L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

lunedì 26 marzo 2007

BOMBA

Visto che ero troppo scombussolato per scrivere, stamattina, ho dovuto attendere un po’ per riuscire a calmarmi e a far smettere alle mie mani di tremare…
^__^

Il fatto è che mi si presenta – di botto, come sempre accade – la prospettiva di quella che, beh, è una delle famose ‘svolte’ nella vita.
Di che si tratta?
Presto detto, andare a vivere da solo. O meglio, in compagnia.
Abbandonare l’avito nido dei genitori per tuffarsi in quella massa scura e terribile che è la propria vita: indefinita e libera in quanto finalmente autogestita.
Ho sempre amato la parola autogestione, molto più di quell’altra, ‘occupazione’. Sarà perché la prima è un termine atto ad indicare un'azione di libera scelta responsabile, e in fondo 'delicatamente' impegnativa, mentre la seconda non a caso è usata soprattutto per indicare una seria attività lavorativa, anche se ai tempi di scuola era piuttosto sinonimo di libero cazzeggio. Certo: dormivi sui banchi e gestivi in toto il tuo ambiente liceale, e ti sembrava di possedere il massimo grado di libertà nelle scelte che riguardavano la tua vita. Appropriazione degli spazi, mutualità, solidarietà, turnazioni... ma nessuno in fondo percepiva che a quella maggiore libertà doveva per forza di cose corrispondere una responsabilità maggiore: a partire dalla pulizia della scuola, al dover cucinare, al servizio d’ordine…
Ah, bei tempi…
Io di occupazioni me ne son fatte circa tre, di autogestioni due.
Gran bel liceo, a quei tempi, il Mamiani.
Comunque, slittando via dai ricordi scolastici, torniamo a noi.

Mi hanno proposto di andare a stare in due, senza farmi pagare l’affitto, ma solo contribuendo alle spese di gestione (e già questo...). E me lo ha proposto una ragazza.
Eh, già.
Erica mi ha chiesto di andare a vivere con lei.
E mi sa che accetto.
Per otto mesi circa, andare a vivere da lei, nella sua casa galleggiante sul Tevere.

^___^

Boom, eh?
Il giovane Golden direbbe ‘ragazzi, roba da restarci secco’.
A me invece è preso il panico, e tuttora che scrivo – oggi è stata una bella giornata di sole, qui a Roma – ho le mani ghiacciate.
Otto mesi perché durante l’inverno è improponibile vivere là sopra; tanto che pure lei se ne torna a casa dai suoi. E per me, visto che si tratta di andarci intorno a metà aprile, non dovrebbe essere un gran problema, dato che penso che per allora papà si sia rimesso.
Quindi, intanto vedo per un mese come va.
Quello che temo, soprattutto, è il mio rapporto con il cibo: visto che, di solito, quando resto da solo mi nutro da schifo, temo tantissimo il ‘coccolontio de malnutritionae’ cioè il deperimento da mancanza di cibi sani. Il che si manifesta, per me, in debolezza, freddo e attacchi di squeraus.
Per carità, c’è sempre sua maestà il brodo caldo, che è una mano santa, però… ^_^
E poi, appunto, c’è la paura di stare male e non essere coccolato.
Diciamocelo, anche a trenta anni, non essendo mai vissuto seriamente fuori di casa, ogni volta che hai uno sturbo, un malessere o che sia, hai un appoggio su cui contare. Un supporto psicologico, anche un vaffanculo amorevole, quando il deliquio indotto da un trentasette e tre di troppo t’induce un po’ a drammatizzare… Ti senti filato. Insomma, non sei solo o almeno hai meno paura della solitudine.
Con questo non voglio dire che dell’andare a vivere con Erica mi spaventa la solitudine perché da lei sono distante: no, magari spesse volte non ci pigliamo, o faccio fatica a capirla (lei a me non so), ma sarebbe comunque un’esperienza interessante. Quello che voglio dire è che se una sera torno a casa emotivamente sconvolto per aver beccato Chiara e lei non c’è perché magari è a Milano o a lezione di piano io non ho nessuno cui appoggiarmi.
A casa, anche senza dire nulla, c’è la presenza confortante dei miei genitori.
È il sapere che ti puoi sentire anche male, tanto sarai soccorso. E questo, spesse volte nei periodi bui, è bastato a impedire l’insorgere – o quanto meno il sopraffarsi vittorioso – di quella orribile sensazione che è il principio della depressione. Una sorta di solitudine esistenziale… meglio, un pauroso senso di vuoto.

Sì, è soprattutto questo che temo.
Perché in fondo, per quanto possa essere attratto da Erica (e anche spaventato da questo), quello che si prospetta è sempre e comunque una relazione di coinquilinato. Con tutti i normali problemi che questo può comportare: lei recita e suona il piano, si dovrà pur esercitare e provare le parti. Io ho bisogno di un computer e una connessione, e lei dice che la possiamo scroccare ai vicini. Spero abbiano l’adsl… Anche io qualche volta dovrò provare le mie parti, e chissà, magari lì risulterò meno inibito che a casa, dove per provare lo spettacolo di Pascarella mormoravo tutto sottovoce, e solo quando i miei erano assenti potevo provare meglio l’espressione del testo… magari posso mettermi a provare i pois in salotto, o sul ponte. E nelle belle giornate fare colazione all’aperto, sul fiume, può essere una gran cosa. E poi la macchina la posso mettere sul bordo fiume, sperando che, col culo che ho, non me la travolga una piena. Insomma, sarà tutto da vedere. Gli orari, le compatibilità… e pensarne troppe adesso non sarebbe una cosa sana: anche se dovesse accadere, sarebbe ad aprile inoltrato, e bisogna comunque prima sentire i miei ed i suoi, e poi vedere bene… (mani avanti e testa fasciata, sì, lo so)
E poi il 27 parto per la Spagna.
Chissà, forse è questo accumulo di grosse novità che mi stressa.

Però - grazie a mamma - so già stirare. Non ho mai imparato a fare una lavatrice, ma un po' so cucinare. Insomma, le carte da giocare in una convivenza non mi mancano. Magari ricomincio a strimpellare un po' il sax. Di cose positive a venire, c'è la possibilità di averne a bizzeffe.
Ci sarà di sicuro da superare il test-prigione, ovvero se dopo un po' di tempo la convivenza 'forzata' non mi vada stretta.
L'unica cosa è che questo passo mi spaventa davvero.
Non è, come mi è capitato a dicembre per l'inchiesta-documentario, il caso in cui ti senti dentro ch'è l'occasione della tigre - o prendi o aspetta.
(da un detto zen, che vuole che la tigre, anche se ha fame, aspetti a scattare solo quando è sicura e determinata a cogliere la preda)
Quindi...

Ad ogni modo, domani mattina dovrebbero dimettere dall’ospedale papà e lo vado a prendere.
Poi vediamo in questi giorni come va, anche perché la mia macchinina mi dà problemi (la mia Bimba!) e sarebbe da portarla dall’elettrauto che conosce lui…
Dai, che si rimetteranno entrambi...
Um beso,


GrimFang

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