L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

sabato 13 dicembre 2008

Di gnocca, di tango e tsunami! - II parte

Tango.

Ho sempre voluto ballare il tango, ma mai abbastanza da segnarmi a una scuola di danza.
Anche perché, ex-aequo, c'è anche il tip-tap e il flamenco: come fare torto a due per privilegiarne uno?
Così, quando ho scoperto che quest'anno si ballava il tango, ho goduto come un riccio.
Saremo la pantomima del tango, e lo spettacolo somiglierà di più alla Corrida di Corrado che all'Inferno di Dante, ma...

Il tango mi piace perché è passione.
Codificata, ma germogliata nell'improvvisazione.
Il tango è la mia parte che manca, ed è la mancanza di una parte che ti fa ballare il tango.
Il tango è Lisbona, città malinconica la cui assenza l'avverti mentre ci sei, con quell'oceano sconfinato davanti. Il tango è l'amore, anzi, le storie d'amore, col loro inevitabile copione di passi già calpestati.
Il tango sono le tavole di Hugo Pratt sul tango: dettagli.
Il tango è la scarpa col tacco alto della donna che si solleva alla fine di un passo solo accennato, che ruota assieme alla gonna vorticosa in un rapido cambio di lato.
Il tango è l'armonium, il bandoneon, l'organetto e la fisarmonica di Astor Piazzolla; è l'armonia della libertà ricavata nel tradire le regole, tradire le donne, gli uomini, i passi, le relazioni.
Il tango è il battito cardiaco che ti fa scordare del mondo, è la sua illusione. La malinconia di qualcosa di già perso è invece la milonga. Il tango è lo sbruffone che esce dal bar con il coltello in tasca, come si usciva dalle osterie nella Roma dell'ottocento. Il tango non è il delitto d'onore né quello passionale: è la possibilità che questo possa compiersi.
Il tango è tutto questo e molto di più, per me che sono un neofita e non conosco il tango. Ma lo amo.

Rientrati dalla pausa, si devono formare le coppie per il tango.
Ancora succube nella memoria della coppa Inox, cerco, guardo e spero in Sara, che cambia cavaliere. Mi tocca Ester, e nel cambio - chiedo perdono, ma trattasi di puro criterio estetico/ingrifatorio - è proprio una doccia fredda.
Però, siamo buoni amici e almeno questo consente di apprendere con gioia quel primo, forse anche un secondo, passo di tango.
Perché il tango è difficile, penso.
Lo è.
Ma Vania è pazzo, quindi si tratta di un'intera figura di tango.
Non due, tre movimenti da mandare a memoria ed esercitarci per farli almeno alla perfezione, e niente musica: forse perché il tutto è assai più veloce, sicuramente perché - a detta sua - il tango comincia sulle ultime tre strofe di canzone, che son quelle in cui noi, a tempo di tango, dovremmo andare a formare le coppie.
Immagino che la scena, vista da fuori, sarà assai simile a quella che può osservare un biologo al microscopio molecolare nello studio dell'attività cellulare; oppure uno che osserva gli intoppi che si formano a Termini davanti all'ingresso della metro A.
"Scusi, permesso - Passi prima lei - Dove va? - Eh, due secondi fa vedevo la schiena della mia amica, ora non la vedo più - Andreaaaa, dove sei? - Mi scusi, signora, che questo bimbo è suo?"
Si parte frontali, l'uomo ha la mano destra delicatissima a toccare la donna sul fianco, la donna ha la mano sinistra lievissimamente appoggiata sulla spalla destra dell'uomo; le altre mani sono intrecciate e tenute molto in alto, sopra l'altezza della testa.
Primo movimento.
In tre tempi, il cavaliere solleva il ginocchio e manda indietro la gamba destra; la donna fa scivolare avanti la gamba sinistra e aggancia il tallone dietro al tallone sinistro dell'uomo, ben piantati entrambi a terra.
Secondo movimento.
L'uomo gira la testa da destra a sinistra (o era il contrario) in tre tempi; la donna fa scivolare indietro la gamba destra.
Terzo movimento.
Primo tempo: l'uomo guarda la donna. Secondo tempo: l'uomo si sporge sollevandosi verso di lei ed alza il tallone della gamba destra, tipo un calcetto, poi lo riappoggia al suolo. Terzo tempo: la donna fa la stessa cosa.
Quarto movimento.
Primo tempo: tenendosi sempre per mano ci si allarga e si porge il busto verso il lato (l'uomo dal lato destro, la donna dal sinistro). Secondo tempo: le gambe che si toccano si sollevano e ruotano per colpirsi a vicenda sul lato esterno del piede, poi riatterrano davanti al busto mettendo dritta l'anca. Terzo tempo: l'uomo tira la donna per la mano, lei fa una piroetta su se stessa ed atterra in caschè con le spalle sul braccio libero dell'uomo ed il culo sulla sua gamba sinistra, che come detto era protesa in avanti (questo ovviamente se uno lo fa bene...).
Quinto movimento.
L'uomo solleva la donna a fianco a sé, anca contro anca ed orientati in versi opposti, ma quasi contemporaneamente con un piccolo calcetto del piede destro ed una spinta di anca ruota anche lui, finendo col trovarsi dietro di lei. Molto stretto. La posizione, si potrebbe definire dello "sclap sclap all'impiedi", con area genitale lievemente a pressare (brrr...) sulle di lei natiche, e braccio sinistro - col quale la tieni per mano - che la cinge all'altezza del seno (ghhh...). L'uomo la stringe leggermente a sé, poi solleva il braccio sinistro in alto e le dà una simbolica spinta con la mano destra sulla spalla destra; la donna piroetta via su se stessa, finalmente libera di andare a cercarsi un altro compagno di ballo o di andarsi a togliere le scarpe se le fnno male i piedi (ma quest'opzione non è prevista a teatro).
^__^
Et voilà, questa è l'intera figura (non dico di cosa) che ci vuol far fare Vania.
M'intratterrò su valori simbolici e metaforici di questa figura di tango quando avrò bisogno di darmi un tono e sembrare più serio.

Con mia gradita sorpresa, appena si formano le coppie scopro che Ester il tango l'ha studiato, per cui ho una compagna di ballo d'eccezione. E quando si tratta di ripetere la figura per memorizzarla, scopro che il lancio della compagna alla fine della figura serve per cambiar coppia: tutte le donne si cercano un nuovo compagno e, considerato che ci sono più donne che maschi, si scatena una divertentissima "caccia all'uomo", con gradevoli risultati per tutta la popolazione maschile presente che probabilmente non si è mai sentita così desiderata.
[Considerate che quasi si facevano gli sgambetti per accaparrarsene uno!]

Così, mi ritrovo tra le braccia tante fanciulle diverse e, se nel bacio simbolico della quadriglia m'era capitata non proprio una Venere, qui mi passa tra le mani ogni ben di Dio e anche l'allegra signora over 60 che fa parte di qualche laboratorio... ma la bellezza del tango, ed il divertimento vince su tutto. Stranamente, dovrei aggiungere, perché non mi capita spesso di spassarmela punto e basta. Comunque, non mi capita né Sara né la sua amica, che alla fine probabilmente è una delle tre con le quali non ho ballato in tutto l'arco della serata.
La finiamo lì, per festeggiare poi l'avvenuta - in giornata - laurea di uno di un altro laboratorio, con tanto di ottimo spumante, pandoro e pasticcini.
Chi deve cambiare si cambia, così mi ritrovo Sara in reggiseno davanti, e poi si chiacchiera, si va a fumare fuori. Ha cominciato a piovere, così, nella mia fumata pressocché solitaria si è andata ammassando gente, fra cui Sara e un'altra amica - che proprio al tango aveva rinunciato all'inizio, non so perché, e capisco così finalmente che sono di Yogurt e che prendono un passaggio da Domenico. Si parla di furti di autoradio, di garage insicuri, di ladri romeni... e in fondo mi accorgo che questa Sara, frizzantezza a parte, non è poi così interessante.

Si fa l'ora di riportare al motorino Valentina, salutare tutti ed andar via.
Né Georgia né Betta sono venute ed Alessio l'ho convinto a scroccare un altro passaggio. Quindi la dovrei mollare e filare a casa.
Ma quando siamo in macchina comincia a venir giù più insistente. Mando il solito messaggio a Radio Rock con la richiesta di una canzone, e si parte.

Ora, altro inciso. Valentina e le mie richieste a Radio Rock quando si torna dal laboratorio.
Tutte le volte che torno da teatro, ascolto il programma di Loredana, in onda dalla mezzanotte alle tre e mezza. Ovviamente, io spengo molto prima. Visto che la ascolto da anni, si può dire che ci sia una conoscenza costruita via sms; mi manda le macumbe quando vado al festival di Venezia e lei non ci può andare, quando c'è Lucca Comics, oppure mi prende in giro perché parlo ogni volta di donne diverse, saluta ogni volta il Bussolotto, cioè mio nipote... Ed io sempre, appena uscito dalle prove, le scrivo un messaggio con un commento, a volte una richiesta musicale.
Quando Vale scrocca un passaggio da me, deve attendere pazientemente (figuriamoci se lo fa) che io compili il messaggio, e soprattutto che decida quale brano mi va di sentire, e magari farle sentire. Regolarmente, tutte le volte il brano passa subito dopo che lei è scesa ed ha chiuso la portiera.
Alla terza volta di fila, ho sospettato ci fosse una sorta di maledizione.
Considerando tra l'altro che quando richiedo brani io Loredana non legge in diretta la richiesta perché prova a farmi passare avanti - sennò s'incazzerebbero quelli che han mandato richieste prima di me - ogni volta che arriva è puntualmente a sorpresa.
Valentina è riuscita persino a mancare una richiesta perché eravamo scesi dalla macchina ed eravamo al bar a prenderci un caffè.
Niente.
Stavolta, visto il motorino, se la sarebbe persa di sicuro.

Ma quando siamo arrivati a destinazione, la pioggia non accennava a smettere.
S'è fatta due conti, un po' a lungo a dire il vero, e poi l'ho portata a casa.
Nel tragitto, però, visto che il Diluvio si stava scatenando a rate sulla capitale, ho fatto sosta al belvedere del Gianicolo.
Tra l'altro, mi disagiava psicologicamente un fatto: che ci fosse Valentina seduta accanto a me, e non un'altra.
Chiariamoci: Valentina è una bella femmina, ma ha un carattere di m... Di materia di scarto.
Ora, che ci fosse proprio lei, che sa anche essere simpatica ma generalmente è prugna e limone, non era un male in sé. E' che, stramaledettissima maledizione, quella è la mia fottutissima fantasia romantica numero uno, porca paletta!
Io e una donna in macchina al Gianicolo sotto la pioggia a scaldarci l'un l'altra e guardare fuori! Ad ascoltare il rumore della pioggia cadere!
E per una cazzo di volta una, che mi capita di avere una donna al mio fianco in quel set cinematografico perfetto, dev'essere proprio una che come massimo complimento nei miei confronti m'ha detto "in quella foto di dieci anni fa sei QUASI affascinante"?!???
0___0'
Direi che è frustrante, no?

Beh. A una certa ho smesso di rodermi il fegato e mi son detto godiamoci quello che abbiamo.
Siamo arrivati in cima, io ho accostato, proprio davanti alla statua, al centro del panorama. A fianco c'era una smart con due che probabilmente trombavano, ma sotto quel diluvio non si sarebbe capito niente nemmeno a finestrini aperti.
Pioveva, ma niente gatti o cani, come dicono gli inglesi.
Era continua, ma non robusta. Né vasche, né secchiate.
Vedere i lampi stagliarsi nel cielo plumbeo sopra tutta quella massa sterminata di tetti di Roma... che meraviglia.
M'è presa così, ero allegro e l'ho fatto.
Mi sono girato verso Vale e ho detto: "Sì o no?"
Lei ha cincischiato, indovinando tra l'altro cosa mi accingevo a fare (rosicatio). Ho dovuto insistere un due, tre volte per ottenere il sì... Avete mai notato che di fronte a simili domande a bruciapelo le donne hanno bisogno che gliela si ripeta minimo tre volte?
Dev'essere perché la prima sono colte alla sprovvista, la seconda hanno paura che le riguardi sessualmente, e alla terza valutano che risposta dare. Della serie "Che ha detto?", "Cosa vuole da me?" e "Ok, è tranquillo, puoi rispondere".
Ha detto sì, ovviamente, ed io sono uscito sotto la pioggia.
Esibizionismo, la memoria di una corsa sotto la pioggia col Deso, d'altre corse precedenti, di una salita eroica in bici mentre venivano giù torrenti d'acqua... mettetela come vi pare. Mi piace, ogni tanto, lasciar stare l'ombrello e sentire le gocce sulla pelle, sui capelli (pochi)... Lasciare che quella sensazione di fresco tocchi l'anima, e lavi via un po' del grigiore che ci sedimenta dentro. Fare come fanno i bambini, quando saltano nelle pozzanghere.
Mettersi a girare, volteggiando su se stessi, illuminati dai fari accesi della propria auto, beh, quello è molto più esibizionista, narcisista e cinematografico. Ma in fondo il cinema prende tutto dalla vita, anche l'incredibile, ormai l'ho capito.
Così, senza inzupparmi fino al midollo, senza infradiciarmi del tutto, sono stato anche abbastanza a lungo, passeggiando fino al muretto per vedere Roma davanti a me. Poi dritto in macchina.

In fondo, era pur sempre uno show ad uso di Valentina. O meglio, a beneficio mio grazie alla presenza del pubblico-Valentina. Dico questo per due motivi. Perché è sempre più raro che io faccia qualcosa di matto, che dà tanto più sapore alla vita, e perché se a quella domanda Valentina avesse risposto di no probabilmente non l'avrei fatto. Mi sarei depresso e non sarei uscito nonostante avessi una gran voglia di farlo.
Ma per fortuna la complice che cercavo c'è stata.
Fosse stata la donna che volevo sarebbe scesa e mi avrebbe raggiunto.

Non faccio quasi in tempo a salire che la radio annuncia l'arrivo di Frank Zappa.
Incredibile. Per la prima volta Valentina sarebbe riuscita a sentire una mia richiesta.
Conosco bene quel brano: me lo fece ascoltare la prima volta Marco Valerio, il mio compagno di banco al liceo, l'unica persona con la quale abbia mai veramente rotto un'amicizia.
L'ho incontrato sulle scale della Metro A a Termini, dopo aver fatto il pattugliamento del binario dove forse era stato visto uno che assomigliava al Deso. Quand'era, due settimane fa?
Io parlavo al telefono e lui saliva le scale, s'è girato, m'ha visto (forse mi guardava già da prima) io l'ho guardato e lui deve avermi letto in faccia che l'avevo subito riconosciuto. Ha voltato lo sguardo davanti a sé, duro, ed ha tirato dritto. E in fondo è stato assai meglio così.
Il brano in questione è "You are what you is" più o meno traducibile come "Tu sei quello che tu è". Ed ha un testo nonsense clamorosamente schizzato, che vi invito a leggere. E la musica... beh, io non riesco a star fermo quando la sento: mi mette una tale allegria e voglia di ballare... Una volta stavo chattando con una tipa in Spagna, conosciuta su un programma peer to peer, credo Soulseek, e gliel'ho fatta scaricare. Poi al mio tre abbiamo spinto play insieme ed abbiamo fatto la prima discoteca internazionalmente dislocata della storia, suppongo.
Comunque, avviso Valentina che ci sarà un po' di movimento, e che quello è il brano che ho chiesto.

Ho fatto di tutto per far vacillare la macchina, sudando come una bestia.
Sono arrivato spompato alla fine che non mi reggevano i polmoni e mi facevano male i muscoli, cercando di mettere a dura prova le sospensioni. Ma vuoi mettere la soddisfazione?
Col fiatone e le vampate di calore, praticamente mi sono asciugato come fossi io il termosifone, mi accascio sul sedile. Nel frattempo Vale spediva messaggi alla radio per spiegare quanto fossi uscito di cotenna.
Poi, con calma, mentre Giove Pluvio intensificava la sua attenzione sulla zona del Gianicolo, ho ripreso la marcia e l'ho riportata a casa, ch'è là dietro. Cominciava a venire giù davvero di tutto, e cominciavano a vedersi i primi famosi cani e gatti inglesi intenti a farsi qualche vasca a nuoto nostrana.
Mi sono divertito, è stata proprio una bella serata, e tra un sms di commento alla radio e l'altro, contavo di essere a letto di lì a poco.

Contavo.
Arrivato davanti alla rampa del garage mi sono fermato come al solito a fumare l'ultima sigaretta della giornata. Loredana alla radio sosteneva che la zona in cui era lei, visto come veniva giù il cielo sulla terra, doveva essere l'epicentro della tempesta. Ma visto che anche al Gianicolo non scherzava mi sentivo in vena di darle torto.
L'occasione me l'ha fornita il rumore di roba che si scheggia nell'impatto al suolo, ed il sordo rombo di tamburi di latta proveniente dal tettuccio della mia macchina. Una grandinata di dio che si scatenava sopra di me e il mio finestrino aperto (un minuscolo spiraglio per fare uscire il fumo), il quale ogni tanto mi regalava schegge di ghiaccio addosso, visto quant'era fitta.
Scrivo un sms felice in radio. Una cosa tipo "Qui piovono chicchi di grandine così grossi che una volta caduti si rialzano e ti chiedono da accendere".
Poi basta, saluti di rito e giù a mettere la mia bimba nella cuccia e a dormire.

Me ne sono reso conto davanti all'ascensore, dopo aver chiuso le mandate triple della serranda del box.
Non avevo più le chiavi.

Eppure ero sicuro di averle; o meglio, prima di uscire m'ero fatto preciso scrupolo di prenderle perché, come vi avevo detto, avevo fretta ed avevo spostato tutto dai pantaloni nello zaino, prima di mettermi la tuta.
E allora?
I casi erano due: o mi erano scivolate di tasca in teatro, quando avevo sfilato il portafogli per pagare la quota del mese, cosa assai plausibile, oppure mi erano cadute al Gianicolo mentre ballavo.
Il teatro ormai era chiuso e piombato, ma il Gianicolo... Chiunque avrebbe potuto trovarle. La cosa mi dava fastidio, perché in fondo le chiavi sono qualcosa di personale, un accesso al tuo mondo.
Certo, se non sai di chi sono col ca... che riesci ad approfittarne; ed anche se c'è scritto su una targhetta il mio cognome e "Ovindoli", non sarebbe comunque facile risalire alla casa - assai di più risalire eventualmente al proprietario per la restituzione. Però...
Il rodimento di dover svegliare i miei oppure dormire in macchina, quello (grande) per la propria sbadataggine, lo stranimento del non essermi accorto di nulla... O la rogna nel caso in cui i miei di conseguenza avessero deciso di cambiare le serrature... Niente, non potevo mica starmene lì, ed anche se fuori scendevano le cascate del Niagara dovevo tornare al Gianicolo, almeno a dare un'occhiata!

E vai.
Di nuovo apri tre serrature e la serranda, tira fuori la macchina, chiudi tre serrature e la serranda, risali in macchina e apri due cancelli col telecomando e di nuovo in strada.
Ovviamente, sms a Loredana. Niente, giocoforza mi tocca farvi ulteriore compagnia.
Riprendo la stessa strada fatta poc'anzi, tipo una decina di minuti prima: l'Aurelia Antica.
Stavolta l'acqua viene giù talmente tanta che nonostante i tergicristalli non vedo un cazzo. E così, tra l'altro, scopro che i miei tergicristalli di velocità ne hanno tre, non solo due come avevo sempre pensato: oltre alla lenta ed alla veloce, c'è anche la spasmodica. Ma serve a poco uguale.
Nel tentativo di tenere sotto controllo strada, tergicristalli anteriori e posteriori, luci e veicoli in avvicinamento, ci metto pure quello di mandare un altro sms a Loredana - ma impiego pochi secondi a capire che glielo manderò da molto fermo.
Passo sotto al cavalcavia dell'Olimpica, proseguo dritto. La strada è una superficie nera puntellata dalla pioggia, e più avanti c'è la salita. Procederò sui 50-60 km/h.
Ma la strada non è piana come la vedevo. No.
Non è proprio strada.
La strada vera in quel punto è in discesa, e dopo prende e risale. Quella piana che vedo, è acqua.

Ci entro dentro sparato come un missile, e all'improvviso vedo tutto attorno a me, davanti, di lato, una parete verticale, un'onda anomala di acqua spruzzata verso l'aria, accompagnata da un rumore come quello che devi sentire quando la tua barca, ormai in balia delle rapide, è sull'orlo della cascata.
Non vedo niente: dai finestrini, dal parabrezza, l'unica cosa che si può osservare è questo tsunami due volte la mia macchina in altezza che mi circonda, tutto fatto di spuma bianca, nata dal nulla all'improvviso.
Le gocce ricadono nebulizzate sul parabrezza, ma è solo un pulviscolo etereo: persino le grosse gocce della pioggia normale sono state in qualche modo neutralizzate da quest'onda d'urto.
Quasi sembra che lei in parte mi protegga: la mia macchina non si schianta, infatti, ma rallenta clamorosamente, neanche fosse finita nella tela di Spider-Man.
Il mio primo pensiero è evitare che la macchina si spenga.
Già m'è capitato una volta. L'acqua sollevata va a sciaquarti il motore, o raffredda, lo spegne. E tu ti ritrovi con la macchina che non riparte perché ti si sono bagnate le candele, in mezzo a un vero e proprio lago dove devi nuotare se vuoi scendere (e se apri la portiera ti giochi tutto ciò che hai sui tappetini), con la macchina in traiettoria perfetta per il primo che arriva.
Le macchine in traiettoria sono state il secondo pensiero.
Ma visto che chi eventualmente fosse stato dietro doveva essere abbastanza distante per frenare, e che davanti la mia memoria mi restituiva l'immagine del deserto dei tartari, questo è stato decisamente un pensiero passeggero: anche se continuavo a non vedere una beneamata ceppa, ero sicuro che non avrei tamponato altri veicoli. Ma altri oggetti forse sì.
Terzo pensiero: c'erano macchine ai bordi della strada, parcheggiate? Ma soprattutto:

Quanto cazzo può essere fonda questa pozza?

L'idea può essere meno idiota di quel che sembra.
Quella sera veniva giù il Diluvio Universale a Rate, come vi dicevo.
L'Aurelia Antica è un continuo saliscendi, e in più di un'occasione i tombini di scarico si sono otturati: foglie autunnali, buste da pic-nic, cazzi vari.
Ricordavo che non doveva essere un dislivello poi così grosso, ma le esigenze rimaste a questo punto erano due: mettersi al centro della strada, dove si suppone che l'asfalto sia più in alto che rispetto ai bordi, ed impedire ad ogni costo che il motore si spegnesse. Proprio un punto di merda per bloccarsi, quello.

Alla fine, l'onda sollevata dall'urto perde potenza, con la perdita di velocità della mia auto; e la parete bianca, non più sospinta dalla forza dell'impatto, cede nuovamente alla gravità, rovesciandosi come un ceffone sulla mia auto.
Il motore sembra perdere colpi, forse si ferma, ma col gioco di frizione ed acceleratore riesco a farlo riprendere e a non farlo morire.
Quando l'onda si dirada torno persino a vedere davanti a me, e non c'era nessuna macchina, come ricordavo.
M'è andata liscia, sono già sulla salita.
A questo punto cerco di mandare a mente un importante promemoria: guai a te se ti scordi di NON passare di là al ritorno. Dovrò mandare un sms a Loredana, appena riesco a fermarmi.

Arrivo al Gianicolo e parcheggio più o meno dov'ero: la Smart coi due pomiciano o trombano è ancora ferma lì, coi vetri appannati, e mi funge da utile punto di riferimento.
Mando l'sms che dovevo in radio: "Non fate l'Aurelia Antica se non avete un mezzo anfibio o una 4x4".
Stavolta piove di più, pur essendosi calmato rispetto a prima, e l'idea di trasformarmi in spugna bagnata non mi aggrada parecchio, per cui prendo l'ombrello scassato che ho in macchina.
Quest'ombrello ha il vantaggio di essere piuttosto grande e di aprirsi a scatto; ma è anche per metà staccato dai raggi, e col vento spesso si accartoccia su se stesso, diventando un mezzo ombrello. Generalmente, però, il peso della pioggia lo tiene lì dov'è, e deve proprio esserci una raffica forte per sollevarlo quand'è bagnato.
Esco, tolgo le chiavi ma lascio accesi i fari per vedere brillare le chiavi, che son pur sempre di metallo. Ma a prima vista niente. Devo spingermi più in là, e fare dei larghi giri: non posso farlo alla carlona dopo tutto 'sto casino. Se sono lì, devo trovarle.
Una raffica di vento mi mette in difficoltà con l'ombrello. Ma è solo una, lo rimetto a posto e tiro avanti.
La pioggia si fa più insistente, ma penso che dovrò semplicemente fare più in fretta prima che peggiori.
Una seconda raffica mi rigira l'ombrello al contrario, ma grazie al cielo, spostando l'oggetto opportunamente, me lo rimette anche a posto. mi bagno un po', ma ormai ho raggiunto la balaustra - proprio nello stesso punto perché è dove c'è il pannello con le indicazioni per i turisti. Comincio a girare lì attorno - il punto più distante dalla macchina - anche se non ci spero tanto di trovarle, perché son quasi sicuro che son cadute a teatro. Le raffiche cominciano ad essere più frequenti, e la pioggia più insistente. Cerco di sbrigarmi più che posso, anche perché indosso le scarpe da ginnastica per il laboratorio di teatro, cioè un paio di All Star in pelle grezza, ma che con gli anni si sono già un pochino aperte... e l'acqua entra.
Salto il piccolo fiumiciattolo che si è generato contro il bordo del marciapiede, ritorno con gli occhi fissi a terra verso la macchina. Questo m'impedisce di evitare che il mio ombrello si scappelli nuovamente. Affretto il passo, la pioggia adesso scende giù proprio bene. Ecco, sono davanti alla mia macchina e...

...e porca puttana, il cofano fuma!
Me lo fa spesso quando piove, per il fatto che per via di un'urto la superficie metallica s'è avvicinata di più al motore, e si surriscalda. Ma qui manda nebbia in Val Padana, e la cosa preoccupa, così mi chino ad osservarlo. C'è un po' odore come di gomma bruciata, ma può essere normale, però verificare è meglio.
Mi riaffaccio nella macchina per aprire il cofano, e colgo l'occasione per buttare nello zaino tutto quello che ho in tasca e che si sta via via fracicando. Pensarci prima, no.
Apro 'sto benedetto cofano ed esce fuori la fumata della nomina papale. Intorno, piove che dio la manda, e di sacro, a bocca chiusa, sto ordinatamente elencando tutto.
Non sembra esserci problema, forse solo la guarnizione del cofano stesso sembra un po' bollita, ma il resto sembra stia bene. Se non è così, mi dico, saranno cazzi, ma almeno mettiamoci al riparo, prima. Chiudo il cofano e la vedo.
La targa.
Metà attaccata, l'altra metà piegata in avanti.
Sgrano gli occhi. Mi torna in mente la furia improvvisa dello tsunami bianco. Immagino la violenza con cui è passato nelle fessure dietro la targa e l'ha strappata, lasciandola ad oscillare nella furia dell'acqua spumosa.
Minchia.
Per fortuna ce l'ho ancora attaccata da un lato. Mi accovaccio, provo ad armeggiare per vedere se riesco a rimetterla un po' più in sesto, ma non c'è niente da fare, sfugge. Nel frattempo, il manico dell'ombrello tocca terra, e la calotta mi copre la schiena mentre sudo, mi bagno e bestemmio, per cui da fuori immagino di apparire come un grosso fungo davanti ai miei fari.
I fari...

L'ultimo grosso acquazzone mi ero giocato sia gli abbaglianti che gli anabbaglianti.
Ora, per la revisione, li ho sotituiti entrambi: 10 euro a lampadina, dei ladri.
Con terrore mi accorgo che ho nuovamente perso uno degli anabbaglianti.

Mio zio all'epoca mi disse: "Fai fare un foro sotto il faro, così se entra acqua esce da sotto e non ti fa condensa nei fanali".
Ai meccanici dove sono andato gli ho chiesto di farmelo, si sono rifiutati.
Scemo io a non insistere.

A questo punto il rodimento di culo era furioso, stile Orlando, e vado per rimontare in macchina e mandare un po' chiunque a cagare, però mi viene in mente che forse non ho parcheggiato proprio preciso preciso a dov'ero. E se le chiavi mi fossero cadute mentre scendevo...
Guardo sotto la macchina.
Le chiavi non ci sono, ma c'è una sorta di serpente nero sotto tutta la macchina.
Che cazzo ho agganciato?
Entro, metto in moto, retro, non vedo un cazzo, vado piano, mi sposto, poi ancora un po', poi penso che va bene, freno a mano e riesco. Vado davanti e vedo.
Niente serpente.
Non ho agganciato niente.
Semmai ho sganciato: quello è la parte in gomma inferiore del mio paraurti, il paraschizzi di fango. S'è tolto quasi tutto, va rimesso con la plastica infilata nelle fessure del paraurti.
In condizioni normali è una cavolata, pure divertente, ma lì, sotto il delirio di pioggia, con una mano sola perché ho l'ombrello nell'altra, le dita congelate dal freddo, ne pianto un po' a cazzotti affinché regga fino al garage.
Adesso più che nero sono rassegnato.
Rientro in macchina coi brividi, ma non accendo il riscaldamento sennò non ci vedo più un cazzo. Apro l'aria e dò corrente agli spannavetri. Nel frattempo Loredana dalla radio mi fa sapere di qualcuno che risponde alla mia 'richiesta d'aiuto', che ha un 4x4 e si trova in zona Aurelia. Mando un messaggio per spiegare meglio e far sapere che non serve, grazie. Almeno, non ancora.

Rifaccio il viaggio verso casa, sto per imboccare l'Aurelia Antica ma il promemoria mentale funziona e svolto a razzo su Via delle Fornaci.
Non so se avete presente Via delle Fornaci imboccata dall'Aurelia Antica.
Mi ritrovo ad imboccare una via stretta in discesa che, essendo tale, è una sorta di fiume di scarico. Ho il terrore di perdere il controllo della macchina, e nonostante i tergicristalli a manetta non vedo un cazzo uguale.
Me la faccio in tensione fino alla Gregorio VII, con la paura che qualche imbecille decida di attraversare di punto in bianco comparendo dal nulla. Ricorderebbe un po' troppo l'episodio di quel film horror in cui una mette sotto un autostoppista in impermeabile giallo, quello le resta attaccato sotto la macchina e da morto si vendica.

Una volta sulla Gregorio VII mi accorgo con sollievo che il lago è sulla carreggiata a fianco e la via è libera; faccio la salita e poi le mura vaticane - stavolta l'acqua scende e risalgo come i salmoni - e il passante che attraversa non è cretino e mi fa passare prima.
Finalmente raggiungo il garage. Apri i cancelli, smonta, apri le tre mandate...
Nel frattempo si sono fatte le due e mezza, quasi le tre.
Sono come il minestrone: cotto e zuppo. E soprattutto cosciente che mi toccherà buttar giù dal letto qualcuno, il quale non gradirà la cosa.
Davanti alla porta di casa busso, ma è solo un'ultima remora prima di suonare il campanello: fuori tuona, lampa e piove, chi cavolo volete che senta una bussata leggera? Senza contare che i miei quando dormono, manco le cannonate! ^_^
Mi attacco al campanello, ma con lo scrupolo di svegliare anche i vicini. Faccio un paio di suonate brevi, ma vicine l'una all'altra, e aspetto. Niente. Ripeto. Niente. Ripeto. Niente. Attacco l'orecchio alla porta, ripeto. Niente.
Lo spettro di farmi una dormita scomoda sul sedile della bimba, per di più bagnato, non mi entusiasma. Ancora meno l'idea di riscendere e riaprire per l'ennesima volta quelle cazzo di tre serrature: tiro fuori il cellulare e chiamo casa.

Quando ti arriva una telefonata alle tre di notte, la prima cosa che pensi è che siano pessime notizie. Se poi mentre ti alzi scopri che tuo figlio ancora non è in casa, allora è allarme puro.
Lo immagini riverso tra le lamiere contorte o, visti gli allarmi pioggia, annegato dentro la macchina in fondo ad un fiume di fango. Ma considerato che anche zia non sta bene potrebbe essere un'orrenda telefonata. E poi, mia sorella era a Bologna...
Dieci a uno che tutte queste cose passavano nella mente di mia madre, mentre in quella di mio padre di sicuro ne passa solo una: "Chi rompe a quest'ora?!".
Mi risponde la voce insicura e tremante di mia madre.
"Sì?"
"Mamma, mi apri la porta?"
"Dove sei?" - chiaramente è ancora lì che mi vede tra le lamiere. Ma avrei parlato di sportello, nel caso.
"E dove vuoi che sia? Qui fuori!"

Finalmente la porta si apre, e volti preoccupati (uno) e rassicurati (l'altro) mi scrutano. Faccio spallucce, mentre penso alla incipiente gioia di sbattermi sotto le pezze a breve, e mormoro che non avevo le chiavi... Non che le ho perse: ci sarà tempo domani, mi dico, per dargli la tramvata. La faccia di mia mamma ci mette comunque un po' a rilassarsi.
"C'è Niccolò che dorme, potevi svegliarlo!"
Cosa?
Che cavolo ci fa il nipotastro da me? Perché dorme qui (e grazie al cielo non s'è svegliato)?
E' stato allora che ho scoperto che mia sorella era a Bologna, e quindi Matteo (il papà di Niccolò) dormiva in camera grande, mia madre in cameretta e papà sul divano in sala. E a proposito, cameretta e divano in sala sono i due posti dove dormire più vicini alla porta d'ingresso: ve lo dicevo, le cannonate...
Vado in camera, mi tolgo la roba zuppa, faccio un salto al bagno, abbasso la serranda fino al punto giusto e, prima d'infilarmi il pigiama, mi tolgo la soddisfazione di controllare un tarlo che avevo da almeno due ore.

Come vi ho detto, quand'ero uscito andavo di fretta, ma m'ero posto il problema delle chiavi.
Ora, però, s'era insinuata l'ombra del dubbio di averle prese, sì, ma di averle poi rimesse in tasca perché se le mettevo nello zaino mentre ero ancora in ascensore poi la porta di casa per entrare e cambiarmi come la aprivo?
Alzo i pantaloni che erano sul letto. Ormai avete già capito...
Il rumore tintinnante che proviene dalle tasche non lascia dubbi. Metto una mano nella tasca e ne tiro fuori il mazzo di chiavi. Altro che cadute a teatro.
Le labbra non si muovono, ma il VAFFANCULO l'hanno sentito in Cina.
In fondo contento di non dovermi più sbattere per recuperarle o rifarle, mi metto a nanna e finalmente, spengo la luce.
Aaaahhh, adesso posso finalmente cedere...

Uèèèèè, uèèèèèè...

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GrimFang

[Ps: non ci posso credere che son riuscito a postare questa seconda parte dopo così tanto tempo!!! Era praticamente pronta!]

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