L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

martedì 15 maggio 2007

Il funerale

Avrei voluto scrivere un altro post, in mezzo a questi due, ma il funerale è stato stamattina, e mi ha lasciato un po' di emozioni e di riflessioni che vi voglio raccontare.

In primo luogo, un funerale in chiesa è sempre una ritualità 'rischiosa'.
Nel senso che è a rischio di suonare stonata se la persona defunta non era credente, o almeno, non la si conosceva sotto quell'aspetto.
Mi è venuto da chiedermi come cavolo si svolga, e dove, un funerale laico. Intendo, se per un matrimonio esiste la cerimonia civile, al comune, per un funerale invece com'è?
Mi torna solo ora in mente la cerimonia funebre di Marcolone. Molto spoglia, e triste.
Restammo semplicemente a lungo alla morgue, a vederlo rigido nella sua maxi-tutona blu, e poi ci radunammo a Prima Porta, in una specie di enorme salone gonfio di casse da morto accatastate, con altre decine e decine di persone di altri funerali. Non ricordo neanche se alla fine andammo via prima dell'inumazione. Ricordo però che ci dissero dov'era la tomba, lo spazio che gli avrebbero dedicato. E ricordo che il comune forniva una bara d'ufficio, in caso non ce la si potesse permettere.
M'è venuta una gran voglia di andargli a portare un fiore: visto che suo fratello l'ha raggiunto qualche anno dopo non credo sia rimasto quasi nessuno a portargli un fiore. A lui e a Fabio.

Le cerimonie laiche sono tutte brevi.
Corrono.
Forse, il rischio di farsi celebrare in una messa cattolica, con tutto che non sei credente, o persino nemmeno cristiano, vale la candela.
Perché è bello prendersi del tempo assieme, con volti di persone che non vedevi da anni, riuscendo ad appoggiarsi uno con l'altro e sorridere. Ricordarsi del defunto in qualche suo momento di gioia; qualche cretinata assurda che ha fatto...
Se non cambio opinione in futuro, quando morirò fatemi un bel funerale. Che sia in chiesa o no - in fondo credo di essere mostruosamente religioso a modo mio, anche se infinitamente distante da questo cattolicesimo - voglio un funerale dove la gente, i miei amici, i miei cari, si ritrovino e si parlino. E magari, si facciano una bella mangiata, e ci sia musica. Dove si pianga, perché piangere fa bene all'anima - ti aiuta, ti sfoga, ti rende tutto più sopportabile - e si rida, perché è l'unico modo di rendersi conto che si è ancora vivi, e di quanto sia bello esserlo anche se si è un pochino più soli.
Ricordatemelo, quando morirà mio padre, mia madre.
Perché oggi Luisa era distrutta.
Perché Matilde s'imponeva di non piangere, e diceva "Oggi no. Domani sì, ma oggi no".
Perché Stefano doveva fare l'uomo di famiglia, il perno attorno a cui far ruotare tutto, e correva a destra e a sinistra, dava disposizioni e solo a tratti cedeva, gli occhi improvvisamente rossi.
Perché Maurizio faceva il saldo, il pilastro; ma non riusciva a muoversi, stava un po' in palla, e più che esser solido era rigido.
Perché Nonna Rosa non c'era, perché è anziana assai, e non hanno ancora avuto il cuore di dirglielo.

Dunque, Luciano non è che fosse credente. Era laico, comunista.
La chiesa stessa, oggi, era zeppa di comunisti.
Alcuni, come me, son rimasti in fondo, senza partecipare alla liturgia. Dario, Sante... Qualcuno, come Luca, se n'è proprio uscito dalla chiesa, per fare ritorno solo a fine cerimonia. Ma forse è che, dopo il funerale di suo padre Gianfranco, non è che morisse d'entusiasmo a stare ad un altro funerale.
C'era quasi tutta la vecchia sezione del PCI dove si sono formate, o approfondite, quelle amicizie che hanno attraversato e accompagnato la storia della mia famiglia. Quelle storiche. Quelle con quelle famiglie di cui conoscevi i figli, pur non uscendo mai assieme, magari, coi quali passavi tutto il tempo nei pranzi, nelle gite, nelle vacanze. C'era, sotto questo aspetto, un bel pezzo della mia vita.
Dal remoto passato - Peppe e Rosi, persi di vista da secoli - ad un passato un po' meno lontano - Ernesto e Liliana. E Piero e Lilli, tutti amici di mamma. Solo con alcuni, quelli del gruppo di burraco di cui vi dicevo, posso parlare di presente più che di passato. Amicizie vere, che come tutte le vere amicizie subiscono la turbolenza della distanza, del tempo, della passione politica, delle idee e degli ideali... il PCI era una grande famiglia, le sezioni i suoi nuclei. io sono uno di quei bambini cresciuti all'ombra di quel PCI. Che era anche fatto di scampagnate fuori porta e pic-nic.
Mamma ha lasciato prima il PCI e poi i DS, ed ora aspetta il partito democratico.
All'epoca, chi prese strade diverse a volte si è perso. Ma anche chi ha cambiato casa e sezione. O chi si è trasferito a vivere in un'altra regione, come Graziella e Renato che incontrammo in ospedale quando papà era ricoverato.
Le amicizie di famiglia, praticamente tutte di parte materna, vengono per lo più dal partito di allora e/o dalla scuola. Mamma era professoressa di matematica al liceo classico. Manara, Montale... Politica e istruzione sono sempre stati quasi un tutt'uno.
Ad ogni modo, molte facce mi ricordavano emozioni, affetti, più che ricordi veri e propri. E' il caso di Peppe e Rosi, per cui nutro un sincero affetto anche se praticamente non ricordo più nulla. Ricordo che mi dispiacque un casino non continuare a vederli. Ernesto, invece, beh, lui è legato all'idea stessa della giovialità. Ricorda un vichingo, a vederlo.
L'appetito era la cosa più entusiasmante di quell'uomo: vedere come mangiava ti faceva gustare di più quello che avevi nel piatto. Poi, gli dissero "Scusi, lei ha il colesterolo a 340, mi può spiegare perché è ancora vivo?", e fu costretto a guardarci mangiare mentre lui aveva davanti un piattino di verdurine. Triste, ma un bel ricordo. Ilare, perché comunque non si può associare la tristezza a uno come lui.
Così, proprio nel salutarlo fuori dalla chiesa, quando stavano per partire col carro funebre verso il cimitero, m'è venuto di ricordargli di quando lui, papà e Luciano in trattoria cantavano
"Aveee, Aveeee, Aveee-mo faaameeee"
sulle note dell'Ave Maria.
E lui s'è ricordato di una canzonetta veneta un po' scurrile che cantava insieme a Luciano, e quanto a quest'ultimo piacesse cantarla, come si divertiva. Ora non la ricordo bene, ma era qualcosa su come si mangia la mòna della gallina (col pane) e come si mangia invece quella delle donne... ^__^
Ora che ci penso, Ernesto aveva tre figlie strepitose... non ne ricordo nemmeno una, ma ricordo che erano davvero belle, soprattutto, credo, la più piccolina... chissà che fine hanno fatto. Capirai, sarà nonno da secoli.

Ricordare Luciano così, com'era vivo, in allegria, credo gli abbia fatto bene. E a me ha fatto piacere averglielo ricordato.
Non son riuscito a fare altrettanto con altri, ma mi sarebbe piaciuto.
Spargere un contagio solare, come un untore.
Mi piace riconoscermi nella figura dell'untore.
Ne parleremo.

Ma non son stato tutto il tempo a sentirmi dire frasi come "Eri un ragazzino...", "Eri alto così...", eccetera. Chiaro, dopo tutto il tempo passato, ho dovuto farmi riconoscere, dire chi ero. Ma è naturale, non è stato un peso. Anzi, è stato bello essere poi salutato con gioia; scoprire persino che Peppe, quando gli ho detto che ero uno dei figli di Maria, si sia ricordato all'istante il mio nome! Voglio dire, Sante, ad esempio, sulle prime mi ha scambiato per mio fratello...
No, fuori della chiesa sono rimasto incollato ad Elisa - c'era anche lei - per sapere della sua vita, ch'è un sacco di tempo che non ci vedevamo. Ha abbandonato Milano, finalmente!, ed è tornata a Trieste, portandosi appresso il suo novello giovin amore. Continua a lavorare per le riviste con cui collaborava ed in più a ripreso a lavorare per il Piccolo di Trieste. E, nota ghignante, era seduta dall'altro lato della cattedra alla tesi di laurea della sua migliore amica, la Stefy... ^__^

In chiesa, invece, sono rimasto defilato.
Quando si entra in chiesa da laico ad una funzione, ci si pone sempre il problema del rito: si è dentro o si è fuori? Che spazio si ha per restare nel mezzo? E' chiaro che non si partecipa attivamente alla liturgia, ma ci si chiede se in fondo si può o meno accennare una genuflessione o un segno della croce quando si entra...
Non è una questione di coerenza, non lo è mai stata.
No, è una questione personale sulle forme di rispetto verso la sacralità - presunta, reale o percepita - di un simile luogo. Ad ogni modo, da tempo faccio quel che mi sento. Per dire, mi è mancato quel piccolo "scambiatevi un segno di pace" che corrisponde molto alle mie corde. Ero troppo indietro, non l'ho potuto fare. In più, ero circondato da laici immobili, coi quali più che altro stonava farlo. Perché io non sono credente (cattolico, chiaramente - per quanto battezzato), e farlo quando per tutto il resto della funzione ero stato immobile suonava strano. Però, comunque, ho portato il pugno sul cuore - gesto che per me è un segno di pace.
Una volta entrato senza genuflessioni o segni della croce, e scelto di restare in piedi sul fondo, ho lasciato vagare lo sguardo sulla chiesa.
Adesso, si tratta di una chiesa moderna, del 1957, proprio 50 anni fa, che sta sulla Pineta Sacchetti.
Mi piacerebbe, davvero un casino, che la andaste a visitare.
A darci un'occhiata.
Non perché sia bella - non lo è. Ma perché dà da pensare.
C'è una vetrata, colorata, magnifica, senza immagini riconoscibili in particolare a parte un tondo, dai colori caldi, che potrebbe essere un sole. Il resto sono tasselli di vario colore, tra i quali abbonda il blu, come una sorta di cielo.
Quella vetrata è rilassante. E' allegra. Dà un po' di calore soffuso all'ambiente, ed era un piacere, in una simile occasione, lasciarci cadere lo sguardo. Sognare.
Anche perché il resto dell'edificio è anche un po'... squallido. Non dello squallore della 'manutenzione', no, di quello... tipicamente vuoto di una chiesa, dove anche quattro simil quadrucci di pietra - ci sono - su di una parete di mattoni fanno orrore. E quelle scritte di carta ritagliate da bimbi del catechismo per celebrare il cinquantenario, o i pannelli che sorreggono tonnellate di fotografie... fanno tristezza. Come mi fa tristezza il tipico banchetto con su le pubblicazioni evangeliche e parrocchiali.
Solo molto dopo - bam! - mi sono accorto della grossa scultura piatta e lignea attaccata alla parete sopra l'altare. Una raffigurazione dell'ultima cena. Estremamente stilizzata, moderna, piacevolissima a vedersi, del Cristo in piedi (unico col capo coperto - credo, sennò sono capelli, ma è un piccolo rettangolo bianco...) e undici apostoli a tavola e Giuda in piedi. Come so che era Giuda?
Sulle prime nemmeno l'avevo visto, sembrava un pezzo del tavolo, ma quando mi sono messo a contare i commensali ed erano dodici Cristo compreso, mi son messo a cercare l'altro. E l'ho trovato. Dev'essere da lì che porta sfiga essere in tredici a tavola... il tredicesimo è Giuda.
Non lo vedevo a prima vista perché - a differenza degli altri - lui non ha l'aureola. Il peso gravissimo della sua colpa che il cattolicesimo da millenni gli fa scontare, era tutto lì, nell'assenza di un'aureola. Nello stare in piedi a lato, come in castigo mentre gli altri son seduti. Ma anche l'unico in piedi come il Cristo. Chiaramente, questo sì che mi dava spunti da pensare - io amo Giuda come amo Caino, e di quest'ultimo Dio disse "Nessuno tocchi Caino".
In più, altri due, Pietro e Paolo suppongo, erano riconoscibili perché avevano la stessa aureola dorata del Cristo. Gli altri nera o marrone. Ora, comprenderete che aureola nera su testa lignea stilizzata fa effetto capello afroamericano anni '70... ^__^
Ho praticamente scannerizzato quella scultura.
Ne amavo la scelta del legno in listelli, da cui veniva un'aria di calore umano; apprezzavo che quasi si confondesse col muro, al contrario del massiccissimo Cristo crocefisso sulla sinistra; mi piaceva la modernità delle linee e dei volti, che facevano sentire più contemporaneo il messaggio e, beh, erano proprio belle; mi piaceva la semplicità non invasiva del tutto, comprese le tre aureole dorate e un po' pacchiane. Insomma, me la sono proprio gustata.
Mi piacerebbe proprio, se qualcuno di voi ci va, sapere che ne pensa. Della scultura e della vetrata.
La chiesa si chiama S. Lino Papa, che pare fu il secondo papa dopo San Pietro.
Ammazza quant'è antico il nome Lino...

Solo in un momento il mio sguardo è stato distolto dall'edificio.
E' stato quando il prete ha commentato la lettura di un passo del Vangelo (Matteo 25; 35-40) - io ovviamente stavo comunque ascoltando.
Perché in quel momento, e solo in quel momento, è uscito dalla retorica e dalla ritualità. Tanto che poi si sarebbe anche un po' impappinato nell'esprimere un bel concetto.
Il passo che vi dicevo mi ricorda moltissimo un pezzo del nostro spettacolo, che metteremo in scena il 22 e il 23 e dopo ancora a Ludika 1243, che quest'anno è dal 28 giugno al 1 luglio (siete avvisati sin d'ora, non azzardatevi a mancare).
Si tratta di un brano dal Corano, chiamato la 'Sura del Terremoto'.Verso la fine, dice

"...e chi ha fatto un grano di bene, lo vedrà. E chi ha fatto un grano di male, lo vedrà."

Quel passo del vangelo, ed il discorso del prete, verteva sul fare del bene. Sull'avere una fede.
Uscendo dal rito, riconosceva che Luciano aveva fede: magari non quella cristiana, ma quella in un'idea, o un ideale. Dei giusti sarà il regno dei cieli; giusti a priori, anche fuori della fede. Giusti in quanto operatori di bene, di un bene qualsiasi. Verso gli altri.
Quando dice "ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi [...] ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" è, come ha sottolineato il prete, un concetto anche laico.
Ponendo l'accento sul bene fatto - non sulla fede, gli atti di credo, l'obbedienza a un sistema teologico - sul bene fatto e basta, anche da non credente, da - aggiungo io - non battezzato persino... Il riconoscimento è ad una vita ben spesa. E questo sì che ha senso, ad un funerale. Questo, dà conforto.
In quel momento, ciascuno riconosceva e ricordava il grano di bene ricevuto da Luciano, ciascuno il suo.
Ed io ero commosso.
Mi son venuti i lucciconi, e gli occhi rossi, e stavo per piangere.
Tanto più quanto, subito dopo, ha espresso quel bel concetto che vi avevo accennato. Se fosse stato un abile oratore mi sarei sciolto in lacrime; fortuna (o sfortuna) che ha arrancato assai nell'esprimerlo.

Chi mi conosce, ed ha giocato di ruolo con me, sa che tipo di predilezione io abbia nel delineare e raffigurare i 'cattivi', gli antagonisti.
Non sono quasi mai il male puro, assoluto, a tutto tondo.
Amo investigarli, motivarli, donare la loro scelta negativa di pieghe reali, drammatiche; spesso rovesciare la percezione comune sul finale. Perché odio i categorismi e i pregiudizi. Perché trovo che questo aiuti nel percorso della tolleranza, sulla via della comprensione. Ad un paciere come me, per quanto suscettibile e testardo, non può che far piacere scovare il bene nel male, ed il male nel bene. "Il mondo è sfumature di grigio" dico spesso, per sottolineare la mia avversione al concetto "bianco/nero".
Un simile concetto, espresso in maniera più fascinosa, è nato nelle mie partite di ruolo.
Qualcuno, tra i miei giocatori, ricorderà ancora la frase "una candela nell'oscurità brilla di più di mille candele in pieno giorno".
Qualcosa in cui credo fermamente, e che le mie esperienze di vita mi hanno portato a supportare, ogni giorno di più. In fondo, è molto simile alla parabola della pecorella smarrita, o al ritorno del figliol prodigo, se non mi sbaglio.
Il prete ha ribadito proprio questo concetto, sorprendendomi però con un altro punto di vista. Ha detto qualcosa su di un cerino acceso al buio ed uno al sole in estate.
La luce che emettono, diceva, è la stessa. Anche se si nota di più la luce portata nel buio. Siamo solo noi a percepirla diversa. Ma, nell'oggettività del regno dei cieli ogni cosa vale per il suo valore: il bene fatto è bene, per quanto poco possa sembrare splendente. Per quanto sembri una goccia, o sembri perdersi nell'insieme di altre azioni benevole, o sia diretto non proprio verso chi ha veramente bisogno. Il bene è bene, e di qualsiasi gesto sia composto un giorno, come oggi, nel giorno del nostro funerale, verrà riconosciuto. Magari quello piccolo più di quello grande, chi lo sa. Certo, per il prete si tratta di una categorizzazione oggettiva, tra bene e male. Se continuate a leggere il brano del vangelo la situazione è identica al Corano, e non promette niente di diverso.
Ma per me, che mi batto contro il bianco e contro il nero, quello che conta è il riconoscimento del bene, svincolato da catalogazioni oggettive. Per me, il male è solo il concetto che serve a tarare il metro del bene, dal 'poco bene' al 'molto bene'.
E' l'unico modo per mantenere una coerenza di Dio, bene assoluto ed essere perfettissimo.

Ma magari affronteremo quest'argomento se vi parlerò delle mie partite di ruolo sull'Anticristo, e vi farò rizzare i capelli intellettivi proponendo una lettura blasfema, ma così blasfema, che è perfettamente coerente con la Bibbia, ed è l'unica a scioglierne le contraddizioni...
Poi vi faccio un post sulla mia idea della religione e della filosofia di vita (argomento affrontato anche a Granada)...
Finisco con lo spiegarvi perché ero un anarchico-diessino (adesso è peggio), e abbiamo detto tutto!
^__^

Il prete, subito dopo, è tornato a perdersi nel vuoto dei rituali.
Ed io mi sono ripreso le mie lacrime.
Anzi, ho persino avuto un po' di stizza quando parlando dell'aldilà, della resurrezione anche dei corpi (concetto interessante, questo), se n'è uscito dicendo, in conclusione, che il "fedele ha la sicura speranza della resurrezione".
Se è sicura, è certezza, non speranza.
Se hai fede, è certezza.
Si è perso nel rito, in parole che si sentivano dette senza il loro significato. Senza crederci, verrebbe da dire. Monotone, ripetitive... litaniche, si direbbe. Se il ministro del culto è il primo a non credere nel rito, come puoi pretendere che ci credano gli altri? Si vadano a fare una vacanza turistica dagli stregoni che cadono in trance, e poi ne riparliamo.
Mi piacerebbe per una volta vedere un prete che, celebrando messa, butti al cesso il rituale per scendere a parlare con delle parole vere. Che, staccandosi dal rito, comunicasse vita, sostanza. Umanità. Fede.
Di tutto quello che nel messaggio del cristianesimo pur c'è, ma oramai è coperto dalla patina dell'usualità, del rito mnemonico.
Mi piacrebbe assistere a una messa infervorata. Come purtroppo capita solo in qualche posto dopo un omicidio di mafia. Una messa come una riunione di un collettivo politico, con la stessa energia, perché la politica parla di vita come la religione.
Mi piacerebbe vedere una messa liberamente laica.

Luciano aveva fede, quale che fosse.
In un'idea socialista, comunista, comunitaria. Ad ogni modo una fede che unisce, che avvicina.
Era progressista, riformista, anche inquadrato. Ed adorava stare al passo coi tempi, sempre dietro all'ultima tecnologia. Era un uomo che guardava al futuro, che sognava un mondo migliore. Che andava avanti.
E per questo in fondo potrebbe aver ragione papà. Dopo essersi ripreso da un ictus, dopo essere andato a ricostruire la propria memoria nei luoghi, con la gente con cui era cresciuto, dopo aver recuperato sulla propria amnesia... morire.
Sai quanto gli sono girati.


A proposito di Fede, Fedemisi, mio amico ed ex-elishiano di Milano, proprio sabato notte mentre moriva Luciano ha fatto il chioppo con la moto, grave, facendosi anche passare sopra l'altro motociclo.
Sta in rianimazione, intubato, con diverse costole fracassate, un polmone fortemente compresso e altrettanto un rene.
Si sta rimettendo, la notizia m'è arrivata oggi perché - per convenienze che non vi sto a spiegare ma che condivido - l'hanno fatto sapere a tutti solo adesso.
Lo conosco, è una roccia ed è tignoso (ah, se è tignoso!), quindi so che si rimetterà. Una volta a Sarzana una tromba d'aria o simile ha fatto volare in aria un tavolino di ferro: stava per colpire una ragazza, lui si è messo in mezzo e se l'è preso sulla schiena, senza colpo ferire. Si rimetterà.
Anche perché ci sono i giusti segnali: non può parlare, e comunica digitando su una tastiera (o scrivendo su di una lavagna, non ho ben capito)... la prima parola che ha espresso è stata una bestemmia relativa a "un famoso porco di tre lettere", il che vuole inequivocabilmente dire che è lui, e non ha riportato danni cerebrali.
Ma, oltre a mandargli tutto il bene che gli voglio da Roma, a voi voglio raccontare (grazie ad Osiride, che è il nostro rappresentante/informatore da Milano) un episodio della sua degenza, usando le stesse precise parole con cui me l'hanno raccontato.

La sorella e il padre di Fede stanno osservandolo ansiosamente.
Fede digita OSSI..
"hai gli ossi rotti?" "ti fanno male le ossa?"
Fede li guarda incazzato e digita GE
"Genova?" "gelato? vuoi del gelato?"
Fede lanciando fulmini dalgi occhi digita NO!!!
"ah.. no.. niente gelato?"
Fede fa la faccia di Frankensteiin Junior e sviene.
"ah... OSSIGENO!!"

^____________^


GrimFang

1 commento:

Anonimo ha detto...

Se sei interessato ad un sacerdote che, parole tue, comunichi"vita, sostanza. Umanità. Fede." vieni una Domenica alla messa delle 12 a Santa Francesca Romana, stai sicuro che troverai quello che cerchi...