L'artista mescola il sangue con la terra, per generare sempre nuova vita...

Sarà sicuramente potente, la vita. Piuttosto dolorosa, a mio avviso, a volte sorprendente, sicuramente intensa, vibrante, indubbiamente da vivere. Sempre e comunque.

Sara Tenaglia

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento

Terra, Pioggia, Fuoco & Vento
Fire cup

martedì 22 maggio 2007

Granada - El dia de El Apeadero

Alé, riprendiamo i racconti di Granada, sennò non affittiamo più! ^__^
La telecronaca, radiocronaca, videocronaca... uh, la blogcronaca (che orrore, sembra un verso onomatopeico di un rospo di tre chili) degli spettacoli che sto facendo in questi due giorni la post-icipo ad un post post-ato post-eriormente.
Unica nota a margine: ieri sera è venuta a vederci Lyra, che so che legge il blog. Di tutti gli altri, niente! Vabbè che sono giorni infrasettimanali, però... Nessuna traccia di Corinna, di mia cugina Nocciolina e di mia non-cugina Reby, che invece avevan detto sarebbero venute... vediamo stasera. [n.b.: ovviamente ho finito il post ben dopo la seconda messa in scena... Ma per sapere che fu vi tocca pazientare...]


Il giorno 28 aprile, in quel di Granada, Vania ci ha dato la mattinata libera.
Le avremmo avute tutte libere, e al tempo stesso quella sarebbe stata l'unica realmente tale.

Presi dalla spossatezza del viaggio, si può dire che ci siamo alzati tutti ben dopo le galline, e che - almeno io - non mi sia minimamente accorto degli aerei starnazzamenti che giungevano dalla tromba...uh, no, quella è delle scale... come si chiama un posto su cui si affacciano un sacco di finestre, verso l'interno di un palazzo? Deso? Non credo si possa definire un cortile interno, se è sotto il metro quadro... vabbè, magari era poco più grande, però era davvero un buco.
Insomma, come avremmo scoperto, chi al risveglio quel giorno stesso, chi dopo, la dolce e simpatica vecchina 'panna e fragola' oltre che di gatti era patita anche di volatili.

...ma che malpensanti!!! Santo cielo, ho solo detto patita di volatili, mica di uccelli!!!
Che gretti.

Insomma, all'ultimo piano doveva avere una specie di... sottotetto, voliera, che cazzo ne so, dove teneva questi misteriosi... uccelli. Oh, adesso mica potete sbottare a ridere ogni volta che dico uccelli!
...Ma che bel gruppo di ornitologi, eh?
Vabbè, continuiamo. Il fatto è che non si riusciva a capire cosa fossero. Indubitabilmente ogni tanto si sentiva qualcosa di simile a un gallo, ma, che mi risulti, nemmeno il gallo più rincoglionito fa chicchiricchì alle dieci e a mezzogiorno, poi alle due e infine alle sei (orari orientativi del tutto inventati, non sono mica stato lì col cronometro per vedere se erano intervalli regolari!).
Così, io mi sono fatto la personale teoria che si trattasse in realtà di pappagalli. Che coi galli semplici senza pappa non c'entrano niente, ma che da costoro potevano aver imparato il verso del chicco ricco, e quindi per la felicità degli inquilini di tutto lo stabile potevano imitarlo. Un verso gioiosamente trillante privato del suo senso e stupidamente ripetuto ogni mezz'ora (ma anche meno), ma non privato della sua intrinseca natura di verso eminentemente scassamarroni. Stefano - ma mica solo lui - se li sarebbe stufati volentieri, con o senza pappa che fossero.
Ad ogni modo, così sollecitato, mi tiravo in su sul letto verso le undici, credo, stupendomi di non essere rimasto in letargo fino al mattino successivo. Per prima cosa, la mia scelta di accettare la coperta aggiuntiva offerta dalla vecchina la sera prima si dimostrava pagante: Stefano si alzava con fare da zombie, e con aria minacciosa mugugnava "Stasera devo ricordarmi di chiedere una coperta alla vecchia".
Lo so, gioire delle disgrazie altrui non è cosa bella.
Ma umana, sì! Quindi mi alzai decisamente di buon umore.
Tanto più che la prima scelta della giornata l'ho imbroccata: memore dello strazio caldo/freddo del giorno precedente, optavo per cassare dal mio vestiario il vocabolo 'camicia', e d'indossare la felpa direttamente sulla maglietta. Perfetto.
Per tutta la mia successiva permanenza in Spagna, ho girato in t-shirt e felpa. Da paiùra. Superata l'impasse termica della Madrid-Granada! ^_^

La punta con tutti gli altri era per mezzogiorno, mezzogiorno e mezza alla piazzetta sotto 'casa nostra': plaza De La Trinidad. Il che era una bella botta di culo, perché mi consentiva di andarmene a zonzo per un pochino, con tutto il gusto di esplorare per la prima volta quella città.
Almeno, il quartiere.
A dire il vero, non ne ho girati che pochi isolati in tutto, ma per un motivo in particolare.
Questo.
Pontezuelas 32 BJ, local 1.
Girando per le calles di Granada (calle [pronuncia kàye] è strada in spagnolo, e non è plurale di calla, che in romanesco ha tutt'altro significato) mi sono imbattuto in quest'indirizzo.
E' un piccolo negozietto; avendo io la necessità di fare colazione, ed essendoci lì un cartello con scritto Illy, non ho atteso oltre altre indicazioni.

Il locale è rettangolare, lato corto sulla strada, portelloni aperti invece della serranda alzata e uno strabordare di merce a far da fermaporta.
La prima cosa che noto, oltre al cartello Illy, è un cartello scritto a mano col pennarello, che dice "Si fanno fotocopie". E un banco frigo da gelati.
Non è esattamente il tipo di negozio che m'ispira o che m'incuriosisce: ha l'aria un po'... barocca, nel sovrabbondare di merci decisamente superflue. Intendo, sovrabbondanti cascate di pacchetti di caramelle gommose attaccati a rachitiche grucce metalliche... un po' triste. Insomma, uno di quei negozi che tende ad innalzare il tuo tasso calorico alla sola vista ed il colesterolo nel tuo sangue se entri.
Non che io abbia problemi di linea, semmai sono una linea, e dovrei provvedere.
Però, insomma, quel negozio, visto così, da fuori, non era molto nelle mie corde.
Ma il cartello Illy lo era eccome.
Entro.

Ora, vi devo precisare, e confessare, che non ricordo tanto bene se questo sia accaduto proprio il 28, o invece il 29. Ma non credo sia poi così importante.
Al massimo, vi racconterò come accaduto il 29 quello che è realmente accaduto il 28 mattina...

Una volta dentro quel locale, ci si accorgeva che non era proprio corrispondente all'immagine che dava all'esterno.
Oddio, a pensarci ora, sia quel posto che l'edicola in Plaza De La Trinidad avevano un che dell'estetica dei paesi calabresi della mia infanzia. Di quei negozietti che trovi con un sacco di roba vecchia e nuova esposta, coi gadget per bambini piccoli dai nomi tipo, che so, 'La busta millesorprese'... Ecco, anche questo negozietto era un po' così.
Solo adesso riesco a dargli un nome, come attività.
Era un emporio.
Piccolo, senza troppe pretese, un emporio di paese.
Aperto, particolare non indifferente visto che anche in Spagna si festeggia il 1° maggio come festa nazionale del lavoro. Infatti, la quasi totalità di negozietti che avrei voluto vedere (un bel negozio di giocattoli - con Mazinga sull'insegna! - uno di modellismo, una libreria, due fumetterie...) erano chiusi per il fine settimana o per il ponte, e l'unica chance di trovarli aperti si riduceva a lunedì mattina. In più, visto che stavo girando di sabato quasi all'ora di pranzo (e lì la pausa pranzo è bella lunga) era praticamente matematico trovare tutto chiuso, ristorazione a parte.
Spendo due parole sulla questione della pausa pranzo.
In Spagna non c'è fuso orario.
Sono le sei da noi? Sono le sei anche lì.
Il fatto che poi ci siano Francia e Inghilterra di mezzo, di cui sicuramente quest'ultima viaggia con un'ora di ritardo rispetto a noi, è dato trascurabile. Loro hanno stabilito che il fuso orario che vogliono è lo stesso nostro.
Che vuol dire?
Beh, questo si traduce nel fatto che loro vanno a lavoro 'tardi' e quindi chiudono 'tardi': in pratica, alle otto di sera da loro c'è un sacco di luce naturale - quella che c'era da noi alle sette!
Ecco perché si possono tranquillamente 'coccolare' con una sostanziosa pausa pranzo, visto che chiudono molto più tardi e stanno in giro più a lungo. ^_^
Per stringere alla sugna del discorso, non ho mai trovato un negozio aperto quando volevo. Obvious.

Il piccolo emporio senza nome dentro era parquettato, e vendeva di tutto: dai giornali, riviste, prodotti editoriali con dvd allegati, allo shampoo ed i prodotti per la casa, dalle caramelle al pane, dal caffè fatto con le cialde Illy alle sigarette dal distributore automatico.
E proprio in quell'angolo lì, al fondo del locale, arredato moderno - tra parquet, porta a vetri sempre aperta (su cui troneggiava il cartello "qui si può fumare" ^__^), distributore di sigarette contro la parete di fondo, tre postazioni internet su mensola di legno chiaro sulla destra e bancone del pane con ripiano in vetro trasparente su cui consumare il proprio caffè (posacenere a portata di mano) a sinistra - mi sono andato a sistemare dopo aver chiesto alla commessa (o proprietaria?) un caffè.
C'è chi sostiene con forza il fatto che conoscere un paese è anche sacrificare qualcosa del proprio gusto nazionale in favore degli usi e costumi locali. Ovvero: paese che vai, caffè che ti bevi. Visto come fanno il caffè in Francia, so che non sono un sostenitore di questo punto di vista, magari teoricamente corretto. E a me, vedere la macchina Illy, seppure a cialde (anzi, meglio: fattore umano azzerato!), scaldava il cuore.
Come?
No, Paolo, la commessa non era carina.
L'avrei conosciuta meglio le volte in cui ci son tornato: si chiama Florencia (chiaro che appena sentito il nome mi sia rimasta un'emiparesi temporanea del sorriso pensando a Florence), ma vi racconterò di lei a tempo debito. Che poi, in effetti, non era commessa, ma gestiva lei il posto. Non so però se fosse anche la proprietaria...

Così, mi approprio del mio angolo, del mio sgabello, e del posacenere che gentilmente mi porge.
Mi dà la mia tazzina di plastica col caffè cortito, e se ne torna alla cassa.
Preziosa solitudine.
Senza fretta, senza meta.
Come piace a me.

Nessuno di noi, in quei giorni, è andato mai in giro senza il suo quadernino.
Il 'Diario dell'attore', che Vania ci aveva dato molto tempo prima, non solo per il viaggio.
Una sorta di taccuino su cui appuntare non tanto e non solo le lezioni, le informazioni su come è nata la tal maschera o quali esercizi siano migliori per sciogliere le muscolature legate allo Zanni o quant'altro, ma anche esperienze, emozioni, riflessioni che aiutano ad osservarsi e a migliorare il proprio percorso di attore.
Io, forse non ritenendomi un attore, o molto allergico al 'prendere appunti' di scolastica memoria, prima di Granada là sopra ci avevo scritto solo l'elenco dei miei 'Tori' da sconfiggere in scena (è una teoria teatrale di Vania) e le indicazioni sui personaggi di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, che mi eran piaciuti troppo.
Come dire... alacre e zelante nella stesura di appunti! ^__^
Ad ogni modo, a Granada era diverso.
Non c'era da scegliere se 'perder tempo' a trascrivere appunti o direttamente rielaborare cose di giorni precedenti. Semplicemente, si stava lì, e se c'era qualcosa che ti colpiva, e ti andava di scrivere, scrivevi.
Quindi, lì, nella pace di quel locale, visto in un'ottica diversa (dal fondo verso la strada era invece molto gradevole come locale), sorseggiando il caffè, mi è venuto naturale tirar fuori il taccuino e scrivere.
Mi sentivo un po' come mi capitò ad Amsterdam: l'intellettuale nel bistrò che prende appunti, o lascia scorrere i pensieri sulla carta.
In pratica, mi sono preso un sacro momento per me, e mi son goduto il mio star bene.
Talmente tanto che al pensiero "ma così finisce che devo tornare alla piazza e non ho visto niente!" con un sorrisetto e una scrollata di spalle mi sia detto "e 'sti cazzi", continuando a scrivere e a gustarmi sigaretta e caffè.
Forse quello è stato un momento molto importante.
No, non scherzo: è stata la reale differenza tra il viaggio da turista e il viaggio da attore.
Da turista, mi sarebbe davvero dispiaciuto sacrificare la visita alla città in nome di uno sgabello su cui mi piaceva stare. Da turista non mi sarei mai fermato in un simile posto così a lungo. Ma io non ero lì da turista.
Di vedere Granada - paradossalmente - m'importava poco.
A me, che di andare in viaggio e in esplorazione e farmi le mappe mentali dei posti vado pazzo!
Ma io ero lì come attore.
E come attore tu un posto lo vivi, e non te ne frega molto di esplorarlo.
Ecco, lo fai tuo, anche se è straniero. Magari facendo finta di essere in un piccolo caffè d'Argentina, minuscolo emulo di Borges, e che quando uscirai a fare quattro passi verso la piazza ti troverai in mezzo a case basse e colorate pastello, tra camionette verdi militari che presidiano la strada e una musica di tango che suona da qualche parte in un bordello. (...bum! ^_^)
E così è del tutto naturale passare il tempo a guardar fuori, fumare e abbassare lo sguardo sul taccuino come sospeso sulle baguettes, per via della lastra di vetro. E scrivere.

Quello che ho scritto sul mio taccuino a proposito di questo locale, merita un apposito post (anche perché è lungo, e delirante).

Uscito da lì, di corsa alla piazza, o quasi.
Il fatto è che si doveva mangiare, ed io ancora accusavo un pelino il caldo.
Trattandosi di piazza piena di alberi dalle fronde scarse e di un orario col sole a picco, non mi trovavo propriamente in vena di nutrirmi (memore soprattutto dei maledetti calamaros). Del resto non mi andava di svenire per calo di zuccheri, specie nella prospettiva che, fatta riunione, si partisse immediatamente per lavorare.
A trarmi in assoluto d'impaccio è venuta Francesca di Saltymbanco: donnone siciliano verace, abbondante in tutto, assieme a Chiara s'era semplicemente comprata della frutta. Arance.
Banale, nutriente, soprattutto se - come avevan fatto loro - accompagnato col pane.
Ho praticamente sempre mangiato pane e arance a pranzo, al massimo togliendomi lo sfizio di una bella mela verde verso l'ultimo giorno. (in realtà l'ultimo giorno a pranzo mi sarei sfondato al quartiere arabo, ma suvvia, bisogna pur romanzare!) ^__-

La riunione è andata via veloce, un po' di preparazione spirituale di tutti all'improba prova che ci attendeva e un po' di organizzazione degli spostamenti della giornata. In pratica, tutta la nostra attività del giorno 28 si riduceva ad una parata da farsi il pomeriggio, da una delle piazze principali di Granada (che era lì vicino - e praticamente sotto l'ostello degli altri) fino a questo teatrino, che si trovava in Calle Ave Maria 2.
Nota a margine: il giorno dopo ci avrebbe raggiunto Federicone dall'Irlanda, ed avrebbe preso parte alla parata per pubblicizzare i nostri spettacoli proprio in quel teatro. Beh, nessuno di noi si potrà scordare l'indirizzo di quel posto, perché Federicone in quell'occasione ha coniato la seguente canzonetta, che ora campeggia nella firma delle sue email:
"A la calle Ave Mariaaaaaaa 'ndo se toma la sangriiiaaaaa"
...e avrebbo potuto tranquillamente continuare come tutte le Osterie numero qualcosa.

Bene, i momenti di libertà prima del nuovo raduno vengono per lo più spesi in chiacchiera inter nos, soprattutto sdraiati a quattro di bastoni sul letto.
Poi ci si cambia e via, fuori!
Alla punta ci si arriva alla spicciolata, la qual cosa si sarebbe sempre ripetuta, pur se in maniera io direi contenuta, pur facendo, però, anche saltare i nervi a qualcuno - a lungo andare.
Tutti già vestiti, ci si trucca e si ottengono le ultime istruzioni.
Tutti insieme ci si muove cantando il 'Tonga', agli stop ci si ferma e si dice in coro
"A vosotros que mirais tres talleres proponemos con nosotros disfruitais de lo que os contaremos!"
Che sarebbe più o meno 'a voi che guardate proponiamo tre laboratori, tramite noi mettete a frutto quello che vi racconteremo'. E poi
"Los comediantes de la Italia: revelamos los secretos"
che non ha bisogno di traduzione.
A questo punto ci si separava e prima Yogurt, poi noi, poi Saltymbanco avevamo delle frasi relative ai singoli spettacoli. La nostra era fica assai, ed era
"Si los ojos màs no cierras y pones los piés en tierra los bufones de la antiquidad llegaran à esta ciudad!"
Ovvero: 'se non chiudi più gli occhi e metti i piedi per terra, i giullari dell'antichità giungeranno in questa città'.
^__^
Così, in questo modo sollecitati, cominciavamo a percorrere il corrispettivo della Rambla di Barcellona o di via del Corso, se preferite, per poi inerpicarci verso 'sto benedetto teatro dove, come da programma stabilito, avremmo poi assistito alla messinscena del gruppo teatrale autoctono del quale il giorno dopo saremmo stati ospiti graditi.
Mannaggia quanto sarà lungo 'sto post.
E' che vi devo spiegare cos'è il parkour.
L'idea del parkour è esaltante: sfruttare il corpo al massimo nella sua elasticità e nella sua potenza per riuscire ad arrivare a fare (nei sogni più sfrenati e proibiti, di quelli in cui ti svegli godendo e urlando tutto sudato) quello che normalmente accade nei film di genere wu-xia. Cioè saltare da un muro all'altro per arrivare fino al tetto. Fare in piccolo quello che fa l'Uomo Ragno, ma senza superpoteri. (stai godendo all'idea, eh, Digia? ^__^)
In pratica si tratta di allenarsi a saltare sulle pareti aggrappandosi a qualsiasi tipo di appiglio stabile, per poi rilanciarsi verso - possibilmente - la parete opposta a un appiglio più in alto.
Noi, ovviamente, siamo alla fase saltare e attaccarsi a un appiglio, e difficilmente andremo più in là. ^__^
Però questa è una cosa che mi piace tantissimo, e che ho cercato di fare ogni volta che ho potuto durante il viaggio: ergo, non appena abbandonato il corso per i vicoli in salita, mi sono sbizzarrito.
A onor del vero, l'emissione continua di voce - tra 'Tonga' cantata e annunci corali al pubblico - fatta ininterrottamente per tutto il percorso mi aveva mozzato il fiato, ma devo dire che all'idea di fare parkour m'è passato il fiatone all'istante.
Così, mentre si procedeva nelle calli (stavolta sto usando il termine alla veneziana) davo sfogo alla mia anima esibizionista (che è grande, per chi lo sa), anche perché, nella nostra accezione, il parkour è anche uno strumento per la spettacolarità: un giullare che salta e si attacca a una grata è certamente una figura ricca di spettacolarità, che genera fanciullesco stupore. Non mi dilungo oltre sul concetto, ma riflettete su quanto la nostra idea di normalità sia anche legata allo stare coi piedi per terra, sul marciapiede.
Quanti di voi ad esempio non si concedono da tempo evoluzioni attaccati agli 'appositi sostegni' dei mezzi pubblici? ^__-
Ad ogni modo, in particolare ho apprezzato i salti in salita sui bordi in mattoni di una scalinata (anche se ho dimostrato di aver paura di compiere un salto usando come appoggio la gamba sinistra) e non ho molto apprezzato un salto - pur bello - da una balaustra alla grata di una finestra, perché si è concluso col fantozziano impatto del mio piede sinistro (proprio lì dove la suola del mio stivale medievale non protegge la parte morbida del piede, l'incavo interno) contro il bordo, proprio l'angolino, della suddetta grata. Un dolore bestiale, pazzesco, per dirla come il nostro ragionier Ugo.
Avrei proseguito zoppicando fino alla fine, portandomi appresso il dolore fino al letto sul quale sarei crollato in un sonno di piombo.
Lungo il percorso, verso il finale, avremmo apprezzato un murales, fatto da un tipo che ha riempito Granada. E' bravissimo. Si chiama El Niño De Las Pinturas, e vi posto la foto proprio del murale in questione.


Beh, a questo punto eravamo proprio arrivati.
Nemmeno cento metri dopo, sulla sinistra una strada priva di forma e di asfalto scendeva sulla sinistra e ancora a sinistra c'era l'ingresso di questo teatro, ricavato da un garage proprio come il teatro Ygramul. E dentro sembrava anche messo meglio.
Accoglienza cortese, senza eccessi (quelli sarebbero venuti dopo ^_-) e noi, branco di quarantacinque (lo scrivo a lettere che dà più idea della massa di gente) devastati in cerca di un bicchier d'acqua, che ci svaccavamo stralunati dovunque capitava.
Poi, poi sarebbe venuto lo spettacolo, ma quello meriterebbe un post a parte... e poi questo è già troppo lungo... è tardi...
Vi toccherà aspettare!
^_____^


GrimFang
(in partenza per un weekend con Erika, Digia, il Deso, Sara e Maria!)



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