L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

giovedì 4 dicembre 2008

Che CAZZO di giornata

Oggi non sono andato a lavoro.
Ufficialmente è per malattia, ed in parte è così: non mi sento affatto bene in questo periodo, solo ieri mattina avrò prodotto otto tonnellate di muco.
Ma siccome sono settimane (da Lucca) che devo fare un salto all'università, ho approfittato oggi, che la sgreteria studenti apre di pomeriggio.

Questo perché a Lucca ho incontrato il prof. Luca Giuliano, che, oltre ad essere uno dei maggiori esperti di giochi di ruolo, nonché un loro creatore (On Stage! su tutti), è stato per breve tempo anche un mio docente. Nonché l'autore della premessa al nostro gioco di ruolo, Elish.
Mi si è avvicinato sorridendo per ricordarmi che poi io il suo esame non l'avevo più verbalizzato.
All'esame, la scena fu indimenticabile.
Poco tempo prima, in occasione della giornata ludica promossa dal comune (eh sì, se ne fecero anche di queste cose), nel cortile della Caserma Sani, della mia facoltà, avevamo allestito dei tavoli di gioco, ed io avevo fatto il master di Elish, facendo giocare altri studenti come noi. Lui faceva On Stage!, un altro ragazzo mi pare Martelli da Guerra...
Il giorno dell'esame, il cui programma verteva sui giochi di ruolo, io ero fra gli altri in attesa. Quando mi chiama, mi alzo, mi siedo davanti a lui, lui mi guarda, pensa un secondo, si stupisce e mi fa:
"Scusa, ma io a te che ti chiedo?"
Poi, per un problema di registri fatti con votazioni in 'crediti' per l'ordinamento triennale, non verbalizzai.
Peccato, era un bel 30...
Comunque, a Lucca, mi infila la pulce nell'orecchio; se non mi laureo entro quest'anno, dice, mi passano d'ufficio alla triennale.
Sbianco.
Il mio primo pensiero - giuro! - è andato alla pensione.

Io col contratto a progetto vado avanti solo a pensione integrativa.
L'ho fatta alle Poste. Quando l'ho sottoscritta, la tipa mi ha mostrato una tabella - che ho tuttora nel mio cassetto - che faceva vedere con quanti anni di contributi ottenevo cosa.
Se andassi in pensione a 65 anni, mi sarebbe corrisposto un valore di circa 500 euro.
Non a caso si chiama integrativa.
Ma integrativa de che?
Se non c'è altro, io vado avanti con quella. E' vero, verso i contributi (credo) all'Inps con la gestione separata, ma di queste cose non capisco niente - e sarebbe ora che imparassi a capirle.
Così, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato il riscatto degli anni di università ai fini pensionistici. Puoi riscattare tanti anni quanti sono quelli della durata accademica del corso (quindi non i quindici che sono ora tra in corso e fuori corso) e considerarli come lavorativi, versandone i corrispettivi contributi.
Ed è chiaramente una ben diversa cosa se si parla di cinque anni o di tre.

Assai turbato all'idea, provavo a sentire qualcun altro che di quegli aspetti universitari si occupa: il mio (oramai ex) collega d'ufficio Americo, che alla mia facoltà insegna, in effetti sembrò convinto di poter confermare la cosa.
Un po' meno Giuseppe Anzera, all'epoca assistente di Sociologia delle Relazioni Internazionali adesso non so, che - beccato a culo sulla metro - mi disse che secondo lui non era vero.
Davide Bennato invece - incontrato plurime volte in metro - non l'ho più visto, e per mail non mi ha risposto.
Peccato due volte, perché la mia tesi potrebbe finire in mano a lui...

Ad ogni modo, dopo essermi spulciato fino all'esaurimento il sito (improbo) internet della mia facoltà (ma abbattetelo e fatene un altro per Dio! Dov'è la Comunicazione, nel sito di Scienze Della Comunicazione?!???) ed aver reperito quelle informazioni che potevano essere interessanti, oggi si presentava l'occasione migliore.

A lavoro, il delirio è tale che ieri e ieri l'altro accusavo un profondo stress nervoso.
Perché quando ti chiedono una lavorazione urgente che guarda caso è relativa alla stessa lavorazione fatta - toh! - due giorni prima, che a sua volta era uguale a quella di tre giorni prima... eccheccazzo, anche i santi smadonnano se gli chiedi di fare tre volte la stessa cosa!
"Scusa, mi vai a prendere un bicchiere in magazzino?"
"Uno?"
"Sì, uno."
[...]
"Eccolo."
"Ah, grazie. ...scusa, me ne vai a prendere un'altro?"
"Un'al-?!? Ecchecc... Vabbè, uno?"
"Uno."
"Solo uno?"
"Uno, sì, uno."
[...]
"Tié, eccolo."
"Ah, grazie. Senti, ne servirebbe un altro."
"EVVAF[***]"

Ora, immaginatevi che la scena qui sopra si svolga per due diversi oggetti in contemporanea.

Bene, oggi, visto che stavo male da inizio settimana, mi son preso un giorno di ferie.
Mi sono perso la seconda riunione per la formazione della RSU, anche se col contratto a progetto non me la son sentita di essere fra i firmatari. E mi son perso un altro giorno con Caterina, che viene a vedere i film per la tesi e che è molto carina.
Tra l'altro, proprio ieri ho scoperto che NON hanno preso al primo anno la ragazza del propedeutico che mi piaceva, Martina. Quella cui avevo chiesto il numero e me l'aveva dato.
Quante cose cambia una semplice vocale...
E poi Jodi che confessa candidamente che quando è ubriaca bacia tutti, e Anna che non capisco quanto mi piaccia e...

Ma sto divagando, torniamo a noi.

Oggi dormo fino all'una (ci voleva, cazzo!) poi pranzo ed esco.
Sigaretta post-prandiale tra le labbra mi dirigo verso la fermata della metro, sciarpa di mia cugina al collo e cappelletto verde con visiera ben calcato in testa, in una giornata fredda come poche, ma piena di sole.
Attraverso la strada, guardo a destra e sinistra per non esser messo sotto così, tanto per sfiga, e quando metto piede sul marciapiede dall'altra parte ho una stramaledetta folgorazione.

Perché non mi laureo?
Tutto mi sembra improvvisamente così ovviamente imbecille.
Quante volte mi son trovato a dire, allo psicologo come agli amici, che mia madre mi giudicava soprattutto per quella ch'è stata la mia carriera scolastica? Ve lo dico io, infinite volte. E' uno dei leit motiv della mia vita, e non solo della mia: sono pur sempre il figlio di una professoressa.
E il più piccolino, sempre giudicato intelligente.
Quello che ha sempre brillato per i suoi genitori e per tutti per la sua intelligenza, valutata sul metro dei risultati scolastici, mentre al contrario da una certa età in poi si autopercepiva di più per la sua bruciante ironia, piuttosto. Il bimbo portato in palmo di mano e mostrato a tutti con orgoglio per i suoi risultati (e di converso per tutto il resto) e l'adolescente che trovava il suo posto tra gli amici per la simpatia, e in casa lottava per averlo facendo suo il motto "ne uccide più la penna che la spada", o "meglio un amico perso che una battuta non detta". Che pronunciava le sue stilettate ironiche verso il padre/autorità fisica, con già il piede alzato e le mani sul bordo del tavolo per darsi la spinta necessaria alla fuga prima che la frase fosse finita.
Che ancora adesso è la parte preferita di me.
E allora? Finora incapace di fare due più due e di ammettere che se non mi laureo è per un problema con mia madre, lo stesso all'origine della crisi al secondo anno di università.
Adesso come allora, non voglio - rifiuto di - essere giudicato per quello che è il mio risultato scolastico.
Banale, minimale. Altro che la poesia della sindrome di Peter Pan.
Che oddio, in fondo un po' c'è, se la declini nei termini del rifiuto di crescere per virtualmente 'punire' qualcuno dei tuoi affetti (che poi a rimetterci sei il solo).
Una fetta fondamentale, se non l'unica, del mio blocco universitario è tutta insita nel concetto del riconoscimento. La laurea è un riconoscimento.
Io i ricnoscimenti l'ho disconosciuti tutti: il bravo ragazzo, quello intelligente, studioso... forse l'unico che non disconosco è il ragazzo saggio, perché me lo son costruito io.
Ma lì, in ambito scolastico, la lingua batte dove il dente duole. Quello è l'ambito che almeno io ho preso a simbolo di modo di crescere e di esser cresciuti contro il quale mi batto e mi sono battuto per riconoscere un'autonomia a me stesso, anche nei confronti del mondo.
Adesso il discorso è appena saltato alla luce, è ancora acerbo, confuso. Merita di essere approfondito in seguito, magari.
Magari dopo una pinta di birra.

Così, poco dopo essere uscito di casa, mi sono mischiato alle scolaresche in libera uscita, diretto alla metro con una nuova consapevolezza da sviscerare e analizzare nelle sue implicazioni.
E mentre cammino fra i bambini appena usciti da scuola, mi sento apostrofare da una voce femminile d'infante.
"Scusi, ha un accendino?"
Mi giro con due occhi tanti. Avrà si e no diec'anni, dodici.
Il mio sguardo cambia, e diventa il rimbrotto paternale che dice "Alla tua età?...".
Accadono due cose in contemporanea: lei capisce cos'è che ho capito io, e lo stesso fanno gli altri bambini, e mi mostrano un fuoco d'artificio che hanno in mano. Dicono:
"Ma no, è per questo!"
Io invece sono più lento, ci metto di più a capire. Mi resta lo sguardo malfidato e giudicatore.
E mi prendo la spettacolare battuta della ragazzina:
"Ahò, siamo ancora giovani: se non le facciamo adesso quando le facciamo 'ste cose?!?"
Mi sento scemo e felice, gli accendo la miccia e mormoro
"Però non lo buttate in strada..."
E me ne vado, aspettandomi un bel botto.
Invece si sente come un moscone impazzito, e capisco che non è un fuoco d'artificio di quelli che esplodono, ma di quelli che volano. Mi giro subito, ma niente, me lo sono perso.
Solo dopo una decina di metri mi viene da ridere, ma non so perché mi viene subito in mente un certo senso di colpa. E penso che una volta ridevo di più, molto di più e con più gusto.

Prendo la metro e scendo a Vittorio Emanuele, raggiungo la succursale della mia facoltà, dov'è la segreteria studenti, pensando alla fila che mi toccherà fare, al freddo bestia che fa anche nei corridoi perché lì non ci sono termosifoni...
E mi sorprendo teso, in ansia, coi muscoli tirati.
Ma perché? Che sto andando a fare che mi 'spaventa' tanto?
Ancora non l'ho capito, ma ho cercato di mandare a mente la sensazione: una sorta di compressione toracica, come quella che puoi sentire sdraiato a terra con uno seduto sulla tua schiena. Non sei padrone di allargare i polmoni oltre un certo spazio, e ti arriva una certa fitta dallo sterno quando ci provi. E' anche vero che sto un po' pecetta, ma quella aveva tutta l'aria di essere una cosa psicosomatica.
Troppo tempo distante da quel mondo per non accusare un eventuale ritorno in una terra ormai straniera.

Parlo con la segretaria - miracolo!, un viso conosciuto e pure molto più rilassato rispetto a quando la soprannominavo "quella stronza" per distinguerla dagli altri (non lo è più, per fortuna) - e scopro che:
- rientrerei nella legge per il recupero dell'abbandono universitario (come pianificai)
- che non son più 200 ma 250 euro per ogni anno d'iscrizione saltata
- che devo ricalcolare il mio ISEE, che ancora non ho ben capito che è, un indicatore di capacità contributiva presumo, prima di poter stampare il bollettino per il versamento; e che quindi
- devo ritornarci (ma era ovvio, quando mai si risolve tutto con una sola fila?)
- che sono già in mora
- che se mi dovessi iscrivere potrei sostenere la tesi da giugno 2009 a febbraio 2010, ma non fatevi prendere da facili entusiasmi perché
- non è vero che mi passano d'ufficio alla triennale, anche perché mi manca solo la tesi (ma questo l'ho scoperto altrove)

A questo punto, mi faccio stampare un modulo che certifica gli esami sostenuti che a loro risultano (oltre a quello che vi dicevo mi sa che ne manca un altro, devo vedere) e ottengo anche un bollettino per l'eventuale versamento dei contributi per gli anni mancanti e un modulo per la domanda di reintegrazione agli studi.
Una volta fuori, decido di andare alla segreteria didattica (ovviamente alla sede principale di via Salaria) per scoprire che fine ha fatto, farebbe, farà la mia domanda di tesi già assegnata.
Ci dò giù di scarpe ed autobus e la raggiungo. Non mi fa un effetto eccessivamente straniante rivarcare quelle mura, perché in fondo mi sento sempre un po' a casa (tredici anni lì dentro pochi non sono) anche se ormai non conosco quasi più nessuno e devo persino chiedere informazioni su dove devo andare.
E mentre ci vado, ecco che ti vedo seduto Riccardino.
Completamente perso di vista da anni, ma mi fa comunque piacere rivederlo. Di solito ci si becca a Romics, ma quest'anno non poteva. Adesso lavora alla SIAE, e pure lui in maledetta attesa di assunzione a tempo indeterminato.
Mi accompagna su e, altra piacevole sorpresa, c'è sempre la Brandimarte.

Io adoro quella donna.
Mai incontrata persona più disponibile e gentile. Una volta, per la consegna di un modulo, si propose di consegnarlo lei al posto mio in segreteria, evitandomi la fila. Ed era la fila quella della "sveglia-alle-sette-di-mattina-in-coda-alle-otto-esci-a-mezzogiorno".
Mi siedo a parlare con lei e scopro che la tesi dovrebbe ancora essere assegnata alla cattedra/e di riferimento, perché nonostante se ne sia andato Abruzzese, che era il mio relatore, le sue tesi dovrebbero essere divise fra Bennato (magari!) e la a me sconosciuta Giordano. E ancora una volta, disponibilissima, mi cerca telefoni, email e orari di ricevimento e - quando scopre che proprio oggi e proprio a quell'ora Davide faceva ricevimento - mi accompagna su.
Putrtroppo non c'è nessuno, e Mickey Mouse (Michelino Sorice) si affaccia per chiarire il possibile equivoco. Non mi riconosce, e ci resto male. Sparisce prima che possa rinfrescargli la memoria, a lui che venne a sentire la sua ragazza recitare poesie al Palazzo delle Esposizioni e si trovò ad acoltare anche me, lui che ci metteva i lucidi con la faccia di Babbo Natale per farci gli auguri prima delle vacanze... Lui che si stupì perché avevo preso un 25 al suo maledettissimo esame.
^_^
Allora scendo giù con Riccardino, andiamo a prenderci un caffè, incrociamo e mi presenta la sua svampitissima amica sarda di Olbia Valentina, un puffo allegro e fuor di cotenna che sta aspettando che il suo ragazzo finisca la lezione. E in mezz'ora diamo sfogo a battute, battute idiote, trivialità sessuali e tutto il vecchio repertorio rinnovato. Ci scambiamo i numeri di telefono, il contatto su Facebook...


E poi mi giro e c'è Chiara davanti a me.
E' lì, elegante, bella, per nulla sconvolta, ma io non posso fare a meno di chiedermi quale Chiara mi trovo davanti, quella sana o quella malata, quella in cura o quella bombata. E di chiedermi io cosa farò, cosa voglio fare: scappare, abbracciarla, farci immediatamente l'amore, respingerla...
Cerco di analizzare le mie emozioni, mentre la guardo, la saluto, comincio a parlarci e nemmeno mi rendo conto che Riccardino squaglia portandosi via Valentina, e adesso mi chiedo se glielo avevo racontato, se Riccardino sa - perché lui all'epoca c'era - o l'ha capito perché all'improvviso era come se una nuvola fosse scesa su di me.
Mi chiede subito di Francesco, Chiara. E in fondo me l'aspettavo, o forse no.
Del resto, per qualche ora sono stati insieme, prima che lei lo terrorizzasse facendolo scappare a gambe levate. E glielo devo, spiegazioni chiare sull'accaduto, dall'inizio, anche se poi non le completo.
Lei ha visto i volantini a stazione Trastevere. Quando? Due giorni dopo che li abbiamo messi. Come fa a sapere quando li abbiamo attaccati? L'avrà chiesto...
E mi chiede il numero, e una parte di me dice "non darglielo!" e l'altra non desidera altro. Ho paura, terrore, che ricomincino le telefonate assurde tipo "vedo il sangue che sgorga dal pavimento" che non fanno altro che sancire la mia impotenza, e non vedo l'ora di ristabilire un contatto perché come lei non ho mai amato nessuno nella mia vita e sono otto anni che sono single.
Sta bene, è bella, si vede che anche lei non sa come approcciarmi.
"...ci contavo proprio d'incontrarti così, uno di questi giorni." - dice.
Io le sorrido, cerco di farle capire che mi fa piacere, anche se non so se è vero, ma è che non so che dirle.
Mi chiede di accompagnarla su, a lezione. Sta seguendo un seminario sulla scrittura. Mi accenna a un libro che vuole scrivere, per ora sono poesie, deciderà poi se integrarle nella narrativa o lasciarle come raccolta.
La lezione non è iniziata, usciamo a fumare. Troppe, troppe sigarette, non dovrei. Ma le offro della liquerizia e ne prendo anch'io per fumare con lei. E mi racconta della terapia. Sono tre anni. Ed io già mi sento meglio.
"Eri tu che la stavi facendo...?"
Sorrido, stavolta sì di cuore, e annuisco. Non lo dico, ma è una campana dentro di me adesso: "la faccio da quando ci sei stata te nella mia vita, amore mio. E sono più di tre anni, per me".
Mi racconta che si è messa a piangere. Perché "Chiara sta ricostruendo".
"Da dove parti?" - le chiedo.
"Da me." - risponde.
Spegne la sigaretta, stiamo parlando degli alti e dei bassi, dei buoni e dei cattivi momenti e come questo si colloca tra loro. Le dico che mi hanno pubblicato un racconto, e sono felice di dirglielo. Non riesco a propormi di dargliene un copia. Ancora non riesco a capire se ho paura o la voglio rivedere.
Lei sta per andare a lezione.
Ci abbracciamo. La bacio più volte sulle guance, salutandola, ed ho desiderio irrefrenabile delle sue labbra. Ma non le concede. Sulle scale a fumare, mi ha detto che sta vendendo la vecchia casa, e che abita altrove non da sola.
Solo col senno di poi intuisco che forse voleva dire che è impegnata.
L'abbraccio ha qualcosa che non va, è forte, ma non è pieno.
La vita me l'ha messa davanti troppo in fretta, non ero pronto, non so ancora come reagire. Sento che le fa piacere che l'abbraccio, ma... c'è come un vuoto. E quando esco non sono sconvolto, né stravolto, ma nemmeno sereno.
Se la vita me l'ha fatta ritrovare adesso, non è perché adesso non è un bel momento e ritornano fuori tutti i problemi irrisolti; non è nemmeno perché altre cose, sentimentalmente parlando, potrebbero andar bene - e lei esce come un fantasma per rovinarle o per farle nascere bene dopo aver regolato i conti delle mie emozioni in sospeso.

Chiamo immediatamente Gabriele, perché questa cosa è talmente grossa che va condivisa.
E lui mi fornisce l'appoggio equilibrato che volevo: mette le cose in prospettiva, mi aiuta ad affermare che in effetti va tutto bene, che l'unica cosa che non devo fare è ragionare in termini di passato - perché quel che era, appunto, era; e quella che ho di fronte è una persona nuova, negli stessi termini in cui lo sono io.
Ed io mi scopro a pensare che, molto zen, se l'ho incontrata è perché la dovevo incontrare.
E devo lasciare che tutto, e il resto, scorra secondo la corrente.


GrimFang

2 commenti:

mò... ha detto...

enri!!!ma questo è un megavvenimentone!!
Mi sarebbe piaciuto, e mi piacerebbe, esser eli ad ascoltarti sai?
un pò mi manca...un bel pò...
ma...ecco...sono in disperata ricerca di energia che a volte non trovo...sono un altalena emotiva che nn riesce a trovare stabilità..
Avrai pazienza e modo di mantenere vive le emozioni, così da "regalarmele"appena torneremo ad abbracciarci?
e aspetto anche il tuo racconto...

GrimFang ha detto...

Sai che cercherò di passarti tutto così come l'ho vissuto...
E ogni tanto, l'energia, fattela dare tu. ^_-
Un bacio,