L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

venerdì 15 febbraio 2008

De Osmosis

Sopravvissuto alla prima settimana.
E' tutto quello che posso dire.
Mi sento stanco, svuotato, in fondo contento di aver saputo reggere all'impatto (dal quasi fancazzismo all'oberazione pressocché totale), ma anche con un fondo di amarezza. Forse è rimpianto per i bei tempi perduti.
Quando potevo mettermi anche a scrivere i miei soggetti e le mie sceneggiature...
Non scrivo più sulla mailing list delle cazzate, ad esempio, e nemmeno faccio in tempo a leggere quanto hanno scritto gli altri. E la posta si accumula.
A casa, poi, arrivo che mi sento un po' uno straccio, e decisamente mi pesa il culo: capita così che resto a fissare il monitor anche solo in attesa di capire che cosa voglio fare: riordinare le mie cartelle di musica o mettermi a scrivere il romanzo? Scrivere i racconti per RiLL o le sceneggiature dei fumetti? Scrivere il copione di teatro o lavorare sui prototipi dei giochi?
E' bello avere scelta, è stressante non saperla fare.
Se poi ci si mette anche tua madre coi pippozzi sul lavoro e l'importanza di essere uno sistemato, tutto diventa più pesante. E persino stare alzato la notte a scrivere diventa quasi un calvario (meno male che s'è svegliata tardi, perché prima stavo vedendo un film porno ^__-).
Erika m'ha chiesto di andare a vivere assieme, quest'anno. Cerca un amico con cui dividere l'affitto. (Non fate confusione, Erika con la K)
Devo prendere seriamente in considerazione la proposta. Non solo per l'esperienza, non solo per staccarmi dalla famiglia e imparare a cavarmela da solo, non solo per l'indipendenza o la lezione sul convivere con persone diverse da te (in questo caso, molto diversa).
No, soprattutto per sottrarmi a quella che è l'osmosi con la mia famiglia.
Col mio psicologo è saltato infatti fuori questo discorso: la mia incapacità a distaccarmi dalla famiglia, ovvero a sentirmi individuo a parte. Adesso scusate se sto banalizzando tutto, ma il succo è il seguente: se non riesco a scindere quello che è il piano affettivo da quello che è la mia personale esistenza, qualsiasi cosa io faccia mi sembrerà di dare una coltellata alle persone cui voglio bene.
In pratica, qualsiasi cosa venga criticata della mia esistenza (cioè più o meno tutto, senza scherzare troppo) mi torna indietro come una coltellata a me, perché in qualche modo sento di aver 'tradito' quel qualcosa di enorme ed indefinito che è La Famiglia.
Dietro questo ragionamento c'è quello per cui un padre di famiglia di basso livello culturale può pretendere che il figlio diventi, ad esempio, avvocato; il figlio può ribellarsi - e in questo modo affermare la propria autonomia - scegliendo magari di fare l'ingegnere. Dopo il malumore e lo scontro, però, il padre può prendere atto che in fondo, magari, l'ingegnere se la passa come, o meglio, dell'avvocato. E può concludere che può 'essere fiero' (scusate, ma a quest'ora non mi viene in mente un altro termine) del figlio - ovvero riconoscerne l'autonomia e l'indipendenza.
Questo però non accade nelle famiglie di medio/alto livello culturale, nel quale i genitori mai si sognerebbero d'imporre (ma anche solo d'indicare) la strada professionale ai figli. Questo però non toglie l'ansia genitoriale che tutti i genitori provano, che qui si trasforma nel più vago 'ti devi sistemare'.
Bastardo, bastardo, bastardissimo concetto.
Perché il 'ti devi sistemare' non offre termini di paragone. E' vago, contiene tutto e nulla, e non può essere contrastato. Non ti puoi opporre. Non puoi definirti rifiutando quello che 'i tuoi hanno programmato per te'. Perché non hanno programmato nulla, anzi. Il lato bieco di questo concetto bastardo è che qualunque cosa tu faccia, non va bene. Perché ci sarà sempre qualcosa di meglio. E questa è storia di vita vissuta: all'università, il primo voto fu un 23.
Poi 28. Poi 30.
Non bastava: volevano il 30 e lode.
Al quarto esame presi trenta e lode. La frase che pronunciò mia madre alla notizia fu
"Stronzo! Lo vedi che se t'impegni ci riesci?"
Non so se riuscite a comprendere quanto sentii pesare ed echeggiare la prima parola. E da lì, lo sconforto: a che serve impegnarsi, riuscire, se poi la ricompensa è sentirsi dare dello stronzo? Tuttora non sono laureato, non sono più iscritto da due anni e se lo fossi sarei al quindicesimo anno di università. Su cinque che durava il mio corso di laurea.
E quello che credo di aver finalmente capito è che il mio non laurearmi è stato - e in parte lo è ancora - il mio 'ribellarmi', il mio cercare spasmodicamente di sottrarmi a quella 'gabbia' che mi sento addosso, che in realtà è il peso delle aspettative indefinite che i miei nutrono su di me.
Non importa che l'unico danneggiato in realtà sia io.
Non si riesce, grazie a quel concetto bastardo, a passare dalle aspettative che hanno gli altri su di te a quelle che hai tu su te stesso.
Non c'è rimedio.
Solo crescere e capire intimamente questa cosa: una volta che ne hai preso atto, il tuo istinto ti porterà ad elaborarlo per arrivare alla necessaria constatazione che tu, sei una cosa, i tuoi affetti, un altra. E viaggiano in parallelo, non in osmosi.
Per questo mi può servire andare via da casa: fuori da quell'osmosi che continua tuttora a criticare tutte le mie scelte, forse avrò il tempo e la tranquillità per guardare solo a quelle che sono le mie esigenze e le mie aspettative, cementarle e renderle forti.
Abbastanza da reggere senza problemi ogni volta che, avendo a che fare coi miei, le vedrò perennemente mette sotto pressione. Come vedo capita con mia sorella, che in quanto sistemarsi non ne ha sbagliata una.
Dunque, a quest'ottica dei miei genitori non si sfugge se non comprendendo che devo centrare me stesso, e capire che sono ansie loro, che non riguardano me. Scoprire, quasi d'un tratto, che non mi toccano più. Diventare grande.

Ho una nuova collega. Ve l'avevo detto. Francesca.
Ha preso servizio lunedì, è giovane e pure carina, ma fidanzata, scoperta dell'ultimo minuto. E, colmo dei colmi, abbiamo scoperto che entrambi domani saremo ad Ovindoli, dove io ho casa.
Senza contare che su ci sarà anche Federica, ragazza molto carina che fa teatro con me.
Di tutti gli altri cui avevo esteso l'invito per il weekend, ci sarà solo Momar, domenica. Anche Erika ha dato buca.
Un po' mi spaventa l'idea di farmi il weekend praticamente da solo, un po' mi sono rotto il cazzo di preoccuparmi; e visto che le previsioni danno sole a manetta e che è anche un gran modo di cambiar aria, dopo una settimana stressante, mi sa proprio che salirò. E a culo tutto il resto.
Accuserò la solitudine, ma potrò sempre vedermi l'ispettore Barnaby su La 7, e magari portarmi il portatile che - miracolo dei miracoli - dopo mesi che ho formattato l'hd finalmente ha deciso di farsi reinstallare un sistema operativo. Ma anche questo ve l'avevo detto.
Cavolo, la stanchezza mi fa cominciare a ripeterminciare a ripeterminciare a ripeter...
Buona viat!!

...ovviamente era 'vita'...

^___^


GrimFang

1 commento:

Unknown ha detto...

La mia di psicologa mi diede una dritta al riguardo (rapporti con la propria famiglia e crescita) un pò di tempo fa: "Le persone care si portano nel cuore, non sulle spalle". Sacrosanta verità, ma quanto è difficile metterla impratica... Lo so, soprattutto quando le persone care (genitori o amici che siano) in questione cercano di arrampicarsi a tutti i costi e se non ci riescono fanno i capricci e sanno come farti sentire in colpa. ^^ Autonomia è la parola chiave. Cmq sto leggendo un libro che caso vuole parli anche dell'argomento del tuo post, te lo consiglio, almeno per curiosità: "Lettera ad un adolescente" di Vittorino Andreoli. Ti abbraccio e mi auguro tu ti stia godendo il weekend, anche solo con la piacevole compagnia di te stesso.