunto, di Jodorowsky, e di come volessi comprare il suo testo "Psicomagia" e me ne sia sentito spaventato, fino ad optare di non prenderlo. Ne avevo già sentito parlare, spesso, ma ancora oggi non so darvi una definizione esatta del termine. Cercatevela su Wikipedia.
Fatto sta che a marzo lo spettacolo sui tarocchi (basato su di un altro libro di Jodorowsky) che han fatto al B5 - e in particolare la descrizione del tarocco "L'Appeso", nel quale mi son visto ritratto - mi aveva messo una gran voglia di leggere cose di questo autore.
Insomma, la parte finale del sogno era sull'aereo per la Spagna.
Andava a fuoco un motore, e si diffondeva il panico.
Io mi alzavo, sempre mormorando "psicomagia" e mi portavo all'altezza di un oblò da cui potevo vedere le fiamme. alzavo un braccio con la mano rivolta verso l'alto, palmo aperto, e cercavo di convincermi di poterlo fare. Psicomagia.
Chiudevo il pugno e giravo la mano verso il basso, ed il fuoco si estingueva.

Sarà un presagio?
Di che tipo?
Come tornerò cambiato dalla spagna, se tornerò? ^__-
Una sola nota a margine.
Da qualche parte nel sogno c'era anche Valentina, del mio gruppo di teatro.
Ma era magra come si conviene, acchittata con un tailleur grigio e veramente, veramente una grandissima gnocca.
Gliel'ho detto - guarda caso lei ha proprio iniziato una dieta - e giustamente si è esaltata.
Staremo a vedere.
Ci sarà un perché, se mi chiamavano mago.
^__-


GimFang

1 commento:

Anonimo ha detto...

Inboccalupo!!!
E buon viaggio!!!
Bacio sul terzo occhio ^_-