L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

martedì 28 agosto 2007

Sud

Ho finito il libro.

Ci ho messo un po', mi sono preso delle pause, ma ieri (o addirittura ier l'altro?) l'ho finito.
Il pezzo di Pachita che vi dicevo non ho ricordato bene qual'era, ma m'ha fatto star male ugualmente.
Già, star male.
Perché è proprio lì che si gioca un conflitto a me interno. E quando la lingua batte dove il dente duole...
Il fatto è che certi racconti, magari così crudi, di vera e propria 'magia' (e intendo la magia sporca e brutale, quella 'vera' del voodoo, mica quella di Harry Potter), li trovo disturbanti. Come le storie di fantasmi.
Il mio io cosciente, razionale e scettico, li rifiuta, ne rifiuta la veridicità come l'occorrenza.
Il mio inconscio, emotivo e suggestionabile, li accetta in pieno, almeno come verosimilissimi se non veri. Anzi: vista la poderosa reazione che di solito scende in campo in occasione dell'occorrenza (e non mi riferisco a quando ne parlo), reazione per lo più negativa tra l'altro, come il senso di ansia e in generale il mio disagio, verrebbe da dire che il mio insonscio in qualche modo 'sa' della verità di quello che comunemente viene etichettato come 'soprannaturale'.
In realtà, quello che etichettiamo come 'soprannaturale' per me è semplicemente 'diverso dal normale' e quindi, come il normale, altrettanto possibile. Concedetemi, quantomeno ipotizzabile.
Quindi, basta vedere - come fa Jodorowsky - il mondo in una diversa prospettiva, ovvero quella in cui siamo talmente tanto imbevuti di cultura razional-occidentale da rifiutare ciò che varca quei limiti, per avere un nuovo, e più aperto, punto di vista.
E' questo che mi interessa.
Il libro è ricchissimo per farne un riassunto, o anche solo per citarvi alcuni degli innumerevoli punti che personalmente trovo salienti. Quindi, l'unica cosa che posso fare è dirvi "leggetelo".
Quello che vi posso dire è che per me si tratta di un testo che devo assolutamente rileggere, per ricavare nel tempo dalle mie riflessioni quegli insegnamenti che mi possono aiutare a progredire nel mio personale percorso, che è e non è al tempo stesso psicomagico.
Sicuramente da questa lettura ricaverò degli insegnamenti attoriali, e magari anche di scrittura.
Ma questo è un libro che ha parlato proprio al senso (inteso come direzione) della mia vita.

Non vedo in Jodorowsky un maestro.
Non ancora, almeno.
Lo vedo più come un compagno di viaggio, qualcuno che ha percorso alcuni passi in comune con me (e sono molti, dannazione, sono davvero molti!), magari anche differenti dai miei, ma la cui sostanza è comune, comune l'insegnamento ottenuto.
In alcuni momenti l'ho persino percepito troppo pericolosamente vicino alla mia esperienza, quel tanto che basta per metterne in pericolo e non in discussione, la sua propria evoluzione successiva, che deve essere indipendente. Perché io non sono Jodorowsky, concetto lapalissiano.
Eppure anche lui mischia filosofia zen e misticismo orientale, riflessioni sui sogni e sul mestiere teatrale, la lettura dei tarocchi e la psicologia. Ed è solo lui che mi rivela con totale semplicità la via d'uscita nel conflitto derivato dal mio uso e applicazione della mia - rudimentale - psicomagia, l'Imbroglio Sacro.
E' sempre di conforto sapere che qualcuno ha percorso la tua stessa strada, trovare conferme a riflessioni che hai autonomamente sviluppato. Ma Jodorowsky, anche anagraficamente avvantaggiato, ha avuto un cumulo di esperienze ed ha un bagaglio culturale neanche lontanamente paragonabile col mio.
Io sento di essere ancora all'inizio di un percorso lunghissimo, e di avere con me praticamente nemmeno uno zainetto minuscolo di conoscenze. E sento - so - di essere ancora mostruosamente bloccato, di dover superare le mie impasse e le mie paure, di risolvere i nodi che lui direbbe genealogici per poter finalmente ottenere quella serenità di partenza - priva di ansie o dubbi - che sola ti consente di lasciarti andare. Quella incrollabile fiducia. Quella fede.
Finché il mio io razionale dichiara guerra al mio inconscio, tutto sarà infinitamente più duro da affrontare.

Non credo di voler incontrare Alejandro Jodorowsky e al tempo stesso ne vorrei avere l'occasione. Temerei di farmi leggere le carte o avere un incontro al suo "Cabaret Mystique". Ma al tempo stesso è giunto il tempo che io mi confronti con me, se voglio sbloccarmi e 'guarire'.
Credo che il prossimo passo sarà leggere il suo libro sui tarocchi e le opere di Castaneda.

E così, seguo il precetto zen secondo cui ogni cosa ha il suo tempo e fondamentale è l'ascolto e la propensione attiva per cogliere attimo e occasione, che ben si combina con la scelta di una direzione, con i tentativi e gli errori.
E se non sono riuscito a condividere con Erica parte di queste scoperte, e sento di aver 'perso l'attimo', poco male. Verrà il momento, del quale forse non è ancora ora, e sentirò che allora deve accadere.


Nel frattempo vago, senza riuscire a scrivere, privo momentaneamente di orizzonti. Perché ho tante cose da dire, senza intuizioni lucide su quello che sono, e quali parole vadano usate per dirle.
Ho ripreso a scrivere "I consigli di un padre" in una stesura migliore: non era una delle cose in progetto, ma deve pur esser fatta se voglio metterlo in scena prima della fine di quest'anno - sarebbe meraviglioso (e impossibile) entro settembre...

Ma sono un paio di sere che mi capita di ascoltare in macchina una cassetta degli Almamegretta (vedi anche qui).
E trovarmi a pensare alle radici più o meno lontane che mi legano al Sud, ed a sentirne l'orgoglio.
Un Sud che non è solo geografico, ma è un luogo di sole e calore, fonte di vita, è un luogo dell'anima.
E' una bella sensazione, a prescindere dall'avere o meno una mamma calabrese, come ho.
Ed è anche un desiderio.
Un po' come il tornare a casa, ecco.
Trovare il mio Sud interiore per rimettermi a posto in quel luogo vitale, ascoltando e guardando scorrere il tempo senza che sia necessaria un'azione.
Che deve essere comunque possibile.
Questo luogo che sto immaginando di attesa ed immobilità è invece il più attivo possibile: nell'osservare si riflette, si cresce, si pensa. Ci si nutre dell'essenza stessa dell'azione, che è la conoscenza; e questo senza che l'azione sia priva dunque d'indirizzo o fine a se stessa, e senza che il pensiero sia privo d'indirizzo o fine a se stesso (leggasi pippa mentale).
Un luogo così desiderabile che è il preludio di ogni cre-azione, e il serbatoio di ogni energia.
In una parola, il centro.

E mentre mi sento intorno questo venticello fresco, tanto più brezza quanto più è immaginato bene, mi godo quest'immagine mentale di pomeriggio tranquillo e contemplo/valuto le mie possibilità di agire.

Tra poco, è Venezia...

GrimFang

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