L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

domenica 13 maggio 2007

Ciao, Luciano

Capita sempre più spesso di usare la rete come se fosse una sorta di spazio interstiziale, un non luogo incorporeo che partecipa un po' sia della vita che della morte, per affidarle un messaggio di saluto ad un recentemente estinto.
No, non intendevo 'capita a me'. Ma in generale.
Come suonare "Il silenzio" a una nave che affonda, scrivere un sms ormai non più diretto a nessuno, o una mail che - magari si spera, per preservare un'idea di sacralità - nessuno leggerà.
Così, adesso che, dopo Gianfranco, se n'è andato Luciano, mi trovo nuovamente ad affrontare la morte; la nave che va alla deriva, lontano da me.

Luciano era forse l'amico più stretto di mamma.
Che chiaramente sta sotto a un Tgv (train grand vitesse), ma non lo darà mai a vedere. Anzi, è un po' allarmante che in parte l'abbia comunque dato a vedere; lei, che se gli scappa un accenno di sentimento non controllato e debitamente autorizzato dal suo cervello è perché tutt'intorno le sta crollando il mondo.
Non so nemmeno da quanti anni si conoscevano.
Ma è facile dire 'una vita', e non sbagliare. Non sbaglierei, credo, nemmeno se dicessi che io lo conosco da quando son nato. O giù di lì.
Perché era anche un amico di famiglia: la sua famiglia e la mia sono davvero legate.
Anni e anni di vacanze insieme. Se c'è una famiglia con cui posso pensare a quelle situazioni tipiche da film commedia americana - dove i vicini di casa partono per andare assieme in vacanza - beh, quella è la sua.
Una delle vacanze più indimenticabili della mia vita l'ho fatta con loro.
Calabria, Joppolo, camping La Zagara Selvaggia; una delle estati che ricordo meglio.
L'estate in cui Donella si sistemò lentamente la parte inferiore del costume facendoci cascare tre paia di occhi: i miei, quelli di mio fratello e quelli di Stefano (figlio maggiore di Luciano), che le sbavavamo da tempo dietro.
Donella... era amica di Luisa, sorella minore di Stefano. Veniva da... oddio... aspetta... era toscana di vicinissimo a Firenze... Donella... Sesto Fiorentino! (grande Google maps!)
Ma quella fu la vacanza dove avrei visto per la prima volta l'intero corpo femminile, seppur a tappe. Sì... a puntate.
'U pilu, come dicono in Sicilia, l'avrei visto a Donella; ma tutto il resto a Luisa.
Non ricordo bene, ma forse la prima parte fu il sedere, visto per lunghi attimi, ma un po' di sfuggita, perché fu mio cugino Daniele, di Milano, quando venne a trovarci per un po' di giorni con la famiglia - a proposito, sua sorella Memme si sposa a fine giugno, mi sa che ci vado - l'artefice del fatto. La stavamo inseguendo in acqua, con maschera e boccaglio, e con un colpo di stile libero le afferrò il costume che scivolò giù. Ricordo ancora che spalancammo gli occhi e ci guardammo attraverso le maschere, mentre lei se lo ritirava su.
Ma lo avrei visto meglio, su schermo panoramico, per così dire, più avanti.
Quando, tutti a tavola tranne me, la mamma uscì con lei dalla tenda per far vedere il bel pareo che aveva appena acquistato. Solo che qualcosa non andava nel nodo, o che so io, così la mamma glielo aprì e lo tenne davanti a lei come un velo, a coprire le nudità della figlia.
Solo che io stavo dietro, sdraiato sull'amaca! ^_^
Non so se è un ricordo vero o finto, ma rammento che Luisa se ne accorse. Girò la testa, mi vide e fece finta di niente. Gran donna.
Forse fece così perché già le avevo visto le tette. Fu un giorno che lei e mia sorella fecero una monellata. Ovvero presero il canotto, le maschere, le pinne e scomparvero. A ora di pranzo i genitori erano ovviamente fuori di testa, ma abbastanza tranquilli: le donne, si sa, sono sempre le pecore bianche (seee, lo pensano solo i genitori) e sembrava tutto troppo a posto per essere veramente allarmati. Ma la preoccupazione è un'ansia che serpeggia, così, tra una minaccia di castighi corporali pesanti e il dubbio atroce che potessero anche solo essere rimaste bloccate col canotto, ci spedirono a noi tre - me, mio fratello e Stefano - a cercarle lungo la costa.
Saltando da una roccia all'altra, nell'aria rovente (figuratevi il suolo) dell'ora di pranzo, ci facemmo minimo minimo un kilometro buono, per poi trovarle tutte allegre e contente a farsi il bagno in una caletta nascosta. Davvero un bel posto, così ci fermammo un po' anche noi (immaginerete da soli se ce l'hanno fatta passare quando siamo tornati). Ad ogni modo in cinque si era troppi per il canotto, e visto che noi si era fatta tutta la tratta a fette, era d'uopo che i maschi se ne stessero in panciolle a prendersi il sole, mentre le due donne, pinne-munite, spingevano la leggiadra imbarcazione verso casa.
Sì. Anche a me si delizia all'idea quella parte che ho di maschilismo.
Fatto sta che mentre noi ci si godeva beati i raggi del caldo sole, un banco di provvidenziali meduse veniva a incrociare la nostra strada. Ricordo un grido "Meduse!" strozzato e distorto dal boccaglio e un attimo dopo due corpi zuppi che si tiravano dietro una vasca di acqua invadevano lo stretto spazio fin lì dedicato ai bagni, sì, ma di sole.
Ed eccola lì, Luisa, per metà addosso a me, ridente e felice come tutti, per la situazione, per il pericolo scampato, col petto che si alza e si abbassa per l'emozione, la fatica... e il costume spostato. Una tetta candida, bianca, morbida, perfetta, con un capezzolo d'un puro rosa, di marmo per il freddo, l'eccitazione.
Per almeno un minuto.
Ma soprattutto: a circa quindici centimetri dai miei occhi.
Dieci dalla mia bocca.
Il mio cervello non esisteva più; ridevo, ma dentro di me c'era il Dio Pan in persona che gridava "Mordila! Mordila!". In realtà, qualcosa del cervello ancora doveva esserci, perché ricordo ora con la stessa nitidezza il pensiero che - grazie al cielo - mi bloccò:
"C'èsuofratello!C'èsuofratello!C'èsuofratello!C'èsuofratello!" ^__^
Senza contare che c'erano anche i miei, che le famiglie erano amicissime e che in generale la situazione prospettata sarebbe stata orribile.
Che vacanza...

Ne abbiamo fatte tante di vacanze, con loro. Molte in Calabria: San Nicola Arcella, Cirò Marina...
Ma è soprattutto in montagna che dividevamo lo spazio delle nostre vacanze, estive, invernali: perché abbiamo entrambe casa ad Ovindoli, ed anche piuttosto vicine.
Tra l'altro credo che presero proprio quella perché aveva anche il vantaggio della vicinanza con noi.
E ci siamo fatti un sacco e una sporta di escursioni.
Luciano era un buon camminatore, e del gruppo di su era sempre entusiasta di fare passeggiate, di andar per funghi... Era anche uno di quelli cui piaceva mangiare: se non era per lui, non avrei mai scoperto la trattoria Da Pellicola - un vecchietto con perennemente in testa un cappellaccio nero, pace all'anima sua - nel paese di nascita di Cocciolone (ve lo ricordate, quello caduto con l'aereo in Iraq), Paganica. Un posto dove c'è un allevamento di trote, e fanno uno splendido menù fisso, chiaramente a base di trote e altre cose di fiume tipo i gamberoni (da qualche parte conservo ancora una chela gigante di uno dei gamberoni che stava tra i miei spaghetti).
Ma Luciano era anche il fratello di Maurizio, ovvero lo zio di Elisa.
Elisa venne ad Ovindoli per credo tre estati. E divenne una mia buonissima amica e quindi, ovviamente, in ritardo sui tempi in cui sarebbe stato possibile (ancora ovviamente), una mia terribile cotta. Un giorno racconterò anche su queste pagine elettroniche di come sia andata, di come sia andato a Trieste seguendo una stella cometa... Se vi interessa chiedetemelo. Vi racconterò di Elisa e di come e perché sia, quasi un piccolo rito, la persona che chiamo alle 23.59 di ogni notte di San Silvestro. E magari vi finirò di parlare di Luisa, che adesso si è sposata (stefano nel frattempo lavora all'università e vive ai castelli), e di come, scrivendo queste righe, mi sia reso conto di quanto le sono debitore di un mio diverso approccio alla sfera sessuale. Chissà, forse non è un caso che la mia prima vera ragazza me la sia trovata in quel di Ovindoli...

In effetti, le nostre famiglie sono sempre state vicine.
Non di quel tipo di vicinanza quotidiana che comporta la condivisione di quasi tutto, come, che so, i vicini di casa in America. Quelli che hanno il pratino confinante e fanno assieme il pranzo della domenica, per intenderci.
No, quel tipo di vicinanza per la quale ti viene del tutto naturale chiederti che succederebbe se ti sposassi con una di loro, se diventaste parenti. Quel tipo di rapporto che una volta faceva nascere un sacco di matrimoni combinati: cresci insieme. Stefano e Luisa hanno un'età che è praticamente in mezzo a quella dei miei fratelli; diciamo poco sopra e poco sotto mio fratello, che è quello di mezzo. Per cui, anno dopo anno, condividi esperienze, cose, spazi vitali, vacanze... e chissà, Elisa era come la terza 'sorella' della loro famiglia, quella più vicina alla mia età (è poco più piccola).
Quindi, anche per il tipo di legame che abbiamo, meglio ancora per quello che avevamo, è stata lei la prima cui sono riuscito a mandare un sms. Non sapendo se e come l'avesse saputo, non me la sono sentita di telefonare.
Solo molte ore più tardi sono riuscito a mandarne uno anche a Stefano per tutta la famiglia, e non me la sono poi sentita di andare alla camera ardente, mentre andrò ai funerali, martedì.
Non me la sono sentita anche perché l'ultimo ricordo che ho di lui, che insegnava ai sordomuti, non è quello dell'ultima volta in cui l'ho visto, incrociandolo qui in casa durante una delle session settimanali di burraco (ah, tra l'altro vinceva spesso, pare). No; il ricordo più vivo e forte che ho di lui è di quest'estate, in montagna.
Quando lo incrociavo spesso, mentre andava da solo in giro a passeggiare.
Da solo, perché la nonna Rosa, madre della moglie, stava un po' male. E dire che gli sopravvive.
Da solo perché, io non sapevo bene, si era ripreso o stava finendo di riprendersi da un altro male, al cervello. Qualcosa di neuronale, credo. Qualcosa che aveva vinto.
Ma aveva già cominciato, e questo non lo sapevo, la dialisi, la lotta coi reni. (esci da una parte, entri dall'altra...)
Quella che, a causa del cortisone necessariamente somministrato, non lo avrebbe sconfitto, se non di sponda. Perché ieri è stato male, pensava fosse febbre e invece era polmonite - priva dei sintomi classici per via del cortisone. E quando si è sentito male la notte, ed è stato ricoverato, è caduto in stato d'incoscienza all'una, per morire stamane alle cinque.
Di cosa, papà - che è medico - non lo ha capito bene.
Per mamma erano stati gli stessi del medesimo ospedale, il Gemelli, ad avergli provocato la necessità della dialisi, nel curargli l'altro male al cervello. Per quanto possano esser bravi, finché non capisco meglio questa storia preferisco non farmi ricoverare, nel caso, in quell'ospedale.
E' lo stesso ospedale dove è morto Fabio, dove c'era la camera ardente di suo fratello Marco.
Beh... forse un po' grazie al cazzo, visto che è il più grosso policlinico della zona.
Fatto sta che Luciano è morto alle cinque di mattina del giorno della festa della mamma, nell'anno 2007.
E non mangerà la cena pagata coi soldi delle sconfitte a burraco (che credevate, che giocassero per giocare? Un euro a partita persa, e poi tutti a cena!). E non andrà con gli altri in giro per l'Italia a vedere i paesi, a farsi una gita fuori porta, a mangiar fuori, a vedere musei, monumenti... non andrà per funghi.
Passeggiava.
Lo ricordo col bastone da passeggio, il viso un po' stracco e... non sofferente, ma velato. Velato di tristezza, forse; la tristezza di non potersi più fare le camminate spavalde di una volta, le chiacchiere allegre e perditempo e, da buon veneto, magari farsi un cicchetto di rosso. Allegro, ma di un'allegria smorzata, posata... più anziana. E forse con meno piglio nel parlare. Ed io mi limitavo a brevi battute, un po' per fretta, un po' per paura di non saper di che parlare. E dire che da piccolo stavo un sacco di tempo da loro.
Così, qualche scambio di battute su Stefano, Luisa... sul mercato al parcheggio, sulla piazza. Sul palco della festa, sul programma. Sulla bicicletta. E poi via, ognuno per la sua strada.
Con quell'abito, quel cappello, il bastone. Nella sua passeggiata quotidiana.
Quel sorriso conciliante e un po' appannato. Come un cielo un po' coperto dalle nuvole.
Che annuisce. Che con quel venticello si sta anche bene, se solo piccasse un po' meno 'sto freddo.
Che riprende la sua strada, pronto ad andarsene verso la valle, per strade, prati, campi, montagne.
Come piaceva a lui.
Con questo ricordo, non riesco proprio a immaginarlo morto.

Lui è ancora lì, che cammina, in un bel pomeriggio sereno/variabile.
E ci resterà per sempre.
Ciao, Luciano.


GrimFang

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