L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

venerdì 28 maggio 2010

Non recriminerò su questi dieci euro

E' simpatico passare una giornata lavorativa a combattere con la migrazione dati.
Ovviamente, l'ironia si spreca.
La cosa più snervante in fondo è anche la più divertente: assistere (e partecipare) ai dialoghi tra il tecnico informatico e la responsabile della banca dati. Perché se uno si astrae un attimo dalla discussione, sembra che uno parli un dialetto e l'altro uno simile ma diverso, col risultato che usano gli stessi termini in modo diverso e ci vogliono dieci minuti buoni per spiegarsi su ogni argomento. Trovandosi poi sostanzialmente d'accordo.
E' l'impalpabile distanza fra il teorico e il pratico: tra la forma e la sostanza.
Per chiarire con un esempio, il tecnico aveva rimandato un punto in discussione che poi s'è trovato davanti come codice: se hai la possibilità di correggere subito ne approfitti, no? Lei pensava che si rimettesse in discussione il punto, e giù da capo a dodici.
Se poi osservi la mole di lavoro che ti si ammassa

Tutto prende una piega ancora più ironica - e amara, purtroppo - se entra un tuo collega a farti vedere nero su bianco come il posto su cui poggi il culo e da cui la tua vita economica dipende improvvisamente non sia più sicuro. Proprio ora che avevi un contratto triennale.
Col quale, a quanto pare, puoi pulirti il cosiddetto.
Mamma Stato non taglia i fondi. Li cancella.
Così.
O si diventa un ente del tutto privato, e in qualche modo si trovano i fondi, o ciao a tutti, si chiude baracca e burattini e tutti a casa.
Per primi quelli a progetto.
Anzi, per primi quelli in sostituzione di maternità, appena gli scade il contratto. Figurati se glielo rinnovano in altra forma.
Ed io, per i mesi, magari gli anni, in cui resterò nella videoteca, perderò Valentina, nonostante tutte le carte false - e ne ho fatte parecchie - per tenermela come collega.
Ne dico una per tutte: visto che s'è laureata a Bologna con una tesi sui documentari di un certo fondo, e noi abbiamo proprio quel fondo da inventariare, avevo suggerito che, quando possibile, lei fosse mandata a occuparsene. Così ce la mandavo verso la fine del contratto e davo un input in più per farglielo rinnovare.
E il direttore generale aveva approvato.
Ma lui... eh, lo sapeva, il gran paraculo.
Ecco perché da un mese girava voce che avrebbe mollato per andarsene a L'Aquila.
Finalmente sappiamo. Che paraculo.
A L'Aquila, poi: dove in questo momento il governo ha le mani legate e figurati se taglia i fondi a una zona terremotata da rilanciare.
Che paraculo.
I topi se ne vanno quando la barca affonda.

Eppure non riesco a odiarlo, c'è quasi una grossa stima, anzi.
Perché in fondo il dg, per quanto intrallazzino, a volte dispotico e sordo, è uno che lavora. E' uno che mi ha sempre dato l'idea magari di una non ottimale integrità morale (comunque ben al di sopra di molti altri casi che sento), ma di sicuro piglio decisionale e dedizione all'azienda. Salvo alzare i tacchi quando la situazione sembra compromessa - cosa che non è affatto detta.
Comunque, staremo a vedere, e quel che sarà sarà.

Eppure, non ha inciso tanto sull'umore.
Magari, più tardi, mentre tornavo a casa dopo aver recuperato il telefonino dall'assistenza, se mia madre mi chiama per dirmi che la Casa del Cinema resta chiusa in memoria di Furio, e scopro che lei si trova alla messa in suffragio a un mese dalla scomparsa... Alla quale non m'ha invitato perché s'è scordata... Ecco, magari lì ci resto male.
Anche se pure lei, fra nipotini e rapporti tesi con mia sorella e papà che non sta tanto bene, insomma... ci sta che se ne sia dimenticata. E visto il carattere ci sta anche che non si scusi.
E magari ci sta anche anche un pizzico di gelosia per l'affetto che porto a Cora, la moglie di Furio.

Ad ogni modo, uscendo dall'ufficio dopo averci scaric... ehm, depositato le due bitte di cartapesta vinte a San Cleto, ero in uno stato d'animo particolare.
Non so... forse leggero è il termine che ci si avvicina di più.
Avevo l'umore come il cielo, per chi l'ha visto su Roma oggi alle cinque. Un grigino velato d'azzurro e di giallo polvere del deserto. Non pesante.
Ho preso la Tuscolana - ero in macchina per via delle bitte di cui mi dovevo liberare, e di un certo qual ritardo con cui mi sono svegliato stamattina (ho dormito quattro ore perché mi sono visto in streaming "Fired up!", un filmetto, ma completamente pieno di belle figliole) - e ho fatto inversione per tornare sulla Togliatti. E mentre ero al semaforo davanti al centro commerciale l'ho visto.
Era a bordo strada, timido, con un cartello che chiedeva le elemosina per lui. Sopra c'era scritto che aveva due bambini. Come se ne vedono tanti.
No.
Non come se ne vedono tanti.
Grazie al cielo come lui se ne vedono pochi.
Cerco, in queste righe, di descrivervi un attimo. Un lungo, prezioso istante.
Io che sto in macchina, che lo vedo, che lo riconosco come mendicante e un movimento di ciglia dopo lo disconosco come tale. Lo vedo vestito pulito, curato, decente, nella sua camicia jeans blu. Lo vedo mentre cammina, pianissimo, lungo il marciapiede erboso a bordo carreggiata. Ne memorizzo lo sguardo, che guarda verso le macchine, ma al tempo stesso cerca di evitare la gente. Lo vedo accennare in un minuscolo movimento delle mani che reggono quel cartello la sua richiesta muta d'aiuto. Lo vedo tentennare, chinare il capo, chiedersi impacciato come si fa.
Non lo vedo girare aggressivo o disperato tra le macchine come fanno in tanti. Non lo vedo imporre la sua presenza. Non lo vedo accusarti silenziosamente di non concedere qualche spiccio a qualcuno che più o meno ne ha bisogno.
Vedo un uomo che lotta per ingoiare non il suo orgoglio. Ma la sua dignità.
Vedo un uomo che cerca d'imparare la sua ultima spiaggia, cercando l'equilibrio tra la propria storia, il suo passato, il suo presente, la sua vita, la sua famiglia, la sua sfortuna e quella cosa là. Quello che non avrebbe mai pensato di trovarsi costretto a fare.
Apro il cassetto dove tengo gli spicci per i lavavetri, prendo i venti centesimi che ci sono dentro e glieli porgo. Tendo il braccio verso di lui, che mi vede, guarda la strada, non sa se può attraversare per avvicinarsi a me e prenderli. Poi viene, incerto, li prende e ringrazia.
Non li guarda, li mette via. E scompare dietro la mia vettura, lasciandomi con la consapevolezza, figlia di quell'istante, che venti centesimi non sono niente. Non servono a nessuno.
A una zingara che stava alla fermata Metro vicino casa dei miei ogni tanto, una volta ogni uno-due mesi, gli davo cinque euro, dicendomi che era come se le avessi dato dieci centesimi ogni giorno. E m'infastidì quando più o meno cominciò a marciarci.
Ma oggi, non c'era nulla di tutto questo. Lui, almeno per ora, non avrebbe marciato su nessun singolo centesimo guadagnato in questo modo. Per ogni bottone, sputo ricevuto, avrebbe detto grazie. Perché qualcosa, anche un mi dispiace è meglio di niente.
E a me scattava il verde, mentre improvvisamente quel due bambini sul cartello non restava l'anonima scritta vista cento volte per strappare qualche spiccio sulla cui verità ho smesso di interrogarmi da tempo perché non posso, ed è vero, farmi carico dei bisognosi del mondo, ma nemmeno di quelli che incontro; diventavano due bambini veri, a casa in attesa di un padre rimasto senza lavoro.
Una fabbrica che chiude, un'attività che sta andando male, una proprietà pignorata - e affanculo le responsabilità, che fosse colpa sua o meno non cambia.
E il traffico mi mandava già al successivo semaforo, mentre mi sentivo smarrito. Non per me, per lui.
Chi mi conosce sa che a volte sono molto in grado di mettermi nei panni altrui.
Tanto che qui adesso sto seduto a scrivere come un cretino, e mi tocca cancelare e riscrivere perché con le lacrime sbaglio a battere i tasti.
E più andavo avanti più mi sentivo già in colpa. Un mancato soccorso. Un mancato abbraccio.
Fin dal primo semaforo, il suo, avevo pensato di accostare, parcheggiare, tornare indietro e dargli cinque euro. Avevo anche controllato il portafogli per vedere se li avevo. Poi era scattato il verde. E non mi ero accostato.
Pensavo se dargli dieci o cinque euro, mi dicevo che se glieli davo e mi faceva una faccia come a dire "sono tanti" protestando perché mi faceva pena e lui non voleva pena, o al contrario se non voleva prenderli per cortesia, gli avrei detto che per me erano un cinema in meno, e lui ne avrebbe fatto un uso migliore.
Pensavo che avevo voglia di abbracciarlo, come ogni tanto mi è capitato di fare con perfetti sconosciuti che ne avevano bisogno. Come Maria Teresa, di cui nessuno di voi credo sappia, e che solo ora noto buffo sia omonima della ragazza che mi piace al momento. Pensavo che gli avrei detto "se non ci si aiuta fra esseri umani, cosa esistiamo a fare?".
In realtà pensavo solo che volevo aiutare. Disperatamente aiutarlo.
E se la macchina mi portava avanti, verso il negozio del cellulare che alle sei chiudeva, ed ero già parecchio in distanza, questa volta non potevo chiudere dicendomi "sarà per qualcun altro un'altra volta". Non potevo tirare dritto dicendomi hai risparmiato.
Perché sapevo che non me la sarei perdonata.

Ho sterzato al quarto, quinto incrocio, e sono tornato indietro.
Ho fatto manovra e gli sono ripassato davanti, stavolta vicino al marciapiede erboso.
Chissà se mi riconosce per quello di prima, mi sono chiesto, e l'ho sciacquato via dalla mente come un pensiero non importante. Il semaforo verde mi ha costretto a rallentare mentre lui già tornava indietro, ed è stato meglio così. Se ci penso adesso mi dico che sarebbe stato orribile, per me, farlo venire a prenderli da me: perché ero io che ero tornato da lui. Era aiuto, non elemosina.
E quando gli stretto la mano, passandogli i soldi, di tutte le frasi che avevo in mente, è uscito solo lo splendido, spontaneo "resisti", pronunciato come un sussurro.
"Grazie, grazie, grazie." - è stata la mia ricompensa.

E mentre andavo via, mi sono sorpreso come un bambino ad osservare quanto è bello il mondo.
In una giornata grigia, coperta, meravigliosa.
E, stupito, ho compreso che per smettere di vedere il brutto del mondo, basta toglierlo da sé.

Dunque, non recriminerò su questi dieci euro.
Perché non potevo impiegarli meglio.


GrimFang

Questa è la musica che ho ascoltato scrivendo. Meravigliosa e struggente. Rileggete ascoltandola, se volete piangere.
...anche voi.

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