L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

martedì 19 agosto 2008

Istanbul e lo stile

SCENA:
Io, in camera mia, apro l'armadietto per mettere a posto il fumetto appena letto. Quindi prendo la maniglia d'ottone, avvitata nel legno e stretta dall'altra parte da un bullone e una rondella, e tiro. Dentro non c'è molto spazio, quindi opto per provare a vedere nell'altro armadietto, ma questo non lo chiudo: lo lascio aperto ad angolo retto, perfetto. Mi volto anch'io nell'altra direzione (sportello aperto precisamente alle mie spalle) e faccio per fare un passo, ma mi accorgo di un'ostacolo: a terra c'è un attrezzo elettrico di quelli che fanno luce e, all'interno o appesi all'esterno, fanno strage di falene e a volte anche di zanzare. E' disposto esattamente di fronte a me, ed è grosso come una valigia. Lo scavalco. Mi giro nuovamente verso la parete degli armadietti e apro il secondo armadietto. La situazione qui è peggio del primo: quindi chiudo l'armadietto e torno a collocare il fumetto nel primo armadietto.
...
...e puntualmente inciampo nella valigia antizanzare, cado in avanti perfettamente rigido e, spettacolarmente dritto per dritto, colpisco in piena fronte l'avanzo di vite, il bullone e la rondella che fissano la maniglia del primo armadietto, da me disposta così inusualmente a perpendicolo.
Nonostante il dolore cane, per terra mi rotolavo dalle risate.
Non potevo fare a meno di pensare a un Buster Keaton cacciatore che piazza la trappola e poi cade nella sua rete...

A parte l'ennesima botta in fronte testé rimediata sullo spigolo della ringhiera mentre innaffiavo le piante (l'altro incidente risale a giorni fa, avevo un ficozzo che sembrava un corno caprino...) la mia testa m'impone attenzione anche per altri motivi.
Non solo perché devo (in ordine sparso):
- scrivere la sceneggiatura del mio corto e darmi da fare per realizzarlo (specie dopo aver visto - li sto catalogando ora - un mare di corti degli allievi di qui dentro di un decennio a questa parte)
- scrivere il resoconto dell'ultima partita che abbiamo giocato ai "fantasmi giapponesi"
- scrivere un articolo per la rivista Tangram che ci pubblicherà, per l'appunto, una serie di scritti sulle nostre esperienze di gioco
- scrivere qualcosa di più corposo per una piccola autoproduzione elishiana da vendere a Lucca
- scrivere questi "maledetti" tarocchi; cioè inventare un mazzo per Elish, immaginandolo nel dettaglio, ma primariamente scrivere un micro-manualetto d'uso su come leggere i tarocchi di Elish anche nella nostra vita reale
- scrivere il copione (finirlo, visto che è incompleto) ch'è stato parzialmente utilizzato nello spettacolo di quest'anno del nostro laboratorio di teatro
- scrivere quanto più possibile su quel personaggio (e la sua spalla) della Commedia dell'Arte che mi è venuto in mente tornando da Avignone (perché sembra avere ottime potenzialità)
- scrivere e continuare a scrivere per il mio romanzo.

Il resto lo tralascio che la lista è già lunga quanto basta.
Ma proprio a questo proposito, mi è d'uopo dire che non solo le botte in testa e le cose da fare con la testa sono motivo per me di preoccupazione riguardo alla stessa.
Eh già.
E' che ce n'è una terza! (Fonte di preoccupazione)
Vedete, ci abita la gente. Dentro.
Sì, sì, sennò come si spiega che Istanbul, un paio di post fa, mi commentasse così
"Bello tornare da queste parti. Lo stile non si impara!"?
Cos'è, telepatia? Tele-blog-ia?
Eh no! Se poi ci si mette anche Gabriele - che guarda caso nei miei link a fondo pagina è indicato come "mio fratello nello stile" - chiede un post a gran voce proprio mentre scrivo, la cosa puzza!!! Anzi, preoccupa!
Infatti, nel caso, quanto dovrei far pagare d'affitto? Poco o tanto, visto che la casa è vuota?
^__^

Il fatto è che è davvero un po' che medito di scrivere un post sullo stile, e che proprio a cavallo di questi due interventi m'ero deciso.

Tutto è cominciato con una frase che reiteratamente Furio Scarpelli m'ha detto:
"Devi trovare il tuo stile"
Ha continuato ad echeggiarmi nella mente fino a prendere il suono e la consistenza de:
"Usa la forza, Luke!"
Persino la voce sembrava diventata quella di Alec Guinness. O meglio, del suo doppiatore.

Ma cos'è lo stile?
Anzi, ma che strabicazzo è lo stile, come sono arrivato a chiedermi.
La prima cosa che m'è venuta in mente, e da cui ho ricavato poi una possibile lettura, è la moda.
Stile, stilista.
Lo stilista ha stile? Cos'è lo stile di uno stilista? Perché si usa proprio quel termine per un creatore di moda?
Improvvisamente mi sono ricordato delle discussioni che avevo fatto a proposito del dialetto come un abito, la lingua come un vestito.
...Paolino, lo so che ti senti solo nella triste Francia, e ci manchi, ma questo NON era un doppio senso. No, inutile che ti giustifichi, non è nemmeno l'origine dell'espressione "cappottino di saliva".
Lo stile, è qualcosa che si può indossare.
Come mai? Se io scrivo e Furio mi dice che devo trovare il mio stile, vuol dire che, per così dire, adesso come adesso sto usando lo stile di altri. Come un dialetto. Posso impararne le inflessioni, indossarlo. Viverlo.
E a questo punto, non può che venirmi in mente Gabriele: in particolare la frase che gli rivolse Alessandro
"Tu fai venì voja de fumà. Ma no de fumà e basta, fai venì voja de fumà come fumi te!"
L'ho resa più romanesca di quanto era, ma il senso è tutto lì. Ovvero, fai venire voglia di copiare il tuo stile (di fumare). Anzi, d'indossare il tuo stile come fai te. Il portamento, la classe.
Infatti, se quel link si chiama 'mio fratello nello stile', non è affatto perché i nostri stili siano paragonabili, anzi. E' proprio perché quello è un aspetto che appartiene ed identifica Gabriele: quell'uomo ha classe.
E qui si pone un dilemma.
Lui, lo stile, ce l'ha. Non lo indossa. Non indossa quello di altri e non indossa il suo. Semplicemente, lo è. E stiamo parlando di stile come 'avere classe'; dopo c'interrogheremo se esiste una distanza con lo stile 'stilistico' e, se fossero diversi, nella scrittura.
Se dovessi chiedergli di definire il suo 'stile', dieci a uno che andrebbe in panico. Saprebbe farti degli esempi, ma definirlo no.
Perché è qualcosa d'intimamente connaturato a sé: s'è formato negli anni, in famiglia, coi miti, con la buona educazione e la personale inclinazione a conoscere il bon ton. Io che da piccolo ruttavo mangiando i panini al campeggio non potrei mai avere il suo stile.
Ciò non toglie che io abbia il mio.
Se lo stile è dunque un abito, che si vive più che indossarlo solo quando è il proprio, se ne può concludere che lo stile è, semplicemente, un modo d'essere. Lo stilista, per contro, pur essendo un creatore di abiti non è un creatore di stili: è bensì colui che lavora con gli stili. Che ci gioca, dando loro forma e permettendo a chi un simile abito lo sente 'nel suo stile' di possedere qualcosa che gli si adatta!
Ed ecco che cominciano a piacermi un po' di più le sfilate.
Certo, la moda spesso e volentieri è intesa più come 'aderire a uno stile' piuttosto che esaltare il proprio, ma questo è un problema di chi compra, non di chi fa.
Dunque, abbiamo detto che lo stile è un modo di essere.
Due più due uguale Scarpelli mi ha detto "sii te stesso".
Se quando mi trovo con Gabriele a volte mi viene in mente Humphrey Bogart, che ben mi rappresenta il concetto di "avere classe", mentre a me, al massimo, mi può venire in mente Rocco Papaleo, per restare in paragoni cinematografici, questo non vuol dire che io non abbia il mio stile. Altro discorso è trovarlo.

Istanbul dice che lo stile non s'impara.
Siamo sicuri?
Non è forse proprio imparando - in generale - che si forma il nostro stile?
Non è proprio da coloro che si prende a modello che nasce l'esigenza di comportarsi (o meno) in un certo modo? Il nostro modo di essere non è forse quello che deriva da come stiamo vivendo?
Certo, nel dire che lo stile non s'impara c'è l'assoluta verità del fatto che non esistono (o non dovrebbero esistere o quantomeno essere definiti tali) dei maestri di stile.
Se lo stile è un 'abito' personale, nessuno al di là di te stesso può insegnartelo. Possono però insegnarti a trovarlo.
Tutti abbiamo una concezione comune di 'stile'. Nessuno riuscirebbe a definirlo bene: persino il dizionario, quando dice
"Particolare modo dell'espressione letteraria o artistica, proprio di un autore, di un'epoca, di una tradizione"
oppure
"Il particolare modo di essere e di comportarsi, di esercitare un'attività sportiva o d'altro genere"
deve fare riferimento ad ambiti, essere vago, racchiudere 'personale' in 'particolare'.
C'è uno stile nello sport, uno nella moda, uno in letteratura... Uno nel bon ton.
Non è affatto detto che coincidano.
Eppure, tutti hanno la stessa radice: il modo d'essere personale in un ambito da tutti condiviso.

Ecco, quindi, cosa mi diceva Scarpelli.
Qualcosa di meno del "trova te stesso" (che presuppone il "cerca te stesso", lavoro spesse volte inconcludente, ma utilissimo) e qualcosa di più del "sii te stesso", che prevede solo un'affermazione partendo da una presa d'atto.
Un "lasciati essere", forse.
Perché se Gabriele ha stile senza indossarsi il proprio, ma - appunto - lasciando che sia, allo stesso modo, narrativamente parlando, devo cercare e trovare la scrittura che, al momento della stessa, mi dia esattamente quella sensazione.
Lascia che sia.

Il ragionamento non è concluso, ma è certamente a buon punto.
Mi auguro che ciascuno di voi, dopo aver letto questo post, si conceda il lusso di permettersi cinque minuti di riflessione. Per lasciare che il proprio stile, sia.


GrimFang

Nessun commento: