L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

sabato 24 marzo 2007

A casa di Chiara

Sarebbe un titolo perfetto per un film, se non avessero già girato "A casa di Alice", che come storia non c'entra niente...
Beh, molti di voi sanno chi è la Chiara in questione; per quanto riguarda gli altri, mi sa che dovranno cercare di capirci qualcosa dal contesto, perché al momento non ho nessuna intenzione di mettermi a scrivere un papiello lungo quanto la Bibbia.
^__^

Quello che vi volevo brevemente (spero) dire, è quello che ho appena fatto e da cui sono tornato.

Sono andato a portare mamma all'ospedale - tra l'altro oggi pomeriggio pare //forse// che mio fratello possa passare a trovare papà, ergo mia mamma dovrà sbrigarsi a togliersi dalle scatole - e, grazie a dio, ho usato la mia macchinetta. Quella che ieri pomeriggio non ne ha voluto sapere di partire, costringendomi a prendere i mezzi e ad arrivare con un ritardo notevole a dare il cambio a mamma (che poi se n'era già andata).
Tra l'altro, ieri ho rivisto amici di famiglia che non vedevo veramente da tipo due decenni, perché poi s'erano persi i ponti... è la famiglia Benzi, di cui ho rivisto papà Renato, mamma Graziella e Carlotta, più il nuovo acquisto Luca, nipotino e figlio di Carlotta. Gli altri due, Edoardo e Cecilia, di lei fratelli, non c'erano perché, a quanto pare, una fa la hostess e vive a Venezia, e l'altro fa l'ingegnere aerospaziale a Parigi. Considerato che papà Renato era pilota, direi che la fissazione del volo è rimasta, in famiglia. Con loro c'eravamo persi da un bel po', eppure mi sono ricordato tutti i nomi - e un po' anche le facce, prima di averle riviste - e anche una scena indelebile: ad Alghero, dove adesso vivono i genitori, un'estate c'eravamo anche noi (ah, c'era anche un mitico catamarano, se non sbaglio) e loro ci avevano prestato casa mentre campeggiavano in roulotte. Beh, mi ricordo Carlotta che si affaccia sulla porta della roulotte - era più o meno mezzogiorno - dopo esserci appena entrata, molto accaldata. Si riaffaccia bianca come un cencio, reggendo in mano una bottiglia di vetro verde, di quelle dell'acqua minerale di una volta (ma quanti anni avevo io, tredici anni?? ^_^), alla quale s'era appena attaccata a garganella per lunghissimi secondi. Solo che non c'era acqua in quella bottiglia.
Lei, bianca come un cencio, voce vacillante fa:
"Ma che c'era, varecchina?"
No, era Fil'e Ferru, 90 gradi. E' stata un po' male, ma noi ci siamo sgarrati dalle risate.
Vabbé, la famiglia era lì perché, per un caso fortuito, anche Renato si doveva operare - s'è operato il giorno prima di mio padre - e quindi 1) i due degenti si son fatti compagnia a vicenda senza l'obbligo di rispettare orari di sorta e 2) i parenti si sono intrattenuti smaltendo abbondantemente l'ansia nelle chiacchiere.
Vedi mia madre, che nemmeno si è accorta che papà è stato sotto i ferri per oltre due ore.
^__^
Carlotta infatti faceva notare che potrebbe essere un'idea: se ti devi operare con un intervento programmato, fatti ricoverare dove c'è un amico che deve subire un'altra operazione, così si smaltisce tutto in due.
Certo, ti serve un amico che si debba operare.
Ma si può sempre pianificare assieme le cose! ^__^

Un particolare trash, gli impressionabili saltino il paragrafo.
Vi avevo detto che gli dovevano levare la cistifellea perché era diventata come un sacchetto di calcoli.
Sbagliavo. Il calcolo era principalmente UNO: un ovale di circa sette centimetri di lunghezza e tre-quattro di diametro massimo... una vera breccola, insomma.
Tant'è che gliel'hanno regalata in una scatolina e lui adesso se la tiene sul comodino, intenzionato a portarsela a casa, chissà, forse come trofeo, o come amuleto dello sciamano in grado di allontanare ogni altra consimile sfiga...
...mi sa che al posto suo farei lo stesso! ^__^

Comunque, dicevo, ho accompagnato mamma con la mia rediviva macchinetta, e, mentre tornavo, ho pensato qualcosa sulla morte, altrui; e sul concetto di assenza.
Mi è venuto spontaneo legarlo ad un'altra riflessione, nata tempo fa da una discussione con Erica. (della quale, temo, lei non abbia mai conosciuto la mia conclusione)
Si parlava, allora, della mutuale paura di impazzire. E si concedeva che, almeno per quanto ci riguardava, non era tanto il terrore di perdere il controllo, di perdere il dominio razionale sulle cose e sulla realtà... quanto piuttosto la paura dell'emarginazione, della marginalità sociale. Non si voleva finire, cioè, come quelle vecchie che parlano da sole in metropolitana, o quei tipi che hanno gli sbotti di rabbia improvvisa senza la minima - apparente - giustificazione.
I 'derivati da ansia sociale', intendendo con derivati qualcosa di simile agli scarti.
Già, insomma, qualcosa di molto simile a Chiara, in versione peggiore, ovviamente.
Ecco perché, da quella riflessione d'allora - in cui concludevo che in realtà non doveva trattarsi della paura di impazzire veramente, ma più di una paura diffusa della solitudine, mascherata da 'sintomi sociali' che portano a quello - mi stupivo oggi a trarne delle conclusioni, che prima non avevo preso in considerazione.
Prima fra tutte quella che, se mi spaventa così tanto la solitudine, come posso infliggerla ad altri come ho fatto per così tanto tempo con Chiara? Cavolo, lei era, è, non lo so, una auto-emarginata sociale a causa di problemi emotivo-mentali. Ed io, in fondo sì, sono stato un suo appiglio contro la solitudine. Buono, finché non mi sono dato - ma su questo non ci sono remore di sorta, ho fatto bene e lo rifarei, mors tua vita mea, sic transit gloria mundi, imperat. (non lo so, io non ho mai fatto latino! ^__^)
Però, pur continuando a dirle che le volevo bene, che le voglio bene, mentre mi do alla fuga gambe in spalla, sono stati sporadici i casi in cui, delle rare volte in cui ci vedevamo, io le donassi quell'abbraccio mirato, proprio diretto a scacciare la solitudine.
...quello che voglio anch'io, adesso.
Una cosa semplice, importante. Vitale. Il gesto fisico che va un pelo oltre le parole 'ti voglio bene' e che sta lì a sottolinearle, anzi, a renderle reali, a cementarle.
E quindi m'è venuta un'improvvisa, pazzesca voglia di andare da lei e darglielo!
Normale, no?
Se non fossero sette anni di fuga, di cui almeno quattro, credo, passati in analisi a causa sua, sarebbe perfettamente normale. Beh, sapete una cosa? Lo è comunque.
E' quello che è, un sentimento semplice.
Quindi ho diretto l'automobile verso casa sua e ho cominciato a pensare.
Se fosse giusto. Cosa mi tiravo dietro. Quanto il momento fosse appropriato, e quanto potesse darmi un motivo, un vantaggio, il ricovero in ospedale di papà (quanto potesse rendere l'occasione inusuale e impedire il riallacciarsi di una relazione continuativa - insomma ragazzi, io ancora sto bello confuso, mica l'ho capito bene cosa voglio, a parte il fatto che la desidero, con ogni centimetro della mia pelle). Insomma, più mi avvicinavo più salivano le tensioni e le paranoie; il che diventava un'incredibile serie di rutti e flatulenze, perché quando m'innervosisco ingoio un sacco d'aria.
Con meno paranoie del prevedibile arrivavo vicino alla sua casa, e più mi serviva tempo per pensare, più automaticamente sbagliavo strada. Allungavo, per pensare. Ma ero determinato, perché una voce, dentro di me, mi ricordava che con uno stimolo simile, così vivo, così positivo come il non far sentire solo qualcuno - e il non sentirti solo, egoista bastardo - se non fosse stato seguito sarebbe andato in peritonite da comportamento strunzo.
E io, coi senni di poi, c'ho già avuto tantissimo a che fare.
Quindi no, stasera non la reggo una crisi di coscienza lunga una quaresima quindi
Scendo, dalla macchina che avevo già parcheggiato da un po' - spaventando una passante che chiacchierava beata al telefono che pensava che fossi chissà che criminale che aveva puntato lei - e spengo il motore, che era un'altra cosa che poco mi sconfinferava, visto quanto avevo patito per accenderlo ieri (fallendo, mentre oggi era andata a culo e a colpi sul pedale del gas). Arrivo al campanello (come altre quattro volte su sette) e suono (come altre tre volte su quattro).
Non c'è o non risponde, come altre due volte su tre.
Quindi non l'ho incontrata, quell'abbraccio non gliel'ho dato e sono a posto con la mia coscienza.
Meglio di così...
Però un po' mi rode, che non c'era. Per una volta in cui ti fai tanto coraggio da arrivare fino a lì...
Ho anche insistito a lungo, visibilmente più sollevato, ho citofonato quattro volte. Attirando l'attenzione del nuovo cane che ha adottato, che era in giardino a sonnecchiare. E silenziosamente, cercavo di sentirmelo solidale, e di affidargli il messaggio di saluto, e quell'abbraccio, che non le sono riuscito a dare.

Chiunque m'avesse visto salutarlo con la mano e mormorare a mezza bocca da quattro metri e passa di distanza, m'avrebbe preso per pazzo.
Ma è quel tipo di pazzia che a me non mi dispiace. ^__-


GrimFang

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