L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

giovedì 22 marzo 2007

Vuoto

Vuoto: privo del proprio contenuto […] privo di senso, di scopo, di contenuti. (dal dizionario De Mauro online)

Ecco come mi sento.

Papà – come preventivato da tempo – ieri è stato ricoverato per essere operato domani.
È un intervento “facile”, per quanto può esser facile subire un intervento a 73 anni. Si tratta dell’asportazione della cistifellea, che oramai a quanto pare gli è diventata un sacchettino di calcoli.
Adesso, è indubbia l’utilità di togliere un organo oramai diventato dannoso alla salute – ma poi, questa cavolo di cistifellea che funzione ha? Voglio dire, sembra che possano toglierla a tutti senza creare problemi… cos’è, un residuo vestigiale di quando eravamo primati o cosa? Insomma, me lo sono sempre chiesto, anche da molto prima dell’operazione di papà, ma se c’è ancora nel corpo, un motivo ci sarà, no? Il fatto è che la scienza medica non sa a che serve!!! Il che non significa necessariamente che ci si possa rinunciare senza danni, no? Vabbè – a parte l’utilità, anzi, la necessità dell’operazione, dicevo, quello che permane, come una patina poggiata sulle cose, è l’ansia che qualcosa possa andare male.
È del tutto naturale avere paura. Ce l’ho, non lo nascondo.
E forse ce l’ha anche lui, che cerca di considerarla normale amministrazione e s’incavola a sentire addosso l’ansia nostra, le nostre attenzioni. Lui si è presentato ieri all’ospedale, ce l’ho portato io, e non mi ha nemmeno fatto parcheggiare: è voluto entrare da solo. Tanto poi l’ho dovuto raggiungere subito dopo, perché – una volta a casa – ha chiamato per dire che si era scordato un sacco di cose.
E questo è un altro fatto: per carità, mio padre non è affatto pratico e spesso sta con la testa su di una nuvola, ma il fatto che si sia fatto un elenco di cose da portare e poi si sia scordato di portare cose basilari – come ad esempio un documento di riconoscimento per farsi identificare all’accettazione – per me è indizio di qualcosa. Tanto più che per l'accettazione non ci è nemmeno passato, è andato dritto verso la cosa che lo preoccupava di più: il posto letto.
Non lo sento sereno.
Sarà che sono empatico – soprattutto sul versante delle percezioni negative – ma riesco a immaginarmelo, coerentemente, pieno di panico di restare da solo. Così involontariamente si scorda la roba a casa, fa il burbero e protesta ma in fondo vuole un po' di attenzione. Minimizza l’operazione per convincere se stesso che è roba di routine – per quanto lui, ch’è medico, lo sa, sa che è davvero così – e non vuole avere attorno ansia e preoccupazione (praticamente il distillato di mia madre), ma il calore della famiglia.

Quello che mi devasta è percepire la sua assenza per casa.
È – inevitabilmente – fare i conti con la sua morte. Che comunque prima o poi avverrà, quindi è inutile stare a girarci intorno.
È scoprire che quello che ti aspettavi come un dolore forte, lacerante, che ti devasta e che devi fronteggiare piangendo e urlando non sarà affatto così. O almeno non solo.
Sarà uno strazio strisciante e continuo, ogni volta che resterai in casa sentendo in maniera assoluta qualcosa che manca. Straniero in casa propria. Ogni volta che resterai in silenzio, ad ascoltare una voce che non c’è più, ogni istante in cui ti ripeterai ‘mi manca’. Eccolo, il vuoto.
E sarà un vuoto peggiore ogni volta che, rimasto solo con un genitore, dovrò farci i conti ogni volta che guarderò in faccia chi rimane. Perché ogni volta che ci... ricostruiremo in due, non potremo fare a meno di ricordare il terzo, assente.
Trovarci dentro la normalità della vita, non è un compito da niente.
Ogni sguardo che ci daremo sarà uno sguardo pesante, perché il medesimo dolore che avremo dipinto sul volto sarà una vista indicibile da sopportare: il promemoria del nostro stesso dolore. Un dolore terribile, silente, ogni volta rinnovato.
Ci renderà più vicini, sicuro, o ci renderà intolleranti l'uno all'altro. Perché riconoscersi in due sarà ogni volta, per lungo tempo, provare una fitta d'assenza straziante.
Lascio fuori dal conto mia sorella e mio fratello perché, da tempo, hano una vita a sé. Mia sorella sta per diventare mamma, mio fratello ha tagliato i ponti coi miei da decenni.
Per cui, a meno che una volta nonni i miei non siano accettati in casa come badanti del nipotino (in fondo mia sorella è una donna in carriera), sarò io a dovermi occupare di loro.
Io, che al pensiero di un'esistenza simile rabbrividisco e sogno i miei spazi, la mia indipendenza, che desidero farmi una vita separata, trovarmi una donna, una casa, costruirmi la mia, di famiglia... e che al tempo stesso aborrisco l'idea, che mi ripugna profondamente, di lasciare da solo qualcuno, specialmente un mio genitore. Capirai, la solitudine è forse il mio più assoluto, sacro terrore...

Ecco perché non riesco ad andarlo a trovare volentieri. A dargli il mio appoggio come vorrei.
Ci ho provato, ma poi sono finito col dimostrare anch'io la mia debolezza emotiva: così come papà s'è scordato i documenti per l'accettazione, io mi sono scordato di riprendere delle cose che dovevo portare a casa.
Perché avevo fretta di levarmi da lì. Di andare via. Di non vederlo, e non pensarlo, in quel modo.
È la solita canzone di chi non riesce a dire, a dimostrare, a un’altra persona cara – carissima – che gli vuoe bene.

Non mi piace girare per gli ospedali, specie brutti come il Cristo Re.
Bui, coi corridoi pavimentati di marmo a colori scuri, anni settanta. Una atmosfera cupa, lugubre. Alle pareti, al posto dei quadri, ci stanno dei diagrammi sulle operazioni tumorali e l’incidenza dei tumori per casistiche (giuro!). mi sono calcolato col cellulare che tra il 1991 e il 1992 c’è stata una leggera flessione dei tumori al seno e un piccolo aumento dei tumori alla zona rettale. Che allegria, eh?
Gli ospedali dovrebbero essere posti allegri, dove la gente si senta bene: sono luoghi in cui ci si deve rimettere, non luoghi in cui ci si deve operare. Un ospedale cupo come una bara non ti mette poi dentro tutto l'entusiasmo per la vita che ti servirebbe…
Che invece è proprio quello che ci dovrebbe essere in un ospedale!
Mah…
Non mi piace girare per gli ospedali in generale.

Anche perché, visite mediche ed analisi a parte, mi viene in mente quando, al Celio, andammo a trovare nonna Maria. Nonna Maria era la mamma di papà.
Che in quell'occasione, tra l’altro, mollò lo scureggione più terrificante che abbia mai sentito in vita mia, roba da quindici-venti secondi, per poi giustificarsi dicendo “Scusate ragazzi, sono vecchia”.
Immaginatevi la scena, io, mio fratello e mia sorella che cercavamo di restare seri, vista anche la 'tragicità' della situazione, sarebbe morta pochi giorni dopo, mentre tutto il corpo lottava per sbottare a ridere… quasi quasi ricordo ancora le fitte ai polmoni e la rigidità della mascella! ^___^

Aaah, grazie al cielo nonna Maria mi ha rimesso di buon umore…
E adesso, mi viene in mente che le infermiere del reparto di papà sono mostruosamente carine.
Soprattutto la roscia che gli ha fatto l’elettrocardiogramma.
Magari mi riuscirà più facile andarlo a trovare.
Anzi, vi lascio che gli devo portare una cosa.
(cavolo, dopo un'ora e passa di metropolitana mi tocca anche uscire di corsa!)
^__^


GrimFang

[postilla a posteriori:
Cavolo quanto sfoga scrivere sul blog! ^____^
Ci sono andato ed è stato tranquillissimo, tanto che poi sono uscito di buonumore. Ho persino fermato una coppia per strada per chiedere se avevano... una sigaretta? Nooooo, una mentina, una liquerizia, una caramella... m'hanno dato una gomma e m'è andata anche bene.
PS: la roscetta non c'era! ^___-]